Frank Miller sostiene che il fumetto è arte e mezzo di comunicazione al tempo stesso. Svezzato e cresciuto a pane e… Batman (indicativo il suo racconto della lettura del primo albo di Batman verso i sei anni, che lo lasciò letteralmente impressionato dall’atmosfera dark abilmente creata dall’autore del fumetto), ha avuto la possibilità e le capacità di riscrivere con The Dark Knight Returns canoni e significati di uno dei più famosi character americani. Questo dopo esser passato attraverso la redifinizione di un altro supereroe, Daredevil. In tutti e due i casi appena accennati “fumetto supereroistico” è una definizione limitata e banalmente pacchiana per indicare il suo lavoro.
Se i primi schizzi realizzati da piccolo erano disegni di uomini massicci con impermeabili ed automobili squadrate, i primi commenti ai suoi lavori gli fecero capire che per disegnare fumetti era necessario imparare a disegnare i “muscoli” dei personaggi coperti dagli impermeabili. Non è un caso che il (permaloso?) Miller odierno si lamenti così tanto del fumetto supereroistico sostenendo che anche i muscoli dei supereroi oggi hanno… i muscoli.
Il medium fumetto, dopo avergli dato notorietà ed un minimo di stabilità economica, inizia ad essere utilizzato come tale (i.e. mezzo di espressione a tutto tondo), e così i progetti partoriti dal Nostro si allontanano sempre più dal genere “calzamaglia e mantello”.
Dopo il bianco e nero stimolante dal punto di vista realizzativo ed artistico del (più che) durissimo noir Sin City, Miller si è dedicato a piccoli progetti non disdegnando brevi puntate “cameo” su testate prettamente supereoistiche. Sin City resta però un progetto autonomo e continuativo, orgoglio e successo di Frank Miller: forzato dal forfait di Lynn Varley (che a quel tempo non voleva dedicarsi alla colorazione), realizzò le prime storie della serie (e poi anche quelle a venire) in bianco e nero, riuscendo nel suo intento primario di incatenare il lettore alle pagine nonostante la mancanza degli effetti cromatici del colore che ne catturino l’attenzione. In Sin City, ogni tavola, ogni personaggio (e ogni ombra) sono una continua sfida alla “china” per riuscire ad offrire nuovi giochi di alternanza bianco/nero e soprattutto scoprire effetti di luce/ombra. Non è un caso se spesso le ombre (addirittura) siano le uniche parti dettagliate della tavola in uno sfondo totalmente bianco (o nero). Rinfrancato da successo di critica e di pubblico (comunque di nicchia) l’autore mette in cantiere alcuni lavori che gli stanno particolarmente a cuore.
La genesi di 300
Il “progetto” 300 ha genesi lontane nel cuore e nell’arte di Frank Miller. Pubblicato in cinque albi mensili dal maggio del 1998, è l’ennesimo (ottimo) matrimonio fra le sue inquadrature tipiche e le sue chine (così sovente crude e spesse) e la tavolozza magica della colorista Lynn Varley (compagna di lavoro ma anche nella vita). 300 diventa la migliore dimostrazione dell’idea che una storia (qualunque essa sia) può essere raccontata attraverso il “mezzo” fumetto, che diventa “solo” il tipo di voce attraverso la quale gli autori ci parlano.
D’altronde lo stesso autore non si era mai limitato o censurato nell’esprimere le sue idee attraverso i disegni e i baloon delle sue opere, riuscendo più volte a far filtrare (in maniera spesso drasticamente diretta) anche e soprattutto il suo giudizio “politico” sull’attuale status dell’Impero americano.
Più volte Miller ha raccontato che verso i sette anni i genitori l’avevano portato al cinema a vedere il film L’eroe di Sparta (The 300 Spartans) in compagnia del fratello. La visione di questo kolossal tipico degli anni ’60 lasciò interdetto il piccolo Frank. Abituato a leggere di storie di eroi che agivano per il bene e ricevevano, dopo ogni successo, il plauso della gente (la “medaglia”, il riconoscimento pubblico) si trovò di fronte, nello splendore del Technicolor, a degli eroi che sacrificavano la propria vita per un ideale, per il rispetto della legge, per la libertà del proprio popolo, perché era la cosa giusta da fare. Non era stato abituato a leggere (o vedere) storie dove i buoni, alla fine, morivano.
Quello che era il messaggio veicolato dai fumetti di supereroi dell’epoca era “crime does not pay” (il crimine non paga); l’eroe, sorridente e trionfante alla fine dell’albo, era l’incarnazione di questa massima. Per Miller il messaggio da veicolare, invece, è “crime is wrong” (il crimine è sbagliato) e nelle sue storie questo messaggio comporta spesso, nello sviluppo della trama, anche la morte dell’eroe. Questo concetto di eroismo, così differente da quello che aveva trovato nei comics che leggeva, è rimasto nascosto nella testa di Miller per molto tempo, e dopo molti anni di lavoro nel campo del fumetto è stato lentamente rilasciato a sprazzi in tutte le sue opere.
Sin City in questo caso diventa un esempio lampante: il protagonista delle storie non è un supereroe. Nella città del peccato (Basin City, in realtà) si muovono personaggi che, pur non essendo “eroi”, rappresentano ciò che per Miller è sinonimo di eroismo: il seguire il proprio ideale, (spesso) il non preoccuparsi delle costrizioni (castrazioni), il non sottostare alle regole del “politically correct” ed il continuare a fare tutto questo fino al sacrificio finale della propria vita. Sono questi gli eroi di un mondo non perfetto e proprio per questo non perfetti, non infallibili, non immortali.
Il primo impatto con la storia (o leggenda?) dei 300 Spartani alle Termopili avvicinò Miller a storie di eroi che non necessariamente “saranno presenti nel prossimo numero” (“to be continued”) di un fumetto seriale. Eroi che soffrono, e molto spesso muoiono, senza avere la certezza di sopravvivere se non attraverso la leggenda tramandata per i secoli a venire. Sotterrata nella mente dell’autore, questa storia (e quello che ne viene) è comunque presente in nuce nel modo di affrontare le trame e nel concetto stesso di supereroismo: riemerge comunque potente dai ricordi di gioventù e si fa “fumetto” nel 1998.
Ma prima della miniserie 300 aveva, in ogni caso, fatto capolino nella prima pagina dell’albo Sin City: The Big Fat Kill del Marzo 1995. In apertura di quest’albo Miller rappresenta (nel rigoroso line art bianco e nero della serie) il re spartano Leonida alla guida dei suoi 300 stretto nella gola delle Termopili; nel bianco spazio fra le verticali nere mura del passo l’autore ritiene necessario narrarci (o meglio, in vista del futuro progetto 300, anticiparci) in estrema sintesi la storia di un manipolo di eroi pronti a sacrificare la vita, contro un nemico superiore in numero in rapporto “centomila a uno…”, per la salvezza della propria patria. Messo lì, come un flashback estemporaneo in una storia noir, il rimando alla vicenda delle Termopili non permette di immaginare né assaporare quello che poi sarà la miniserie 300.
Una differenza su tutte sarà il colore. Prima di partire per l’avventura 300 l’autore si rende conto che il racconto non può prescindere, appunto, dal colore. La storia non poteva ignorare il rosso dei mantelli degli Uguali spartani, ma anche, soprattutto, i colori che avrebbero permesso di ricreare le atmosfere del campo di battaglia, delle giornate di marcia, dei racconti notturni alla luce di un fuoco. Dopo aver letteralmente pregato Lynn Varley (come raccontato in varie interviste) ed aver avuto il suo sì di risposta per la colorazione, Miller affronta il lavoro in maniera differente dai precedenti (venendo comunque da un passato prossimo di centinaia di pagine nel bianco e nero di Sin City).
Reduce da tre settimane in Grecia per immergersi (letteralmente) negli scenari della storia da raccontare, l’autore decide di strutturare il lavoro in 5 albi da 24 tavole ognuno. La tecnica usata per la colorazione si discosta e di molto da quella utilizzata dagli stessi due artisti nella graphic novel Elektra Lives Again. In 300 Lynn Varley colora le matite chinate di Miller, laddove nel fumetto Marvel aveva lavorato sulle linee blu guida lasciando alla stampa il compito di far coincidere, ahimé con risultati non sempre perfetti al cento per cento, la colorazione con i margini.
Potrebbe sembrare forzato cercare (e magari sottolineare) rimandi, citazioni e somiglianze fra tutti i lavori di Miller, ma è facile ritrovare una lunga catena di link fra The Dark Knight Returns, Elektra Lives Again, Sin City e 300. Non è un divertimento ozioso leggere le opere di Frank Miller cercando di rintracciare rimandi e citazioni (visive e non) ad altri fumetti, ad opere d’arte (sculture e/o dipinti famosi), alla letteratura americana nonché ai fumetti precedentemente realizzati dallo stesso. Segnalare tali rimpasti, rimandi, giochi, affettuosi omaggi e sottili influenze può solo permetterci di meglio comprendere la vera essenza del nostro autore.
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