Superman: un racconto mitologico che vive nel presente

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Non è facile individuare un punto di partenza se si vuole parlare di mito e di eroi: il viaggio a ritroso nella voglia di raccontare storie fantastiche, nella doppia accezione di storie bellissime e storie di fantasia, potrebbe infatti farci risalire chissà fino a dove e quando. Praticamente da sempre, infatti, l’uomo ha sentito due necessità che si sono poi intrecciate fra di loro: quella di costruirsi il mito, inteso come storia fantastica di avventure incredibili di uomini eccezionali, e quella di raccontarlo.
Solo quattro esempi porteremo (Gilgamesh, Ulisse, Mosè, Beowulf) per volare attraverso quasi quattromila e cinquecento anni di mito. Il Pantheon degli eroi che sono stati oggetto di racconti orali o scritti è molto più vasto e meriterebbe ampia descrizione; va da sé che per questo non c’è qui né tempo né modo né forse competenza per un’analisi dettagliatissima. Ciò che ci preme indicare sono i quattro filoni del Mito che hanno portato acqua al mulino dell’immaginario collettivo all’inizio del secolo diciannovesimo. Sono i filoni degli eroi del periodo pre-cristiano, degli eroi classici greci e latini, degli eroi biblici e di quelli dei miti nordeuropei.

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L’undicesima tavoletta che racconta il mito di Gilgamesh, in essa è narrata per la prima volta la storia del diluvio universale.

Iniziamo da Gilgamesh. Parliamo, in questo caso, di un re sumero vissuto attorno al 2700 AC la cui vera storia si è sempre intrecciata, però, con un racconto fantastico giunto fino ai giorni nostri. La leggenda, o meglio, le tavolette incise con i caratteri cuneiformi accadici ritrovate in quella che era stata la biblioteca di Assurbanipal, narra che Gilgamesh in realtà era un semidio, figlio di un comune mortale e di una dea. Per metà dio, quindi, era a tutti gli effetti un superuomo, nonché re. Il suo regnare con dissolutezza spinse la dea Aruru a creare un uomo, Enkidu, metà dio e metà animale, forte almeno quanto Gilgamesh, al fine di contrastarlo ed eventualmente ucciderlo. Le fantastiche vicende di Gilgamesh raccontano poi come in realtà Enkidu diventerà il suo miglior amico a compagno di avventure in foreste magiche contro mostri invincibili. La morte di Enkidu ricorderà a Gilgamesh che, seppure semidio, anche lui è mortale: inizierà così una ricerca della fonte di vita eterna, che si concluderà, però, con un nula di fatto. Nella storia, raccolta nelle dodici tavolette giunte fino ai nostri giorni, troviamo spunti ((Nelle tavole c’è addirittura il primo racconto di un diluvio universale, millenni prima di quello narrato nelle sacre scritture cristiane)) di grande fantasia che già scandivano, all’epoca, il ritmo dell’avventura fantasy.

Se Gilgamesh è uno dei primi esempi che si ricordano ancora di mito e superuomo fusi nello stesso racconto, è impossibile, saltando avanti di circa millequattrocento anni, non citare Ulisse di Itaca. Nel racconto del cantore greco Omero, Ulisse è stato spesso indicato come il prototipo dell’eroe. Normale essere umano, al cospetto di altri suoi contemporanei semidei (come Achille, ad esempio), Ulisse ha incarnato non solo la voglia di eccellere grazie al sacrificio, il forte senso della morale, l’attaccamento ai valori familiari, l’utilizzo dell’intelligenza al massimo delle proprie capacità, ma anche e soprattutto, attualizzando il concetto, il desiderio che il mito diventi entertainment.

Citiamo di sfuggita anche Mosè, eroe biblico per eccellenza. Figlio di ebrei adottato da un Faraone, raccolto dalle acque del Nilo, destinato a portare il suo popolo nella terra promessa, Mosè incarna, anche se in un’ottica religiosa, tutto quello che l’eroe ha sempre rappresentato. Orfano, adottato ma sempre intimamente diverso rispetto agli altri, pronto a battersi per i poveri e gli oppressi, rifiutando le ricchezze e gli agi; strumento nelle mani di Dio per raggiungere questo obiettivo e proprio per questo uomo superiore agli altri, superuomo, appunto.

Cotton Vitellius A. XV, f.132
Una pagina del Cotton Vitellius, il codex dell’XI secolo contenente l’unico manoscritto del “Poema di Beowulf” in nostro possesso. In foto, la prima pagina del Poema.

Saltando ancora con grandi balzi arriviamo a un altro eroe protagonista di molti racconti, scritti e orali: Beowulf. In questo caso l’analisi del personaggio e del racconto delle sue gesta si fa anche più interessante perché quest’ultimo è frutto di un mix di culture e di varie leggende, che confluiscono in un ciclo di storie molto avvincenti. Il cosiddetto Poema di Beowulf attinge infatti sia alle leggende del nord dell’Europa (strettamente collegate ai cicli delle stagioni e della terra) sia ai miti religiosi cristiani. Il Poema, così come ci è giunto, prende origine dai racconti orali degli scopas ((Cantori girovaghi: il corrispettivo nordico degli aedi e rapsodi greci.)) e narra della vita e delle gesta di Beowulf, principe nordeuropeo, che simboleggia l’eterna lotta fra il bene e il male; la vicenda narrata non si conclude con il lieto fine perché, come nella vita, ad ogni vittoria contro il male fa seguito un’ennesima prova da affrontare. In pratica Beowulf, nonostante le capacità superiori, la forza morale e fisica che lo spinge a combattere in difesa del suo popolo a mani nude (o addirittura nudo del tutto) contro i mostri più incredibili, è destinato ad essere sconfitto. Come Gilgamesh si rende conto della caducità della propria esistenza; il destino (o il ciclo della vita) è quindi più forte della volontà dell’eroe.

In tutto questo manca, ovviamente, il bagaglio del mondo asiatico (Cina, Giappone, India…) non perché meno degno di attenzione o meno interessante ed articolato, ma semplicemente perché non ha quasi per nulla influenzato la cultura occidentale.

Il mito come interessa a noi si può definire come la narrazione delle gesta di un personaggio (o più personaggi) dai tratti decisamente eccezionali. Un eroe è qualcuno che si innalza oltre le proprie paure e i propri limiti per realizzare qualcosa di eccezionale. L’eroe è sempre esistito nella cultura popolare; spesso, oltre ad essere una persona “normale” che si erge sugli altri grazie alla capacità di sfruttare al meglio le proprie capacità,  era dotato di vere e proprie capacità superiori che lo hanno innalzato “di diritto” sugli altri. Necessità antica è stata quella di ascoltare i racconti degli anziani di storie pittoresche ed epiche che narravano le gesta di qualcuno che, rompendo gli schemi e superando i limiti della morale del tempo, poteva essere definito eroe. A questa definizione, di per sé già superlativa, di eroe (persona che dà prova di straordinario carattere e generosità) aggiungiamo il prefisso “super” ed entriamo nel contesto che a noi maggiormente interessa. “Super”, posto come prefisso, indica il superamento di determinati caratteri. Laddove sembrava quindi già che la parola “eroe” indicasse qualcuno eccezionale, la parola “supereroe” indica una persona ancora, se possibile, più eccezionale, che già per definizione è superiore agli altri. Ha qualcosa che lo distingue dalle masse e non si tratta della sua forza morale o della sua voglia di spingersi al limite delle proprie capacità o sofferenze. Il supereroe vuole fare tutto questo proprio perché ha capacità superiori agli altri e vuole metterle al servizio di tutti.

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La copertina del primo racconto di “Doc Savage” (Marzo 1933), uno dei pulp magazine di maggior successo.

Contrariamente a quanto detto a proposito della nascita della mitologia eroica, è decisamente più facile indicare un periodo di gestazione, la data e il luogo di nascita del concetto di Supereroe così come inteso ai nostri giorni. Agli inizi del secolo ventesimo la narrativa pulp statunitense aveva portato al successo popolare alcuni personaggi nei quali veniva esaltata questa o quella caratteristica (the Shadow, Doc Savage). Alla fine del XX secolo, potremmo indicare come eroi popolari “di fiction” quelli proposti dal cinema  (Rambo, Dirty Harry ((Harry Callaghan (soprannominato Dirty Harry) è, nella traduzione italiana, l’Ispettore Callaghan della fortunata serie di film con protagonista Clint Eastwood (il primo, del 1972, era intitolato appunto “Dirty Harry”))). Nella loro normalità (non hanno poteri mistici né super-forza né super-velocità e così via) sono comunque eccezionali perché vivono in una realtà (narrativa) che comunque li rende “eroi”, al di sopra degli altri, ad esempio nello schivare incredibilmente migliaia di proiettili senza (o quasi) un graffio e, comunque, senza morire in azioni che significherebbero la fine di chiunque nella realtà “reale” e non narrativa. Nel Marvel Universe Handbook, questo essere al limite superiore delle proprie capacità senza avere poteri particolari è indicato come il fantasioso superpotere dei supereroi senza superpoteri. Fra i personaggi della casa editrice di Superman, la DC, un personaggio come Batman (per indicare il più famoso in assoluto in questa categoria) è, sotto la maschera, un uomo “normale” che può essere ferito come tutti gli altri, morire, sbagliare, distrarsi… eppure quotidianamente affronta la morte contro i più incredibili e assurdi malfattori in giro per Gotham City. Si parla, in questi casi, di “regular guy acting at peak of human ability”. Nel caso Marvel un esempio potrebbe essere Iron Man ((Altro esempio altrattanto valido ma decisamente meno famoso è Hawkeye (Occhio di Falco nelle edizioni italiane), contraltare in casa Marvel del Green Arrow (Freccia Verde nelle edizioni italiane) della DC, che combatte il crimine solo imbracciando un arco e sfruttando le sue normali capacità fisiche ed una particolare abilità nello scoccare frecce con l’arco)) (alias Tony Stark), supereroe che, sfruttando la sua abilità di ingegnere, combatte il crimine indossando una armatura da lui stesso progettata. Un’armatura che, ribadiamo, protegge carne, ossa e sangue ordinari.

Nell’eroe si ritrovano quasi sempre gli stessi principi basilari; la forza, i valori morali e la volontà ferrea di difenderli attraverso la forza stessa. Molto spesso, inoltre, esiste un evento scatenante che sarà motivazione morale per la nascita stessa del supereroe; quasi sempre l’evento è di natura traumatica e sarà un leitmotiv di tutte le sue storie. Grossomodo questa descrizione fatta per l’eroe si può utilizzare per parlare dei nemici giurati degli eroi, i “cattivi” di turno: basterà sostituire ai valori morali (sani) dell’eroe quelli (distorti) del cattivo. Ma, come detto, il Supereroe è qualcosa in più di tutto questo. Il Supereroe “si distingue dalle sue origini particolari, dalle motivazioni oneste, dalla sua missione redentiva e dai suoi straordinari poteri ((Lawrence J.S. Jewett R., The Myth of the American Superhero, Wm. B. Eerdmans Publishing Co. 2002)). Ma questo mito, come vedremo alla nascita essenzialmente americano, per essere tale deve essere contraddistinto, almeno inizialmente, da altre caratteristiche che lo definiscono in maniera più dettagliata. Quasi per definizione, in principio, infatti il Supereroe “proviene dall’esterno della comunità che è chiamato a salvare e nei casi eccezionali durante i quali risiede all’interno della stessa il supereroe recita il ruolo del perdente idealista” ((Ibidem)).

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Superman, orfano di entrambi i genitori, arriva sulla Terra da solo e bambino; straniero in una terra in una terra per la cui salvezza e sicurezza lotterà senza risparmio. I caratteri fondamentali del Supereroe iniziano a delinearsi con maggiore chiarezza: “tollerante di fronte alla provocazioni, non chiede nulla per sé e resiste alle tentazioni. Rinuncia all’appagamento sessuale durante la sua missione e la purezza delle sue motivazioni gli assicura l’infallibilità morale nel giudicare le persone e le situazioni” ((Ibidem)). Mette quindi al servizio degli altri, mortificando le proprie necessità o il proprio ego, i suoi super poteri; la sicurezza che ostenta nell’agire e nel giudicare viene dal suo essere super partes, moralmente ineccepibile. Non si sostituisce alla legge vigente, cerca di affiancarsi ad essa forte della sua pulizia interiore e quasi mai il suo atteggiarsi a giudice sommario viene messo in discussione; “offre una forma di leadership senza pagare il prezzo delle relazioni politiche o corrispondere alle preferenze della maggioranza” ((Ibidem)). Il Supereroe non si preoccupa delle nostre banali liti su quale politico appoggiare; è al di sopra anche in questo e il suo scopo è permetterci di occuparci di queste stupide cose, difendendoci da malvagi ed assassini. “Il Supereroe ha come missione difendere la società, non reinventarla” ((Reynolds R., Super Heroes: A Modern Mithology, University Press of Mississipi, 1992)). Ovviamente tutto ciò ai giorni nostri appare decisamente eccessivo; la morale comune non approverebbe un tale comportamento anche se motivato dai più alti ideali e dalla ovvia buona fede: il Supereroe così definito alla nascita non vede la realtà come i nostri occhi la vedono. È spesso questa la sfida più dura per gli autori del fumetto moderno: far sì che un Supereroe tutto d’un pezzo, in grado di distinguere immediatamente la differenza tra bene e male, si confronti con un mondo dove il “panorama morale offre scelte in varie gradazioni di grigio piuttosto che in bianco e nero” ((Lawrence J.S. Jewett R., The Myth of the American Superhero, Wm. B. Eerdmans Publishing Co. 2002)). La nascita del Supereroe è ovviamente legata al periodo storico in cui avviene e ne riflette in pieno le origini geografiche, culturali, e anche, oseremmo dire, etniche.

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Dettaglio della copertina di Action Comics #1

Un interessante fenomeno che ci indica il periodo di gestazione della nascita del supereroe è quello dei cosiddetti “Pulps”. Questo termine ((“Pulps” è un plurale che abbrevia “Pulp magazines”; venivano indicati con questo termine perché stampati utilizzando la carta economica ottenuta dalla “woodpulp”. In particolare nell’accezione moderna del termine “pulp” è rimasta una connotazione negativa che evidenzia solo il carattere spesso dozzinale dei “Pulp magazines”.)) indica i piccoli volumetti ad altissima tiratura e distribuzione venduti al misero costo di dieci centesimi all’inizio degli anni ’20 in America. Nel giro di pochi anni divennero prodotto di successo, con un pubblico di milioni di avidi lettori che divoravano letteralmente le uscite che si susseguivano a ritmo vertiginoso. Proprio per questo motivo, erano prodotti in serie dagli scrittori, che spesso li realizzavano come in catena di montaggio, meccanicamente, semplicemente dando fondo alle loro fantasie più bizzarre e non riuscendo a stare talvolta dietro ai ritmi di produzione e infarcendoli con errori, anche di ortografia e sintassi, dovuti proprio ai ritmi vertiginosi di produzione. Questo però non impediva al lettore di cogliere il “senso” del prodotto: offrire storie fantastiche e avventure eccezionali. Ovviamente i romanzi potevano essere di vario genere, ma quelli che avevano più successo in assoluto erano quelli a sfondo fantastico (di genere “Science Fiction”) e quelli gialli (di genere “Detective”); molto spesso anche quelli più avventurosi venivano infarciti di presenze femminili per dare una spruzzata di sentimentalismo alle vicende o semplicemente per avere un personaggio (la damigella) da far salvare all’eroe di turno. È questo il pubblico, affamato di storie nuove, piene di invenzioni oggi apparentemente molto ingenue e banali solo perché lette (e, soprattutto, ampiamente saccheggiate nel tempo), che apprezzò e non poco la nascita del Supereroe, premiandolo con il successo pressoché immediato e in larga scala.

Dopo aver dettagliatamente indicato i prodromi nei paragrafi precedenti non temiamo smentite nel sostenere che la nascita del Supereroe come mito moderno come tutti noi lo concepiamo oggi coincide con la pubblicazione di Adventure Comics n.1. Quando il Supereroe mette piede sul nostro pianeta per la prima volta è, per dirla tutta, il Supereroe del suo tempo. Ogni periodo storico vedrà il suo “genere” di supereroe e quest’ultimo sarà sempre e comunque espressione del suo tempo ((Un chiaro esempio di come il fumetto supereroistico possa essere diviso in periodi è dato dalla miniserie di successo Marvels (di Kurt Busiek e Alex Ross) che, in quattro numeri, descrive, dal punto di vista dell’uomo comune, quattro periodi ben distinti della storia del “Marvel Universe” (il “cosmo” dove vivono i supereroi Marvel) fra i quali nette sono state le differenze nel modo di essere e di raccontare supereroi.)). Superman, così come i supereroi del fumetto sulla breccia da decine di anni (Batman o anche l’Uomo Ragno, per intenderci) ha attraversato, infatti, diversi periodi storici attraverso le reinterpretazioni degli autori secondo le sensibilità, le mode e talvolta persino il contesto politico del momento. Sono esistiti, e lo si potrà capire alla fine di questo speciale, anche se non riuscirà comunque a raccontarli tutti, tantissimi Superman, spesso anche contemporaneamente; parliamo di versioni realizzate per la televisione, per il cinema, per sceneggiati radiofonici, per ognuna delle tre (o talvolta cinque o più) serie regolari a fumetti alle quali hanno messo mano centinaia di sceneggiatori diversi in un periodo lungo settant’anni e passa. Il segreto del successo di Superman è stato anche questo, cercare di cavalcare i gusti e le richieste del pubblico, facendo in modo che il lettore non si sia mai reso conto che Superman c’era quando lui è nato, quando era bambino e anche ora che è un uomo anziano… Quindi il mito del Supereroe rende Superman sempre uguale a se stesso anche se sempre diverso nelle sue varie rappresentazioni: è un mito del “non cambiamento”; esiste solo l’illusione che il personaggio si evolve laddove in realtà resta fermo a raccogliere il successo verso il pubblico. “Superman deve dunque rimanere inconsumabile e tuttavia consumarsi secondo i modi dell’esistenza quotidiana. Possiede le caratteristiche del mito intemporale, ma viene accettato solo perché la sua azione si svolge nel mondo quotidiano e umano della temporalità” ((Eco U., Apocalittici e Integrati, Ed. Bompiani, 1964)).

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Il mito di Superman vive e sopravvive ai cambiamenti rapidissimi di gusto e mode degli ultimi decenni con una produzione di storie continua ed enorme. Non è l’unico mito degno di tale nome; per esempio, come fa notare Danny Fingeroth nel suo illuminato libro Superman on The Couch, il mito millenario di Gilgamesh ha almeno pari dignità di quello di Superman, ma “[…] non c’è nessun film di Gilgamesh che attiri masse di pubblico al cinema” ((Fingeroth D., Superman on The Couch, Continuum Books, 2004)). La capacità di reinventare il personaggio di Superman nella contemporaneità è chiave di questo successo:  è “[…] mito a condizione di essere creatura immersa nella vita quotidiana, nel presente, apparentemente legato alle nostre stesse condizioni di vita e di morte, anche se dotato di facoltà superiori” ((Eco U., Apocalittici e Integrati, Ed. Bompiani, 1964)). Ma, al di là di queste apparenze, i superpoteri di Superman non hanno quasi limite e lo innalzano di diritto sugli altri ben oltre il “picco” delle umane capacità. Si sentiva, contemporaneamente alla nascita di Superman, la necessità di leggere storie di personaggi che rappresentassero un’immagine “regolatrice” della società. Senza degenerare nel cosiddetto vigilantismo, che sarà più volte in seguito uno dei maggiori e più aspri rimproveri fatti al “genere” supereroistico, si avvertiva il piacere di trovare (almeno nelle rassicuranti pagine di un fumetto) qualcuno in grado di rimettere le cose a Superman_14_gennaio42posto. Per essere più chiari parliamo di quella che Daniele Barbieri ha genialmente teorizzato come “sindrome della lavandaia” che affligge tutti i supereroi: la voglia di mettere tutto a posto e in ordine secondo il proprio concetto di ordine, voglia tipica proprio delle massaie. Nelle prime storie di Superman emergeva un nuovo tipo di eroe popolare: “individualista e sicuro di sé che è lontano da gran parte delle banali preoccupazioni della società tuttavia in grado di agire secondo il proprio codice d’onore per farsi carico da solo [dei problemi] del mondo e vincere. […] L’insieme dei valori che [gli eroi] tradizionalmente difendono è riassunto dallo slogan distintivo dato a Superman “Truth, Justice and the American Way. Talvolta l’ultimo parte di questa frase viene interpretata in maniera strettamente nazionalistica… ma molto più spesso…  ha rappresentato gli ideali alla base della Costituzione degli Stati Uniti” ((Reynolds R., Super Heroes: A Modern Mithology, University Press of Mississipi, 1992)). Una volta radicatosi nei gusti della gente, però, il mito del supereroe ha spesso travalicato con grande scioltezza i vari mezzi di comunicazione, confermandosi mito trasversale sia per quel che riguarda il tipo di mezzo che il genere di pubblico. Un “cartoon” di Superman può attirare bambini, una serie TV come “Smallville” può essere apprezzata dai teen-ager, un fumetto disegnato da Alex Ross può essere apprezzato da anziani signori studiosi dell’arte classica; e questo anche se gli stessi bambini, teen ager o anziani signori sono di culture, razze e paesi diversi. L’uomo della strada può vedere in Superman la realizzazione delle sue maggiori e migliori aspettative; Superman è spesso quindi quell’ottimo che noi non potremo mai raggiungere al massimo delle nostre capacità. Molte volte addirittura, riducendo volontariamente o no la portata della creazione artistica di Siegel & Shuster, la si è definito come lo “sfogo di due ragazzini frustrati” (come scritto testualmente in vari libri che non tengono conto del fatto che i due autori nel 1934 avevano vent’anni e non quattordici) che hanno pensato di incarnare in un personaggio tutto quello che non potevano essere (uomini forti, belli, di successo con le donne…) ma troviamo questa visione davvero molto riduttiva. Lo schema utilizzato dai due giovani autori codifica il Mito del Supereroe moderno sia nei suoi aspetti positivi che in quelli negativi; a distanza di decenni, infatti, è risultato evidente anche il limite della gabbia narrativa nella quale era stato fatto crescere Superman. Come sottolineato in uno dei primi studi sul Supereroe, affinché il Supereroe sia Mito deve crescere e vivere le sue mille storie essendo, nel corso del tempo, paradossalmente sempre uguale a se stesso. Questo “non vivere” nella contemporaneità e nel susseguirsi delle vicende narrate negli albi a fumetti e nelle strisce giornaliere sui quotidiani è ciò che permette a Superman di rimanere Mito anche oggi, dopo tanti anni dalla sua nascita. Questo non-procedere del tempo, questo non-miglioramento causato alla mancanza di progresso è sicuramente un difetto, ma è funzionale al successo del personaggio. La struttura narrativa utilizzata da Siegel e dagli autori che lo hanno succeduto fa sì che il lettore creda che le azioni si svolgano illusoriamente sempre nel presente; “poiché il mito non è isolato esemplarmente in una dimensione di eternità ma, per essere compartecipabile, deve essere immerso nel flusso della storia in atto, questa storia viene negata come flusso e vista come presente immobile” ((Eco U., Apocalittici e Integrati, Ed. Bompiani, 1964)). Questo non fluire del tempo ha causato negli anni parecchi problemi ai vari autori che si sono succeduti nello scrivere le storie di Superman e vedremo più avanti come sia stato affrontato e risolto nel tempo. 

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