Il fumetto, che di natura può esser visto come un ibrido tra disegno e scrittura, e non solo a partire dal boom di progetti cinematografici, ha avuto stretti rapporti di interscambio con altri media. Possiamo partire parlando per esempio dello scambio di soggetti fra libri e fumetti (il ciclo “Dark Tower” di Stephen King, per dirne uno) ((La torre nera è una serie di romanzi di fantasy, fantascienza, horror, e western dello scrittore americano Stephen King, adattata in forma di fumetto per Marvel Comics – in Italia Panini Comics – da Peter David e Robin Furth, illustrata da Jae Lee, sotto la supervisione dello stesso King it.wikipedia.org/wiki/La_torre_nera_%28serie%29 )) . Questo atto si traduce semplicemente con la possibilità di aggiungere immagini ad un racconto?
Nei casi peggiori, sì.
Questa, perlomeno, è stata la via tradizionale alla commistione tra generi, quella che tanto i fumetti, quanto il cinema, hanno seguito fino a poco tempo fa. Ultimamente le cose però stanno prendendo una piega diversa, forse perché sempre più autori nati dal ’70 in poi sta arrivando alla stanza dei bottoni, influenzando il modo di concepire e mettere in pratica questo tipo di operazione. E le cose andranno sempre più velocemente con l’arrivo delle generazioni più recenti di nativi digitali.
La verità è che di fondo c’è sempre la scrittura, il grande codice sorgente di qualsiasi opera creativa.
E si badi, dicendo questo, comprendo anche arti strettamente figurative come la pittura e la scultura che sono portatrici sane di una scrittura implicita che viene prima del gesto e che codifica il pensiero.
“In principio venne il verbo“, recita un libro fantasy piuttosto popolare ((ovviamente, si intende la Bibbia)). Ed è vero.
Ma sto divagando. La scrittura dicevo, intesa come idee e concetti codificati attraverso un qualche media, oppure declinati attraverso tutti, alcune volte, tutti insieme.
Parlando di passaggio dal fumetto alla narrativa (come i vari romanzi con personaggi DC realizzati in Usa), si rende forse concreta la voglia di rendere più nobile un soggetto (presumendo quindi da parte dei realizzatori la minore nobiltà del medium fumetto)?
No. Per me si rende concreta solo la voglia di renderlo più facilmente decodificabile e la strada che si intraprende, di solito, è sempre la stessa: il realismo. Se qualcosa somiglia al reale è più facile da capire per un pubblico sempre meno educato a linguaggi elaborati.
Per farla molto semplice: la massa dice “bello” davanti a Caravaggio perché sembra “reale” e questo somiglianza con il vero è un facile metro di qualità. È per quello che i grandi film di supereroi, quelli che costano tanto e hanno davvero bisogno di raggiungere il pubblico più massificato possibile, sono tutti all’insegna del “facciamoli realistici, riduciamo lo sforzo di sospensione di incredulità richiesto“. E allora ecco le tutine da motociclista per gli X-Men e Devil, al Batman che si muove in una banalissima Detroit e ha un UMVE al posto della Batmobile e via dicendo.
Del resto, c’è pure da capirli: prodotti stilizzati con Kick-Ass ((Kick-Ass (USA, 2010), diretto da Matthew Vaughn, tratto dalla miniserie a fumetti scritta da Mark Millar e disegnata da John Romita Jr. it.wikipedia.org/wiki/Kick-Ass_%28film%29 )), Speed Racer ((Speed Racer (USA, 2008), regia dei fratelli Wachowski, adattamento cinematografico della serie animata giapponese Mach Go! Go! Go! it.wikipedia.org/wiki/Speed_racer )) e Scott Pilgrim ((Scott Pilgrim vs. the World (USA,. 2010), regia di Edgar Wright, tratto dalla serie a fumetti di Bryan Lee O’Malley, edita in Italia da Rizzoli/Lizard it.wikipedia.org/wiki/Scott_Pilgrim_vs._the_World )) non hanno spaccato il botteghino come ci si aspettava.
Il problema è che il pubblico ha perso la sua capacità di decodifica e questa è pure la ragione per cui, nel fumetto americano, sempre di più dilaga lo stile realistico, basato su fotografia, a discapito di quello più propriamente fumettistico. C’è pure da dire che questo “problema” è stato anche uno delle grandi armi segrete su cui la Bonelli ha cementato la sua posizione e che sta alla base dei maggiori successi francesi (XIII, Largo Winch ((due serie a fumetti franco/belghe: XIII è scritta da Jean Van Hamme e disegnata da di Philippe Francq (in Italia per Panini Comics); Largo Winch è opera di Philippe Francq e Jean Van Hamme (in Italia per Aurea Editoriale) )) e via dicendo).
Ben più complesso il rapporto tra fumetto e cinema.
Al cinema stiamo assistendo alla nascita di un nuovo genere, un post-cinema che ha ibridato il suo linguaggio naturale con quello dei videogiochi, dei fumetti e del linguaggio televisivo. È il cinema della post-produzione, il cinema di After Effect ((Adobe After Effects è un software di animazione grafica e Video editing di livello professionale it.wikipedia.org/wiki/Adobe_After_Effects)). Alcuni esempi sono stati inquietanti e fallimentari, come Sin City ((Sin City (USA, 2005), film di Robert Rodríguez e Frank Miller, con il contributo come ospite di Quentin Tarantino, tratto dall’omonima serie a fumetti dello stesso Frank Miller it.wikipedia.org/wiki/Sin_City_%28film%29. Si consiglia anche la lettura di questo approfondimento I linguaggi e Frank Miller)) o The Spirit ((The Spirit (USA, 2008), adattamento del personaggio di Will Eisner diretto da Frank Miller it.wikipedia.org/wiki/The_Spirit_%28film%29 )), altri hanno generato delle onde lunghe che stanno spostando la palla della narrazione un poco più avanti. Speed Racer ha preso molti stilemi videoludici e li ha trasformati in elementi narrativi (come la corsa contro un ghost nella scena iniziale), mescolandoli poi con effetti e soluzioni tipiche dell’animazione giapponese ma trasportandole in un ambito live action. Il film, alla sua uscita, è stato poco capito ma il suo esempio è stato seguito da vicino da un film come Scott Pilgrim vs. the World. I due Crank ((Crank (USA, 2006) e Crank: High Voltage (USA, 2009), regia di Mark Neveldine e Brian Taylor it.wikipedia.org/wiki/Crank it.wikipedia.org/wiki/Crank:_High_Voltage )) hanno “rubato” struttura narrativa, inquadrature e ritmi alla serie di videogiochi di Grand Theft Auto ((Grand Theft Auto è un videogioco per computer e console creato da DMA Design (ora Rockstar North) nel 1197/1998 it.wikipedia.org/wiki/Grand_Theft_Auto)), diventando il miglior esempio di film tratto da un videogioco senza esserlo davvero.
District 9 ((District 9 (USA/Nuova Zelanda,2009), diretto da Neill Blomkamp, co-sceneggiato in collaborazione con Terri Tatchell e prodotto da Peter Jackson it.wikipedia.org/wiki/District_9 )) ha pesantissimi debiti nei confronti della saga videoludica di Half Life e con quella di Halo ((due tra i più noti sparatutto in prima persona, che hanno generato due serie di successo: Half-Life è stato sviluppato da Valve Software e pubblicato da Sierra On-Line it.wikipedia.org/wiki/Half_life; Halo è stato sviluppato da Bungie Studios e pubblicata da Microsoft it.wikipedia.org/wiki/Halo)). Il futuro Sucker Punch ((Sucker Punch (USA, previsto per il 2011) diretto da Zack Snyder it.wikipedia.org/wiki/Sucker_Punch_%28film_2011%29 )) di Snyder sembra, solo da trailer, in grado di ridefinire per sempre il concetto di quello che si può fare in un film e quello che non si può, mescolando soluzioni visive e narrative prese di peso dai videogiochi, dagli anime giapponese, dalla televisione, dai fumetti americani e francesi e via dicendo. Per assurdo, i prodotti più tradizionali in tale senso, sembrano proprio quelli fortemente legati alle licenze. Perché per ogni Speed Racer o Scott Pilgrim che cercano di sperimentare partendo da un nome, più o meno noto, ce ne sono mille che invece giocano sul sicuro, realizzando prodotti convenzionali che si limitano a portare su schermo le vicende fumettistiche, utilizzando un linguaggio cinematografico tradizionale (tutti i grossi film su licenza dei supereroi, per esempio).
Pensiamo al percorso inverso, dal cinema al fumetto. Spesso si tratta di riduzioni commerciali di bassissimo livello artistico (copie pedisseque del film) ma altre volte sono stati presi spunti importanti per cicli narrativi molto interessanti realizzati da fior di autori (Star Wars, ad esempio). L’impossibilità di essere attraenti con un prodotto di “parole e immagini disegnate” quando la fonte era “parole e immagini in movimento”?
Non lo so. Io credo che la qualità medio bassa di questi prodotti derivi, in maggior parte, da problemi economico-produttivi. Un adattamento a fumetti di un film di solito viene realizzato in tempi stretti e con un controllo qualitativo inadeguato e succube di logiche che poco hanno a spartire con la buona riuscita, o meno, del fumetto stesso. In casi in cui, invece, c’è stato modo di avere il tempo adeguato, artisti validi e poche pressioni, abbiamo assistito alla nascita di buoni prodotti. Non scordiamoci che la Dark Horse nasce e diventa grande proprio in virtù dei suoi ottimi fumetti derivati da film di culto.
Una via abbastanza battuta in passato e sempre valida: dal fumetto al videogioco. La possibilità di muovere i propri personaggi preferiti… la gioia di tutti i nerd?
Mica tanto.
Sono pochi i buoni videogiochi tratti dai fumetti e, comunque, fino a questo momento, non ci sono stati titoli in grado di coniugare le specifiche del fumetto con quelle del videogioco. Anche un ottimo titolo come Batman: Arkham Asylum ((Batman: Arkham Asylum è un videogioco del 2009, sviluppato da Rocksteady Studios e distribuito da Eidos Interactive it.wikipedia.org/wiki/Batman:_Arkham_Asylum )) non ha praticamente nulla a che spartire con il linguaggio fumettistico, per quanto si basi su personaggi nati nei fumetti. Per molti versi, è andata molto meglio nel processo inverso.
Parliamo allora di questo passaggio, dal videogioco al fumetto (esempio a caso, Tomb Raider), come dal videogioco al cinema. Non si rischia di perdere, in questo caso, parte del divertimento, visto che dal poter essere chi muove l’avventura diventi soggetto passivo del racconto?
No. Non credo. Film, fumetti e romanzi basati sui videogiochi hanno ampio margine di manovra perché possono andare a dare spessore a quello che, nonostante i grossi passi in avanti fatti negli ultimi anni, rimane il punto debole del medium videoludico, ovvero la componente narrativa.
Il lettore di questi prodotti non li legge per avere restituite le stesse sensazioni del videogioco (se fosse per quello, gli basterebbe giocare ancora) ma per calarsi in quel contesto e, magari, approfondirne la conoscenza, andandone a esplorare lati che erano preclusi all’esperienza videoludica.
Certo che se si realizza un fumetto da un videogioco, puntando a replicarne il tipo di coinvolgimento, si perde in partenza.
Per non parlare di vere e proprie triangolazioni da cartoni animati/fumetti/videogiochi/cinema (Transformers, ma anche Heidi!), oppure fumetti/cartoni animati/videogiochi/film (Ninja Turtles), e così via. Ma la lista a questo punto diventa infinita. Esistono personaggi di fiction che sono rappresentati praticamente in ogni modo (narrativa, fumetti, cinema, cartoni animati…). Sembra ormai fondamentale.
È il discorso che facevo all’inizio.
La scrittura è alla base di tutto.
E una buona scrittura, non ha prezzo perché può essere declinata in qualsiasi media.
È per questo che, adesso, la vera guerra si combatte nel campo delle proprietà intellettuali, delle idee.
In Italia c’è stata un po’ di resistenza a lasciarci prendere da questo vortice inter/intrattenimento. Il fumetto italiano prende e dà poco (o molto di meno rispetto all’estero) da e agli altri media?
Il fumetto italiano, volenti o nolenti, è Sergio Bonelli. E Sergio Bonelli è una persona e ha i suoi gusti e le sue idiosincrasie.
Se non c’è una disponibilità da parte sua a spingere in questo senso, il meccanismo si inceppa in partenza perché lui rappresenta se non la totalità del mercato, almeno il 75-80%.
Detto questo, ogni tanto capita qualche eccezione, sia in Bonelli, sia fuori. E magari finisce che John Doe te lo ritrovi su IMDB come progetto in fase di sviluppo.
Da non molto si sono affacciate sul mercato poi nuove piattaforme multimediali che, paradossalmente, rendono possibile l’accesso (iPad su tutti) praticamente a tutti i formati di entertainment (videogioco, film, fumetto, narrativa). Un’unica idea da sviluppare (Le Avventure di Superman) attraverso più media usufruibili da un unico mezzo.
Sì. Per me è straordinario.
Una buona idea. Infinite declinazioni.
Entro pochi anni chi fabbrica idee sarà al vertice della piramide.
Alcuni tuoi personaggi a fumetti potrebbero essere protagonisti di film, videogiochi d’azione, anche romanzi. David Murphy cosa avrebbe da invidiare ad un film d’azione di spirito made in Usa?
Io l’ho scritto pensando che fosse un film prodotto da Brukeimer e diretto, ovviamente, da Bay.
C’è pure da dire che questo è spesso il limite del mio linguaggio fumettistico che è, talvolta, troppo debitore di quello cinematografico per riuscire davvero a sfruttare le potenzialità del medium fumetto.
Spesso, nei passaggi tra un mezzo e l’altro il creatore del personaggio o della storia perde il controllo del processo creativo (esempio: Watchmen). Alcuni adattamenti (alla “Dylan Dog”) cambiano punti importanti delle opere. Pensi sia fisiologico ed accettabile? Tu l’accetteresti?
A me non frega assolutamente nulla.
Il mio fumetto è quello che viene stampato. Nessun può cambiarlo di una virgola.
Un film, un videogioco, una serie televisiva, sono prodotti altri che, partendo dalla mia idea, la piegano alle necessità del loro linguaggio. Punto.
Per me un qualsiasi film, fumetto o videogioco tratto da qualcosa, deve essere solo valutato in quanto tale e non in funzione di qualcosa.
Se dovessi valutare Shining ((Shining (USA, 1980), diretto da Stanley Kubrick e basato sul romanzo omonimo di Stephen King, a cui il film non piacque assolutamente per la scarsa aderenza all’originale, tanto da sceneggiarne una serie TV (USA, 1997) per la regia di Mick Garris it.wikipedia.org/wiki/Shining_%28film%29)) in funzione del suo rapporto con il romanzo dovrei ritenerlo spazzatura. Invece è un capolavoro. E anche il romanzo, che è del tutto diverso, lo è.
Pensi che l’approccio nel realizzare storie a fumetti, nell’ottica di possibili novità, adattamenti e sfruttamento delle storie al di fuori del fumetto stesso, possa cambiare per essere meglio “adattabile”?
Credo che sia già cambiato.
Specie in America e in Giappone, dove la macchina dell’intrattenimento funziona meglio che da noi e in Francia.
È inevitabile e per quanto, sicuramente, porterà a delle aberrazioni, sul lungo periodo credo che sarà una buona cosa che ci arricchirà sia in termini culturali, sia in termini economici.
Venendo a te, tra poco il tuo (e di Lorenzo Bartoli) personaggio John Doe riprenderà il suo cammino editoriale. Si tratta di una “ripresa” di cammino o lo consideri un nuovo inizio?
Entrambe le cose.
Tornare a scrivere JD è stato tremendamente difficile sia perché avevo mentalmente abbandonato il personaggio, sia perché non ero più abituato ai ritmi produttivi frenetici di un bonellide. In più, ho dovuto trovare una maniera per scrivere un numero uno che fosse fruibile sia il primo albo di una nuova serie, leggibile da chiunque, sia come il seguito di quanto fatto finora, per non scontentare i vecchi lettori.
Divertente. Ma difficile.
Se dovessi selezionare, così, per il gusto di fantasticare, qualche storia di John Doe da trasporre in film, quale storia (o trama) ritieni sarebbe più adatta ad una trasposizione?
John Doe sarebbe una serie televisiva perfetta. In quel caso, si tratterebbe solo di adattare il materiale e ci sarebbe da sacrificare davvero poco.
Comunque, non sarebbe un compito che spetterebbe a me.
E se volessimo, sempre per il gusto di fantasticare, organizzare un casting call per John Doe? Quali sarebbero gli attori “perfetti” avendo budget illimitato e produzione Usa?
Per John io vedrei bene quella gran faccia da culo di Bradley Cooper, oppure Julian McMaoh. Poi vorrei Tom Bosley nel ruolo di Pestilenza, ovviamente e, altrettanto ovviamente, Ronald Lee Ermey in quello di Guerra. Mi divertirebbe avere Cher nella parte di Morte, Sigourney Weaver nel ruolo di Fame e qualche biondina inutile in quella di Tempo, una come Scarlett Johansson. Alla regia, Jason Reitman ma con qualcuno bravo nelle scene d’azione alla seconda unità.
E se dovessimo realizzarlo in Italia?
No, grazie.
E se invece di essere fanta-trasposizione, un progetto di un film su John Doe fosse già sulla scrivania di qualcuno?
Come lasciavo intuire prima, JD è diventato un progetto in fase di sviluppo in quel di Hollywood e una bella produzione ha fatto un lavoro straordinario, riuscendo a sintetizzare e a dare coerenza a tutta la vicenda. Ovviamente, non è detto che questo progetto riesca a diventare davvero un film o una serie televisiva, ma c’è stato l’interessamento di alcune personalità davvero grosse e siamo sulle giuste scrivanie.
E con questa interessante rivelazione, ringraziamo Roberto per la disponibilità, aspettando con curiosità le future evoluzioni extra-fumettistiche di John Doe.
Riferimenti:
La pagina IMDB sul progetto cinematografico John Doe: www.imdb.com/title/tt1719037
Dalla Parte di Asso Merrill, il blog di Roberto Recchioni: prontoallaresa.blogspot.com
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