di Moreno Burattini e Graziano Romani
Personaggi e interpreti
Quando un disegnatore viene chiamato a confrontarsi con un eroe come Tex, non consegna al giudizio dei lettori soltanto le sue tavole. Affida loro anche la sua interpretazione del personaggio. Il verbo interpretare rimanda immediatamente al talento di un attore che, appunto, è interprete di una pellicola o di un testo teatrale, dove dà vita a una figura che prima del suo sforzo esisteva soltanto nelle parole di un copione. Ma c’è qualcosa di più, che vale la pena di cogliere e sottolineare, nell’etimologia di questi termini collegati fra di loro. Alla loro base c’è la preposizione latina inter, che significa “fra” e la radice del verbo greco phrazein, cioè “mostrare”, “spiegare”. Chi interpreta, mette in comunicazione colui che ha qualcosa da dire con chi quel qualcosa deve capire.
L’interprete è un mediatore: infatti lo si dice anche di traduce, facendo intendere fra loro persone che parlano lingue diverse. Interpretare significa trasmettere, veicolare, illuminare di nuova luce perché altri possano vedere quel che prima non riuscivano a scorgere. Indubbiamente è questo che fa chi recita: comunica idee ed emozioni. Mette in comunicazione l’universo immaginato dall’autore di un testo, con la sensibilità del pubblico. E che riesca a suscitare maggior o minore interesse, commozione o divertimento, dipende dalla bravura dell’artista e dall’efficacia della sua interpretazione. Nessun interprete è uguale a un altro. Nell’antichità, gli oracoli che divinavano il futuro interpretavano i segni inviati dagli dei attraverso il volo degli uccelli o le interiora degli animali. Sono interpreti anche coloro che spiegano i sogni. Quest’ultima immagine ci sembra particolarmente calzante accingendoci a parlare appunto di chi, per mestiere, i sogni li illustra nel vero senso della parola, cioè dipingendoli. Anche illustrare è sinonimo sia di spiegare, sia di mostrare. Perciò, un illustratore è in fondo un interprete, e un disegnatore è come un attore che recita ma anche come lo scenografo che dipinge i fondali o il regista che taglia le inquadrature.
Siamo partiti parlando di chi disegna Tex e ne illustra le avventure: dando vita a Aquila della Notte, una tavola dopo l’altra, non si tratta soltanto di renderlo vivo agli occhi dei lettori, parlando a ciascuno di essi perché credano al sogno, ma anche di interconnettere chi legge con il mondo parallelo della leggenda. L’attore anima un solo personaggio, il disegnatore spalanca le porte di un universo. Sono stati molti gli interpreti di Tex, coloro cioè che hanno modellato, sulla punta delle loro matite e dei loro pennelli, la dinamica figura di Aquila della Notte, prendendo spunto dalla fondamentale lezione di Aurelio Galleppini, il primo a immaginarle le sembianze e a connotare graficamente gli scenari e le atmosfere sul quale farlo muovere. Ognuno di essi, inserendosi nel solco della tradizione, ha “tradotto” alla sua maniera i sogni di Giovanni Luigi Bonelli e dei successivi sceneggiatori, a partire da quel Sergio Bonelli che, scrivendo sotto lo pseudonimo Guido Nolitta, è stato a sua volta uno dei più straordinari ed efficaci interpreti, dal punto di vista letterario, dell’esempio paterno. Tutti i disegnatori texiani hanno dato una propria versione dell’eroe e del vasto microcosmo che gli ruota intorno. Ma soltanto alcuni hanno finito per diventare loro stessi modelli per gli altri, affiancandosi a Galep nella galleria dei maestri ideali da imitare. Uno di essi, quello che per numero di anni di attività dedicati al ranger bonelliano più si avvicina al record di dedizione di Galleppini (quarantasei anni), è Giovanni Ticci. Come a quegli attori che, a forza di interpretare sullo schermo un personaggio, finiscono per venire identificati con lui, così il Tex di Ticci è ormai un’icona appaiata, nell’immaginario collettivo, a quella galleppiniana.
Del creatore grafico di Aquila della Notte, il maestro senese è sicuramente il più autorevole continuatore. Per questo, proprio mentre l’inossidabile ranger si apprestava a uscire in edicola con il seicentesimo numero della seconda serie gigante (un traguardo che ha dell’incredibile), illustrato, non per caso, proprio da Ticci, abbiamo voluto esaminare passo dopo passo la carriera del disegnatore, rovistando fra ricordi, tavole dimenticate, storie epocali e altre rimaste nel cassetto, vecchie foto, acquarelli e dipinti a olio, albi americani, matite e chine, cicche di sigaretta in portaceneri stracolmi. La scrittrice e giornalista americana Janet Malcolm, in forza alla rivista The Newyorker, nel suo libro “Silent Woman” paragona il lavoro del biografo a quello di uno scassinatore professionista, “che irrompe in una casa, fruga nei cassetti dove pensa di trovare gioielli e soldi, e se ne va trionfante con il bottino”. Noi abbiamo fatto lo stesso facendo irruzione, in un giorno di primavera del 2010, nella bellissima casa della famiglia Ticci, su una collina a poca distanza da Siena, e frugando un po’ dappertutto alla ricerca di quello che poi è finito in questo libro. E’ questo il nostro modo non per restituire la refurtiva, che comunque il proprietario ci ha lasciato depredare senza opporre resistenza, ma per metterla a disposizione di tutti. E anche noi ci siamo dunque fatti interpreti del desiderio di chiunque ami Tex (o il grande western, la grande avventura o semplicemente i grandi artisti) di conoscere meglio un autore che ha fatto la storia del fumetto.
Quest’articolo è tratto da:
Giovanni Ticci – Un “americano” per Tex
di Moreno Burattini e Graziano Romani
Coniglio Editore, 2010 – 80 pagg. b/n e colore brossura – 10,00€
ISBN: 978-88-6063-275-3
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