Charles Adlard è un fumettista inglese cinquantenne probabilmente fra i più famosi al mondo; nonostante realizzi albi in bianco e nero in un mercato dominato dagli albi a colori da dieci anni e passa è al timone di un fumetto che continua a macinare successi di pubblica e di critica negli Stati Uniti.
Dal numero 7 (e sono ormai più di 150 numeri consecutivi) è infatti al il disegnatore della serie Image The Walking Dead, scritta da Robert Kirkman, successo planetario che ha dato il via alla omonima serie TV, ormai alla settima stagione.
A Lucca, ospite della casa editrice saldaPress che pubblica in Italia il materiale edito dalla etichetta di Kirkman, si è concesso a molte interviste e ad incontri con il pubblico, mostrando una notevole disponibilità e schiettezza.
Lo abbiamo incontrato per porgergli alcune domande.
Salve Charles e grazie della tua disponibilità. Uno dei pregi di TWD sta nel disegno diretto, chiaro, eppure evocativo e sporco quanto serve. È stato impegnativo trovare il giusto feeling con l’ambientazione e il tono della serie?
Non ho (avuto) problemi per trovare il giusto feeling nel disegnare la serie. Ho sempre fatto molto affidamento alla professionalità; spesso senti raccontare dagli autori che per loro è fondamentale andare in un ufficio, in uno studio a lavorare, ogni giorno dalle 9 alle 17, sedersi al computer e scrivere. Non importa se cose buone o non buone. Hanno uno scopo, scrivere 10.000 parole al giorno. Per me è lo stesso. Vado ogni giorno al lavoro con la convinzione di dover realizzare un tot numero di tavole al giorno. È un processo che funziona, almeno per me. Magari altri aspettano la Musa Ispiratrice; io non posso farlo perché non disegnerei nulla.
Semplicemente inizi…
Inizio; non ho mai avuto problemi nell’approcciare la tavola da disegnare. Non ho il complesso della pagina bianca; ho la sceneggiatura. Magari è qualcosa che gli scrittori possono avere, visto che loro letteralmente iniziano dal nulla. I disegnatori hanno almeno un qualcosa a cui ispirarsi: hanno indizi visivi da seguire.
Paradossalmente, per me, è molto più difficile alle convention realizzare disegni per il pubblico. C’è sempre poco tempo e i fan spesso chiedono: “disegna quel che vuoi”. Beh, in quei momenti, magari con lo stress dei viaggi, dei molti impegni, la mia mente è completamente vuota. Lo chiedono come per farmi un favore, ma nei fatti mi complicano la vita!
A quel punto parto con i personaggi di The Walking Dead, di default! E se penso ad altri lavori che ho fatto, visto che sono così preso dal lavoro attuale, comunque non mi viene in mente nulla. E allora disegno Rick, o Negan…
In un mercato in larga parte dominato dal fumetto a colori cosa significa lavorare con il bianco nero, solitamente prerogativa di opere indipendenti e lontane dalle major?
Non ho mai disegnato espressamente per il colore, né per la stampa in bianco e nero. Non l’ho mai fatto consapevolmente, almeno. Sono un disegnatore che normalmente utilizza moltissimo nero e quindi quando togli il colore (dai lavori colorati) non sembra una gran perdita. Penso che disegnare espressamente per il colore sia un talento e apprezzo chi lo sa fare ma non è il mio modo di lavorare. Per questo penso che per chi deve, colorare i miei disegni sia una specie di sfida.
Non sempre i disegnatori son contenti di come son colorate le proprie chine.
Io ora sto solo realizzando le matite della serie TWD; vale anche per le inchiostrature. Non è una cosa che mi rende felice, è più una necessità (di tempo). Io penso di essere il miglior inchiostratore delle mie matite. Non voglio togliere nulla al lavoro di Stefano (Gaudiano, l’italiano attuale inchiostratore delle matite di Adlard –ndr), che ritengo sia davvero spettacolare, in assoluto il miglior inchiostratore che io possa mai avere. A parte me stesso, come dicevo!
La mia frustrazione è di non aver abbastanza tempo per fare anche gli inchiostri.
Cosa che invece sto facendo nella storia (serializzata in piccole parti) sulle origini di Negan. Disegno quasi nella stessa dimensione della pagina di fumetto e mi diverto tantissimo ad inchiostrare; la dimensione del foglio (ridotta rispetto a quella che utilizzano di solito i disegnatori dei comic book statunitensi) mi permette di avere uno sguardo di insieme di tutta la tavola senza dovermi allontanare.
Uno degli autori che più ammiro e che più mi ha influenzato è Alex Toth: mi piacerebbe riuscire a disegnare come lui e riuscire a esprimere quel che devo raccontare in così pochi segni. Questa è una mia mira. Uno dei motivi per i quali disegno in questo formato è cercare di raggiungere quella essenzialità e sintesi.
Ormai The Walking Dead è un fenomeno “pop” internazionale, grazie anche al buon lavoro svolto sulla trasposizione televisiva. La fiction ha in qualche modo influenzato il tuo lavoro sul materiale prodotto successivamente al suo inizio?
In nessun modo. Siamo noi, gli autori del fumetto, che hanno il controllo del serial tv, non il contrario. Lavoro sempre allo stesso modo, forse ho solo più attenzione addosso. Vivo in una piccola città delle dimensioni simili a quelle di Lucca credo. In campagna. L’aeroporto più vicino si raggiunge con una strada che non è un granché. Non sono certo influenzato da quanto accade nella sede di produzione del serial a mezzo mondo di distanza. Vivo e lavoro in campagna. Mi siedo ogni giorno al tavolo da lavoro e disegno. Non penso di star disegnando un fumetto che può raggiungere duecentomila persone o milioni considerando tutte le edizioni per lettori che non leggono gli originali in inglese. Non ci penso che sto disegnando un fumetto che offre le basi per un serial TV che viene visto da decine di milioni di spettatori.. Se ci pensassi troppo forse non disegnerei più!
Magari da domani ci penserai grazie a questa intervista.
Eh, grazie… (ride). Alla fine è solo un fumetto. Ed è quello dal quale viene la serie TV. Ogni cosa che ne è venuta fuori è una estensione naturale del fumetto e quindi non c’è motivo per cambiare il modo di realizzarla.
Sei stato coinvolto in alcun modo nelle trasposizioni per quanto riguarda la resa visiva (dei personaggi, delle ambientazioni – serie TV o altro-)?
No, mi occupo solo del fumetto e va benissimo così. E in questo modo fornisco con i miei disegni alcuni indizi visivi che vengono seguiti nella serie TV quindi in un modo o nell’altro talvolta realizzo una specie di pre-storyboard. Non è successo, non perché non mi sia stato chiesto, probabilmente perché non ci abbiamo pensato all’epoca. In ogni caso mi sarei dovuto trasferire negli Usa perché altrimenti non sarebbe stato possibile.
Sono comunque cose diverse ed io sono coinvolto al massimo solo nel fumetto di The Walking Dead. E anche in altri progetti che presto si vedranno in giro.
TWD segna la tua permanenza più lunga su una serie e la tua collaborazione più duratura con uno sceneggiatore. Come è iniziata la collaborazione con Kirkman e come è cresciuta nel tempo?
Dunque, iniziamo dal principio. Ho conosciuto Robert Kirkman tramite un amico comune, lo scrittore Joe Casey, scrittore di fumetti e anche uno dei creatori di Ben Ten tra l’altro. Ci siamo incrociati un paio di volte in Convention di fumetti in Usa (parliamo della fine degli anni novanta).
Mi scrisse una email chiedendomi se volessi disegnare la serie The Walking Dead e sto ancora disegnandola… Negli anni è cambiato pochissimo, quasi nulla. Solo il fatto, probabilmente, che ora è molto più difficile riuscire a parlare con Robert che è sempre molto impegnato. Non abbiamo il tempo di comunicare come vorremmo. Sono stato alla Convention di San Diego questo anno e in quattro giorni e mezzo abbiamo avuto solo il tempo di un pranzo insieme. Non c’è paragone con quello che succedeva negli anni precedenti. Immagino sia il prezzo del successo.
L’orrore, i non morti, sono sì l’argomento centrale della serie, ma anche un pretesto per parlare dei vivi, delle tensioni tra personaggi, di cosa resti quando la civiltà costituita non tiene più le persone sotto un insieme di valori comuni. Quanto è importante la recitazione dei tuoi personaggi, l’espressività e quanto ti basi su supporti reali, come le foto, per infondere realismo nei loro volti e nelle loro pose?
Cerco di non utilizzarle. Penso diano un elemento di disomogeneità. Vedi che in alcune vignette i volti sono ripresi da foto ma in altre, in cui sono girati, non somigliano molto… cose che spesso si notano, oppure occhi che non sono in asse. Cerco di evitare di utilizzarle. Ma realizzare le espressioni dei personaggi senza utilizzare reference è una delle cose che mi eccitano di più. Sicuramente più di disegnare qualunque zombi; nei fatti per me sono la parte più noiosa dell’albo da disegnare. Non credo siano interessanti, devi solo realizzare un mucchio di simil-mostri…
Che di certo non sono il focus del racconto.
No, per nulla. Sai cosa è un MacGuffin in una storia. Un pretesto per poter raccontare una storia, ma non la parte più importante della storia, nemmeno lontanamente. Un sotterfugio. Ecco, non dico che gli zombie sono i MacGuffin della storia ma quasi: sono un processo per portare i protagonisti in situazioni sempre peggiori.
Sono i personaggi (e per me che li disegno, la loro espressività) ciò che mi interessa della storia e ciò che mi da la forza di mettermi al tavolo da disegno con sempre la stessa voglia. Da dodici anni.
Dove ti vedi fra dieci anni?
Beh, avrò sessanta anni… Ti dirò, mi vedo ancora a disegnare, ovviamente. Perché è quello che ho sempre voluto fare. Sono un autore molto fortunato. Perché la serie che sto disegnando mi sta dando la possibilità di scegliere eventualmente quali fumetti realizzare dopo o durante la realizzazione di The Walking Dead. Ora come ora se mi piacesse un progetto potrei decidere di effettuarlo anche gratis perché posso permettermelo.
Grazie mille per l’intervista e a presto!
Intervista rilasciata dal vivo durante Lucca Comics & Games 2016.
Riferimenti:
Il sito di Charles Adlard.
Il sito dell’editore saldaPress.
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