A ripercorrere i primi cinquant’anni di avventure a fumetti di Spider-Man, un dato colpisce in maniera particolare. Basta aprire a caso un qualunque albo del personaggio, dal celeberrimo Amazing Comics degli esordi fino all’Ultimate Spider-Man di oggi. In una vignetta Peter Parker discute con l’adorabile zia May e in quella successiva si ritrova al campus alle prese con le contestazioni per la guerra in Vietnam. Un episodio prima l’Uomo Ragno insegue Goblin tra i grattacieli della Grande Mela e, in quello dopo, lo vediamo piangere i caduti dell’11 Settembre, tra le rovine di Ground Zero.
Che questo effetto “Forrest Gump”, questa commistione tra storie e Storia, sia una caratteristica saliente di tutto l’universo Marvel allestito da Stan Lee & Soci lo sappiamo bene. Ma è impossibile trovare un altro eroe della Casa delle Idee, in cui il dispositivo narrativo della continuity finzionale si sovrapponga in maniera così partecipata allo scorrere del tempo reale, in cui l’afflato kennedyano del “da grandi poteri derivano grandi responsabilità” trovi una altrettanto compiuta poetica nel tempo.
In questo senso, lo speciale che Lo Spazio Bianco dedica ai cinquant’anni del “Tessiragnatele” non rappresenta solo il (doveroso) omaggio all’anniversario di un personaggio di successo, ma anche una riflessione articolata su un modo di raccontare che ha marcato l’evoluzione del fumetto seriale e che in Spiderman ha toccato i suoi vertici creativi e produttivi, senza mai fermarsi.
Il segreto di questo costante successo sta infatti anche, se non soprattutto, nella capacità del personaggio di crescere insieme al proprio pubblico. Certo “crescere” è sempre un termine ambiguo quando parliamo di individui di carta e inchiostro. Peter era un ragazzo negli anni Sessanta, quando il morso del ragno radioattivo gli donò poteri straordinari, e ha continuato ad essere rappresentato come un ragazzo – o meglio un giovane uomo – anche negli anni Sessanta e Ottanta. Ma, grazie anche ai lifting plastici e figurativi, più o meno indovinati, praticati dagli autori, ha sempre saputo essere un personaggio al passo con i tempi. Ha costituito un “eroe specchio” per diverse generazioni di lettori, tant’è che ormai non è difficile trovare per strada, a New York come a Busto Arsizio, papà trentenni e quarantenni che indossano disinvoltamente magliette con l’effige dell’Uomo Ragno, mentre portano a spasso i loro pargoli rigorosamente griffati anch’essi con spider-gadget vari.
Il che vale, oltre che come nota di colore, per comprendere gli ottimi riscontri transmediali ottenuti dall’“arrampicamuri” sul grande schermo, nei cartoon televisivi, nei videogame. Lo spider-franchise ha attecchito ovunque la serie potesse trovare un suo rilancio spettacolare e pazienza se i puristi del canone ragnesco non si ritrovano in quella o quell’altra versione.
Di fatto, il perdurare del personaggio è stato il frutto della duttilità della fabula, la capacità del racconto di riassesttarsi su toni diversi, ora drammatici, ora scanzonati, mantenendo intatta nel tempo la propria vitalità e, non meno importante, una sostanziale autoironia. Dove altro lo trovate un supereroe, ad esempio, che combatte con il supercattivo sul tetto di casa, cercando di non disturbare troppo il riposo dell’adorabile zia con cui vive? Fa tutto parte della cifra stilistica particolare che Stan Lee e i suoi eredi hanno conferito alla serie, creando una fortissima continuità drammaturgica tra vissuto pubblico e privato del personaggio.
Sta tutto nella magnifica leggerezza di quella tela, con cui l’eroe volteggia sopra ai grattacieli della Grande Mela, destreggiandosi tra le macchinazioni dei nemici dell’Uomo Ragno e le complicazioni quotidiane di Peter Parker.
È in quella ragnatela che milioni di lettori continuano a rimanere ancora oggi, dopo cinquant’anni, piacevolmente intrappolati.
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