All’inizio del secondo albo, mentre sorge la prima luce sull’accampamento spartano, il re Leonida continua a ripercorrere le tappe che hanno portato la Grecia alla guerra con la Persia. In bilico fra semplificazione narrativa e realtà storica, Miller dipinge Leonida come un re solo, che va contro il volere degli efori, sommi sacerdoti messi dagli stessi Spartani a guardia delle azioni dei due re.
Sulla rocca dove si riuniscono gli efori, Leonida cerca inutilmente di spiegare le ragioni della guerra, senza ottenere il consenso di cui ha bisogno. A Sparta neanche un re può essere sopra la Legge e pertanto se dalla bocca degli efori uscirà un no Leonida dovrà abbassare la testa: il verdetto passa attraverso la consultazione dell’oracolo, la più bella giovane donna spartana, che danza in trance sinuosa ed elettrizzante come le donne del locale di Sin City. Leonida è costretto ad abbandonare la rocca degli Efori incassando il no dell’Oracolo: dietro questo no pero’ c’é l’oro che un emissario di Serse dona agli Efori…
Trovata hollywoodiana di Miller? Leggendo delle abitudini “religiose” dell’antica Grecia si capisce che non è così. I greci, infatti, credevano negli dei e negli oracoli, ma spesso manovravano questi ultimi in tutti i modi per perseguire i propri fini. Per bocca di Plutarco, Agesilao, altro re di Sparta, prima di una battaglia, dovette sollevare il morale dei suoi uomini, sfiduciati per il gran numero degli avversari. Il re si scrisse sul palmo della mano al rovescio la parola “vittoria” e fece un sacrificio. Quando l’indovino gli diede il fegato della vittima lui lo tenne sulla mano fino a farvi comparire la parola vittoria ed infondere coraggio ai suoi uomini. Non poche volte i re foraggiavano generosamente gli oracoli per avere appoggio nell’intraprendere guerre o altro.
Leonida, re impavido, non si scoraggia e lascia comunque Sparta alla guida dei suoi 300 soldati; nelle due pagine dell’addio alla sua patria, Miller inserisce due rimandi a famose frasi tramandate nei racconti della vita e delle usanze di Sparta. Gorgo, la moglie di Leonida, con sguardo truce degno della migliore Elektra (il personaggio inventato da Miller in Daredevil, e figlia di un diplomatico, per combinazione, greco) dice al marito di tornare con il suo scudo o sopra il suo scudo (era infatti tradizione che i morti in guerra fossero riportati in città deposti sui loro scudi). Inoltre, riprendendo un racconto di Plutarco nel quale il re diceva alla moglie prima di partire “Sposa un brav’uomo e metti al mondo bravi figli”, Miller mette in bocca al suo Leonida una stringata Sparta ha bisogno di figli come risposta alla domanda Cosa possiamo fare.
Qui finisce il flash back, ed il racconto ritorna sulla marcia di avvicinamento al passo delle Termopili: ripartiti alla prima luce dell’alba, gli Spartani incontrano gli Arcadi, compagni nella battaglia e superiori in numero. Di fronte alle “fastidiose lamentele” di questi ultimi sullo scarso numero di soldati, 300 appunto, Miller riprende un altro famoso episodio. Nel racconto di Plutarco, Agesilao, nella stessa situazione, diede ordine a tutti i soldati alleati di sedersi ed agli spartani di sedersi vicini. Poi chiese ai vasai di alzarsi, poi ai commercianti, e via via tutte le professioni. Alla fine si erano alzati tutti tranne gli spartani, ovvero gli unici soldati. “Visto, amici? Sono molti di più i soldati che mandiamo noi che quelli che mandate voi”. Analogamente Leonida, dopo aver chiesto agli Arcadi quale fosse la loro professione, chiede ai suoi valorosi 300 quale è il loro lavoro: la risposta è data da 300 mani che si alzano a brandire le lance, sono 300 soldati, più di quanti ce ne siano fra gli Arcadi. Nelle altre città greche, infatti, gli opliti erano sì soldati armati di scudo e armatura metallica, ma acquistavano queste cose con i propri mezzi. Erano soldati non professionisti, che erano reclutati solo ed esclusivamente per le battaglie.
La marcia riprende fino a raggiungere le “hot gates”, come leggiamo scritto in rosso su uno sfondo di pagina interamente nero. Nella (?) realtà tramandata nei secoli Sparta, di comune accordo con gli alleati greci, aveva deciso che il punto dove bloccare il nemico era il Passo delle Termopili, ovvero il passaggio obbligato per raggiungere la Grecia venendo dalla Tessaglia, e pertanto si era deciso di far confluire le truppe di tutti gli eserciti alleati proprio lì. Le Termopili sono in realtà terme, la parola in greco significa “porte calde”, e indica sia le sorgenti termali, sia le gole strette e scoscese che formano gli unici passaggi da cui è possibile accedere a tale luogo: le due porte, quella Orientale e quella Occidentale, in greco Pylai. Gli alleati di Sparta erano Tegea, Mantinea, Orcomeno, Corinto, Fliunte, Micene, Tebe nonché l’Arcadia e la Beozia per un totale 3.900 opliti seguiti dagli scudieri che costituivano la fanteria leggera.
Serse stava raggiungendo le Termopili nel luglio del 480 attraversando l’Ellesponto (lo stretto dei Dardanelli) su un ingegnoso ponte di barche al secondo tentativo, poiché si narra che il primo fosse stato distrutto ed i progettisti barbaramente trucidati come esempio per quelli del secondo. Nel frattempo la flotta degli alleati, sotto il comando dell’ateniese Temistocle bloccava la flotta persiana. Infatti, il secondo albo si chiude con l’immagine delle navi persiane parzialmente bloccate e distrutte in mare, in un vento carico di acqua di mare che sembra pioggia. Nel bianco e nero di Sin City Miller aveva giocato a lungo con gli effetti visivi della pioggia; qui il compito dell’effetto pioggia è delegato alla matita bianca di Lynn Varley che lascia i suoi segni sullo sfondo nero.
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