Tarzan, secondo Kubert

La cover del primo tpb di ristampe della Dark HorsNato come protagonista di un romanzo parto, come si suol dire, dalla fertile mente di Edgar Rice Burroughs [1] a cavallo fra il 1911 ed il 1912, il Signore della Giungla (uno dei tanti nomi usati in Italia per chiamare Tarzan) divenne in brevissimo tempo un successo editoriale che si affacciò alla ribalta investendo e cavalcando i vari mezzi di comunicazione di massa che all’epoca muovevano i primi passi. I più grandi autori di fumetti statunitensi, quelli che poi hanno letteralmente fatto la storia del mezzo, hanno letto da bambini le strisce pubblicate sui quotidiani disegnate da Hal Foster [2] e ne sono rimasti impressionati. Lo stesso Kubert racconta di averne letto ed apprezzato le storie da piccolo, senza neanche immaginare di trovarsi a realizzarle cinquanta anni dopo. Dall’introduzione dell’autore alla raccolta Tor Vol.1: “[…] Hal Foster’s Tarzan had always been a favorite of mine. Tor is my Tarzan of prehistoric times. […]” (“Il Tarzan di Hal Foster è sempre stato uno dei miei personaggi favoriti. Tor è il mio Tarzan dell’era preistorica”).
Altro autore all’opera sulle strisce disegnate di Tarzan fu, dopo Foster, Burne Hogarth [3], secondo indiscusso Maestro del pennello all’opera sui racconti di Burroughs. La ventina di romanzi scritti da quest’ultimo, infatti, sono spesso stati il canovaccio sul quale gli sceneggiatori hanno incanalato le vicende del Signore delle Scimmie, cercando di interpretare lo spirito del creatore del personaggio in modo da catturare la benevolenza del pubblico, la stessa mostrata per i romanzi del novellista. Terza vera e propria icona del fumetto alle prese con le storie dell’Uomo della Giungla è Russ Manning [4], un punto di riferimento per gli autori che gli sono succeduti. Si è occupato delle riduzioni a fumetti dei romanzi di Burroughs e delle strisce fino al 1979. Riferimento grafico inimitabile e probabilmente ai più parso fuori “registro” in una serie ambientata nella foresta, in virtù delle grandi doti di sintesi, modernità e pulizia del tratto. Considerando la quasi contemporaneità, potremmo considerare le sue realizzazioni di Tarzan come quelle del tondeggiante e pulitissimo John Romita (proveniente da fumetti rosa) sulle pagine dell’Uomo Ragno in precedenza realizzato dal “nervoso” Steve Ditko.

Ma la storia delle pubblicazioni a fumetti di Tarzan è una vera epopea fra diritti di riproduzione scaduti, rinnovi mancati, ristampe a costo zero e nuove serie per nuove case editrici. Dalla temporanea partenza di Manning dalla serie regolare in avanti il personaggio perse di popolarità e l’editore, viste le scarse vendite, non rinnovo’ il contratto sui diritti. L’incrocio della carriera di Joe Kubert con Lord Greystoke (nome da “civile” di “Bianca-pelle”, ovvero il nome in “scimmiesco” di Tar-zan) coincide con uno di questi snodi editoriali; è il 1972 e la National Periodical Publishing passa i diritti di riproduzione del personaggio alla DC Comics. Chiamato a dirigere il progetto editoriale è appunto il quarantaseienne Kubert, che aveva già provveduto a illustrare una propria versione del mito del “tarzanide” sulle pagine di Tor per la Archer St. John in un breve e curioso tentativo editoriale 3D.
In partenza le serie sono due e continuano la numerazione di quelle in precedenza edite dalla Gold Key, con la speranza di far lievitare gli ultimi scarsi livelli di venduto. Kubert viene quindi investito dell’onere e onore di seguire i grandi che hanno messo mano al personaggio di Burroughs e lo fa con cura e dedizione, utilizzando la propria sensibilità e proponendo l’ennesima versione alternativa, mutuata dalla sua sensibilità e decisamente più selvaggia delle precedenti. Per essere più diretti e semplificare il discorso fino all’eccesso, il Tarzan di Manning sembra profumare di shampoo vista la sua abbastanza improbabile (in una foresta) chioma da rockabilly, mentre quello di Kubert mostra una più realistica capigliatura sporca con lunghe ciocche attaccate alla testa.
Il Tarzan pubblicato dalla DC viaggia con alterne vicende dal numero 208 (Aprile 1972) al n. 258 (Febbraio 1977); Kubert realizza più di quaranta cover ed una trentina di storie adattando spesso e volentieri i romanzi di Burroughs, fonte inesauribile di riduzioni a fumetti. Nel dettaglio parliamo dei romanzi: Tarzan of the Apes (Tarzan n.207 al 210), Return of Tarzan (Tarzan n.219 al 223), Tarzan and the Lion Man (Tarzan n.231 al 234), Tarzan and the Castaways (Tarzan n.240 al 243), Jungle Murders (Tarzan n.245 al 246), Tarzan and the Champion (Tarzan n. 248 al 249) e Tarzan the Untamed (Tarzan n.250 al 256). L’altra serie è Korak, Son of Tarzan ed è pubblicata dal n.46 (Maggio-Giugno 1972) al n.59 (Settembre-Ottobre 1975) quando cambia nome in The Tarzan Family, collezionando ancora uscite fino al n.66 (Novembre-Dicembre 1976). In questa serie Kubert ripubblica anche in parte strisce di Russ Manning e di Hal Foster, realizzando uno strano mix visivo fra più Tarzan di (già) epoche fumettistiche diverse. Il personaggio di Korak, vale la pena segnalarlo, è comunque quello che permette agli autori di svincolarsi dalle vicende già narrate e rinarrate più volte nelle molteplici riduzioni a fumetti di Tarzan; le vicende del figlio Korak, infatti, sono storie nuove frutto della fantasia degli autori chiamati da Kubert sulla testata, quali Len Wein, il suo gran collaboratore nelle storie del Sgt. Rock, Robert Kanigher, Tony Isabella e lo stesso Kubert.

Una cover delle ristampe Edizioni IFPur essendo uno dei miti del ventesimo secolo, il personaggio di Tarzan ha subito uno sfruttamento tutto sommato non eccessivo da parte del medium fumetto. Questo perché è stato quasi sempre (e giustamente) collegato alle storie scritte da Burroughs e non ha avuto sviluppi narrativi autonomi dalle storie iniziali. In pratica, nei decenni, si ha avuto la possibilità di conoscere diverse interpretazioni dello stesso Tarzan da parte di vari sceneggiatori e disegnatori che hanno comunque spesso solo reinterpretato le stesse vicende; ed il tutto si è verificato in un intervallo temporale limitato, fino al lento insuccesso, seguito da un nuovo tentativo di pubblicazione, con una nuova casa editrice pronta a scommettere sul personaggio. Eppure, quando parliamo di numero limitato di autori ci troviamo di fronte ad almeno quattro nomi che sono e saranno comunque nella storia del fumetto per capacità, talento e per la capacità di fare scuola. Sono Foster, Hogart, Manning e Kubert, volendo tacere di John Buscema che prese le redini del Tarzan made in Marvel (29 numeri dal Giugno 1977 all’Ottobre 1979). Ognuno ha le sue caratteristiche peculiari e, messi a confronto, sono notevolmente diversi ed eccezionali, al tempo stesso, nelle loro differenze.
In particolare Joe Kubert si è segnalato nettamente per una grandissima inversione di tendenza nei confronti dei predecessori; nel rispetto del personaggio, considerando che ha affrontato il proprio lavoro non solo come disegnatore e copertinista ma anche come editor e scrittore della serie, Kubert mette mano in primis al lato selvaggio di Tarzan. Cresciuto nella giungla, svezzato dalle scimmie, abituato a difendersi da coccodrilli e leoni senza paura, Lord Greystoke, nelle mani dell’autore polacco naturalizzato Usa, assume pose selvagge, uno sguardo spesso torvo, una capigliatura coerente con il suo stile di vita e si muove in una foresta che non ha più i limiti delle tre strisce orizzontali. L’autore, come spesso ha fatto in passato e farà ancora più spesso in futuro, libera la matita e la china senza dover piegare le sue capacità di storyteller ad esigenze editoriali. Per esempio, una lotta con un coccodrillo viene rappresentata con una splash page in due pagine e gli alti alberi, le normali strade usate dal Tarzan che tutti conosciamo, sono la giustificazione per le strette vignette alte tutta la pagina. E ancora, le scene di lotta, e quelle della quotidianeità di un uomo nato e cresciuto come una bestia in condizioni poco umane, nella versione di Kubert risultano molto più crude. Inoltre, come nel suo stile, Kubert utilizza molti più tratteggi per indicare la tridimensionalità e Tarzan, più che a fronte alta e petto in fuori, come accadeva in precedenza, è spesso rappresentato sopra un albero, in parte coperto dall’ombra delle foglie, intento ad osservare dall’alto ciò che accade e quando entra in scena per un corpo a corpo contro tribù locali o contro animali, che non si fermano di fronte al suo temibile e terribile urlo, non assume pose plastiche figurative, ma è sempre disegnato in tuffo, piegato in due pronto a lanciarsi, con il baricentro basso come se il suo lato bestiale, ferino, prendesse il sopravvento su quello umano.

È davvero un nuovo Tarzan, in linea con i tempi (siamo negli anni ’70), che permettono all’autore di “sporcare” il disegno senza dover temere che questo sia visto come imperizia. All’epoca delle prime strisce di Tarzan il pubblico che doveva decretarne il successo era abituato a leggere ed amare il Gatto Felix, o Buck Roger, o Dick Tracy; l’apparizione di un seppur edulcorato uomo in slip che si destreggiava tra leoni e scimmie fu di per sé già abbastanza rivoluzionario, senza dover giungere alla “ferinità” raggiunta poi da Kubert. Il Tarzan di Kubert non sarà il Tarzan definitivo, ma solo una delle versioni migliori mai realizzate. Fedeltà nella riproduzione delle storie e realismo nel disegno, questi gli ingredienti che ne decretano il successo, seppur non nelle vendite, basse dopo un paio d’anni dall’inizio del suo lavoro sul personaggio, sicuramente nel cuore degli appassionati e di quelli che, anche dopo trent’anni, hanno potuto apprezzarne le varie ristampe. Non sarà il “primo” come fu quello di Foster, né il classicissimo “made in” Hogarth, né lo slanciato azzimato uscito dalle chine di Manning né quello incredibilmente poderoso e swarzeghenneriano disegnato da Buscema; sarà solo, semplicemente il Tarzan di Joe Kubert. E se ne parliamo ancora, dopo trent’anni, evidentemente poco non è.

Note
[1] Edgar Rice Burroughs (1 Settembre 1875 -19 Marzo 1950). Autore di numerosi romanzi “pulp” e SF “John Carter of Mars”, nonché creatore del personaggio di Tarzan. Dotato di capacità narrative ma anche imprenditoriali, seppe capire in un’epoca così distante il valore multimediale di Tarzan, provvedendo in prima persona a svilupparlo attraverso film, fumetti, merchandising. Dal 1928 una piccola città in California, dove Burroughs aveva comprato un ranch, ha preso il nome di Tarzana.
[2] Harold Rudolph Foster (18 Agosto 1892 – 25 Luglio 1982). Uno dei più famosi e capaci illustratori ed artisti a tutto tondo “prestati” al fumetto. Il suo successo alle matite e chine di Tarzan fu bissato dalla creazione del personaggio del “Prince Valiant”, che lo ha consacrato come uno dei maestri dell’arte sequenziale.
[3] Burne Hogarth (25 Dicembre 1911 – 28 Gennaio 1996). Anche se il nome può sembrare “solo” legato alla “run” dal 1937 al 1945 sulle strisce di Tarzan, ha contribuito in maniera poderosa alla contaminazione fra arte “classica” e fumetto, insegnando direttamente ed attraverso numerosi libri le basi del disegno messo al servizio del racconto. Un’icona dei fondamentali del fumetto.
[4] Russell George Manning (1929 – 1981). Disegnatore capace di diventare una pietra di paragone per tutti i suoi successori in termini di pulizia di tratto, capacità di impostazione di tavola e talento puro. Lega il suo nome ai grandi successi ottenuti sulle pagine di Tarzan e di Magnus, Robot Fighter entrambi realizzati per la Gold Key.

Riferimenti
Tarzan (1972) DC Comics – www.comics.org
Sito ufficiale di Tarzan – www.tarzan.org
Fanzine ufficiale di Tarzan – www.tarzan.com/mag
Korak, Son of Tarzan (1972) DC Comics – www.comics.org/covers.lasso?SeriesID=2029
Tarzan nei comic books – www.comics.org
Le Edizioni If hanno recentemente ristampato parte diquesto materiale: http://www.ifedizioni.it

Le ristampe della Dark Horse:
Il primo volume
Il secondo volume
Il terzo volume

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