Guarda i muscoli del capitano,
tutti di plastica e di metano
La costruzione di un eroe
spezza le vene delle mani
mescola il sangue col sudore
se te ne rimane
Si parte dal nome, sintesi di ordine e patria: grado militare e nome della nazione. Si continua con il costume: stelle e strisce sul petto e sullo scudo. Captain America (Cap) non è un eroe per caso come l’ondata made in Lee/Kirby degli anni ’60, né un supereroe per caso. Per gli autori è un ragazzo con le qualità morali di un eroe che scientemente decide e riesce a diventare un super-eroe. Il primo di una serie di super-uomini destinata a formare l’esercito statunitense che sarebbe dovuto sbarcare nel vecchio continente per mettere fine alla seconda guerra mondiale, ma che in seguito ad un sabotaggio diviene il primo e l’ultimo del suo genere. Cap, con il suo costume a stelle e strisce, viene mandato subito in guerra per sostenere, anche nello spirito, l’assalto americano al nemico nazista. Piccola differenza coreografica fra allora ed oggi lo scudo, inizialmente triangolare e cambiato per evitare problemi di copyright con il personaggio “The Shield” diventando tondo e quindi anche strumento di attacco visto che dalla sua adozione viene sovente lanciato nelle azioni di combattimento.
Gli autori: Joe Simon e Jack Kirby, all’epoca erano poco più che ventenni; saranno loro, insieme a decine di altri, italoamericani ma soprattutto ebrei, a dar vita a personaggi e albi che faranno la storia del fumetto supereroistico e non…(Jerome Siegel, Joe Shuster, Bob Kane, Bill Finger, Jerry Robinson, Joe Simon, Jack Kirby, Stan Lee, Larry Leiber, Gil Kane, Will Eisner, Jules Feiffer, Will Elder, Harvey Kurtzman,, Joe Kubert… ) ((lista approssimata per difetto ricopiata da un interessante articolo www.faqs.org/periodicals/201101/2269879121.html)) .
Cap è maschera e simbolo; viene ostentato, mostrato, usato come bandiera dall’establishment statunitense che ne fa mezzo di propaganda nazionalista. In principio per dare coraggio ai soldati in prima linea, in seguito per difendere il concetto di “nazione” e “americanità” da veri o presunti attacchi esterni. Ma non sono solo i “muscoli di plastica e di metano” che fanno di Steve Rogers, l’uomo che è dietro questa maschera, l’eroe che è: lo è, da sempre, dentro, un eroe. Non c’è un palese desiderio di rivincita contro il mondo, non c’è un incidente (radioattivo magari) che lo trasforma in un mostro forzuto. Quello del Professor Erskine a cui partecipa è un progetto che rischia di renderlo un uomo “eccezionale” ed è quello che Steve vuole, proponendosi come cavia a rischio della propria vita. Progetto, questo “Operation: Rebirth”, dal fine nobile (il porre fine alla seconda guerra mondiale) ma che non brilla proprio per “pulizia” e moralità, considerando che viene messa in conto anche la cattiva riuscita (leggasi la morte dei volontari).
In ogni caso non saranno certo i muscoli di Steve, cresciuti dopo l’esperimento riuscito, a fare di lui un uomo “super”, ma le sue doti interiori ((ricordando anche che nelle varie saghe “cosmiche” in cui si è imbattuto in vari decenni di storie in realtà la sua superforza lo rendeva solo il più debole fra tutti gli altri supereroi eppure sovente gli veniva riconosciuta la leadership)).
Va ricordato però come le origini del personaggio furono narrate senza neanche immaginare di dover un domani giustificare storicamente o narrativamente quanto pubblicato: nascevano e morivano centinaia di nuovi personaggi a fumetti in quel momento storico e non vi era enorme attenzione verso l’approfondimento narrativo o psicologico. A tal proposito è singolare un ricordo di Joe Simon su come fossero stati scelti i nomi dei personaggi del fumetto: “‘Captain America’ had a good sound to it. There weren’t a lot of captains in comics. It was easy as that. The boy companion was simply named ‘Bucky’, after my friend Bucky Pierson, a star on our high school basketball team” ((da “The comic books Makers” di Joe Simon e Jim Simon – Vanguard Productions)).
Una cosa però era chiara: il fumetto di Captain America nasceva con un imprinting politico e non lo avrebbe mai perso, anche dopo l’uscita dalla guerra. E se la WWII è stato il primo incarico di Steve Rogers non si può dire che sia terminato bene: infatti, come si dice, nell’esercizio delle sue funzioni, cade da un aereo al quale era aggrappato e muore, apparentemente, insieme alla sua spalla e amico Bucky.
Guardalo nella notte che viene,
quanto sangue ha nelle vene.
Il capitano non tiene mai paura, dritto sul cassero,
fuma la pipa, in questa alba fresca e scura
che rassomiglia un po’ alla vita.
Steve Rogers è nato il 4 di luglio 1917 da genitori irlandesi immigrati in Usa; la data non è certamente casuale, è il famoso “Indipendence Day” in cui si celebra la Dichiarazione di indipendenza che nel 1776 liberò le colonie d’America dal governo britannico. A soli 19 anni inizia la sua carriera da Captain America, giovanissimo; nella sua seconda vita, negli anni ’60, dimostra di avere coscienza di sé e del suo ruolo politico e non manca sovente di esprimere posizioni contrarie a quelle del governo statunitense.
Nei fatti, probabilmente contro le intenzioni iniziali, non è mai diventato lo strumento bellico inizialmente concepito; ha lentamente acquisito una propria coscienza che, aldilà del grado militare (Captain) che lo accompagna sempre, lo svincola dalla mera obbedienza agli ordini dei superiori. E quanto sangue ha nelle vene il buon Steve Rogers lo dimostra appena “ripescato” a nuova vita dall’acqua gelata nel Nord Atlantico dove lo avevamo lasciato presunto morto. E nell’espressione della sua moralità il nostro dimostra che l’essere Sentinella della Libertà è più importante che essere in linea con il governo americano (tra l’altro Sentinella della Libertà è non solo uno dei soprannomi di Cap ma anche il nome che veniva dato ai ragazzi che nel 1941 inviavano 50 centesimi alla Marvel per avere una membership card).
Cap diventa quindi, nella sua seconda incarnazione post bellica, non il supereroe americano per antonomasia né il braccio armato della Casa Bianca, ma la coscienza e morale americana. Un albero forte e rigoglioso che tende alla realizzazione della perfezione di un cielo (mondo) giusto e per i giusti, ma che sa anche di non poterlo mai raggiungere.
Steve Rogers è ligio ai doveri della patria; serve il paese nei tempi e nei modi che le operazioni belliche condotte dagli USA richiedono. Il suo primo contributo è nel 1941, ed è sia fisico che morale, anzi soprattutto morale. L’esercito USA durante la WWII si trova in un continente straniero a combattere un nemico le cui imprese efferate hanno solcato l’oceano e inorridito il mondo intero, e spesso nelle file dei soldati in prima linea lo sconforto per un conflitto così aspro e così lontano da casa è uno degli ostacoli più grandi da superare. Un personaggio, quindi, nato nella golden age del fumetto superoistico statunitense, che si batte in una prima linea di guerra, seppur ammorbidita dal racconto, ma pur sempre prima linea, che impersonifica lo spirito patriottico statunitense in un momento in cui era necessità primaria l’unità nazionale.
Fra i personaggi di cui sopra pochi sono stati i supereroi che si avviano a tagliare, da qui ad un ventennio circa, il secolo di vita: i motivi che ne hanno decretato la morte editoriale o la vita ultracinquantennale sono oggettivamente spesso arcani, come nel caso di Captain America, dove l’idea di fondo non era né particolarmente originale (ma quale lo è del tutto?) né molto intrigante. Ma se in principio la leva che fece scattare il successo fu indubbiamente quella patriottica (la famosissima cover del numero 1 del 1941 lo dimostra ampiamente), successivamente il gioco è diventato un po’ più complicato. Dal ’63 in poi (ovvero da quando è stato ripescato come protagonista di serie a fumetti) Cap non è un semplice strumento di propaganda; le tavole dei suoi fumetti sono quelle nelle quali talvolta emergono i problemi quotidiani di una democrazia reale ma non certamente perfetta. E’ una serie supereoristica, quella di Cap, ma anche “politica”, nel senso migliore della parola.
Non vale la pena, restando su questo tema, lanciarsi in disamine del colore politico di Steve Rogers, della serie a fumetti o del personaggio di Captain America: Steve Rogers ha sempre detto che per lui sopra tutto c’è la libertà. Punto. Il resto, destra, sinistra, democratici, repubblicani, è lasciato in secondo piano. In questa chiave di lettura (tutela della libertà senza cercare per forza di appiccicare una etichetta politica), vanno analizzate anche cose che facilmente potrebbero essere invece etichettate, come, ad esempio, il fatto che Captain America abbia avuto come compagno di avventure per molti numeri –anche nel titolo dell’albo– Falcon, primo supereroe afroamericano “mainstream” ((en.wikipedia.org/wiki/Falcon_%28comics%29)).
E le varie rinunce strada facendo da parte di Steve Rogers alla maschera, all’essere identificato con la bandiera a stelle e strisce, sono forti messaggi di denuncia in un mondo che tocca e ha toccato solo di sfuggita problemi quali la sfiducia nella classe dirigente, ad esempio. Steve non serve generali e politici: «I’m loyal to nothing, General… except the [American] Dream». Il concetto viene da lui ulteriormente chiarito nell’albo Captain America Vol. 1 n.282 (giugno 1983, testi di Jean Marc de Matteis), o, più recentemente, in Captain America vol.5 n. 22: «And while I love my country, I don’t trust many politicians» (novembre 2006, testi di Ed Brubaker).
E il capitano disse al mozzo di bordo
“Giovanotto, io non vedo niente.
C’è solo un po’ di nebbia che annuncia il sole.
Andiamo avanti tranquillamente”
Nel 2004 Ed Brubaker riceve dalla Marvel l’incarico di rivitalizzare la testata di Captain America; da anni infatti il personaggio non riusciva ad avere un successo continuativo a livello di vendite e le sue serie, nonostante il personaggio fosse molto amato, non riuscivano più ad avere il giusto impatto sul pubblico. Si tratta, in realtà, di una questione apparentemente banale; gli editori risolvono spesso questi problemi di calo di interesse inserendo su una serie mensile un team fisso di autori (più disegnatori per tenere il ritmo ma spesso un unico sceneggiatore) e lasciando campo libero per sviluppare trame più articolate nel tempo. Ovvero non riempire una serie di storie “autonome” e lasciare a buoni autori spazio per sviluppare discorsi più lunghi che non si esauriscano in una scazzottata di 16 o 18 pagine.
In questo caso il “buoni” autori è davvero poco per spiegare come Brubaker e Steve Epting impattino sulla qualità della serie di Captain America. Lo sceneggiatore è un appassionato scrittore di “crime-fiction” (sua l’idea di base e gran parte dello sviluppo della serie di successo Gotham Central, uno spin-off poliziesco della serie di Batman altamente de-supereroizzato…) e trasforma Captain America vol.5 in una avvincente spy story a puntate, sorretto da una parte grafica sontuosa (realizzata da Epting in alternanza con altri disegnatori, quali il decano Jackson Guice) e da una colorazione che rinuncia spesso ai colori vivi regalandoci pagine scurissime. Nessun tratteggio tipico del disegno a fumetto per dare tridimensionalità, un “imprinting” fotografico, grandi capacità plastiche nel rappresentare una icona vivente e un feeling speciale con Brubaker: con queste caratteristiche grafiche la serie decolla.
La carta bianca data allo sceneggiatore gli permette di creare lo scompiglio nella continuity Marvel. Così uno dei pochissimi personaggi rimasti morti “per sempre” (cosa praticamente impossibile nel mondo Marvel), Bucky Barnes, rientra in scena dalla porta principale, come pure gli antichi nemici della golden age. E’ un susseguirsi di storie avvincenti, intrecci a lunga gittata che si riannodano dopo decine di mesi. I cicli sono successi (soprattutto di critica): il Winter Soldier (Bucky che ritorna in USA dopo essere stato utilizzato, persa la memoria, come killer dalla Russia), il periodo durante il quale Cap è costretto a nascondersi a seguito degli eventi di Civil War, la sua (ovviamente solo temporanea) morte, la sua rinascita, lo scudo che viene lasciato a Bucky Rogers, nel frattempo ritornato dalla parte dei “buoni”.
Si respira, nelle pagine del mensile, un’aria che sarebbe piaciuta a Frederick Forsyth: tra rimandi alla guerra fredda, tra continui avanti/indietro nel continuum temporale grazie alla longevità del personaggio che attraversa tutto il ventesimo secolo da protagonista nei più “caldi” posti di guerra, tra teorie cospirazionistiche che si rivelano reali e con una “rinascita” che, non dirlo sarebbe reato, lascia e molto l’amaro in bocca in quanto a credibilità (seppur relativa trattandosi di un fumetto di supereroi).
L’omogeneità grafica di cui si parlava prima rende i volumi di raccolta dei cicli della storia una scommessa vinta anche economicamente; averne uno fra le mani è gioia per gli occhi e per il cervello ((ma forse, nel caso dello splendido “omnibus” che raccoglie le storie dal n.1 al n.25 in 700 pagine di fumetti, non tanto per il portafogli – www.paninicomics.it/web/guest/productDetail?viewItem=619856)).
I primi quasi 70 numeri della nuova serie regolare (ripartita nel 2004 dal n.1 e ripassata alla numerazione centenaria dopo il n.50 e quindi oggi arrivata oltre il numero 615) ci consegnano un Captain America maschera indossata ora da Bucky Barnes ed uno Steve Rogers capo della sicurezza interna degli Stati Uniti. I passaggi che hanno portato a questo sono stati in sintesi quelli narrati in Civil War e Siege: eventi “epocali” per la Marvel nei quali il semplice “uomo” Steve Rogers è stato al centro dell’evento stesso dimostrando come la volontà dell’editore sia quella di valorizzare questo personaggio.
In Civil War la Marvel affronta un problema insito alla sua natura di “mondo” pieno di supereroi: a causa di un incidente causato da uno scontro fra superitizi, la popolazione sviluppa una crescente insofferenza verso questi calzamagliati superdotati che sfrecciano in cielo. L’onda emotiva viene cavalcata da una “intellighenzia” che vuole prendere il controllo dei supereroi ma questi ultimi non son tutti disposti a farsi schedare e diventare supereroi di Stato: così nasce la guerra civile fra supereroi.
La maschera di cui parlavo prima, piuttosto, viene tenuta abbassata da Steve Rogers, l’uomo, l’eroe, quando, nel marzo 2007 (Captain America vol. 5 n.25) circondato da decine di guardie, viene scortato verso l’entrata del tribunale dove non giungerà perché apparentemente colpito da un cecchino. È lì che Steve Rogers, come si suol dire, ci mette la faccia; non ha bisogno di nascondersi e non sente di rappresentare neanche questa volta la sua nazione, con la quale è nuovamente in disaccordo sulla questione “registrazione dei supereroi”. Steve Rogers decide di non “registrarsi” (rifiutando quanto sancito nel Registration Act così tanto somigliante al Patriot Act del mondo reale, tanto per ricollegarci al feeling della serie con la politica) e di nascondersi: gli rubiamo le parole di bocca dal Captain America vol.5 n. 22: «They are endangering innocent lives, and destroying the lives of heroes. Men who have bled to make this world a better and safer place».
Sharon Carter (compagna di Steve Rogers al momento ed agente dello S.H.I.E.L.D. in gran parte –spoiler- responsabile della sua “apparente” morte) gli fa notare che rifiutare l’Atto è contro la legge: «And because it’s against the law. And rule of law is what this country is founded on». Ma, nella realtà (è nato il 4 di luglio, sa cosa successe agli albori della nascita degli Stati Uniti) le cose non son sempre andate così, infatti le risponde: «No… It was founded on breaking the law because the law was wrong».
Ottimo il commento di Giorgio Lavagna nelle pagine di Capitan America n.9 del Febbraio 2011:
Secondo Cap, quello che veramente distingue un eroe non sono i poteri o il costume, ma gli ideali. Un eroe sta, per definizione, dalla parte giusta, e non può essere pericoloso; anzi, al contrario, rappresenta un bene per la società. Per quali ideali si battono gli eroi? Innanzitutto uno, il più importante: la libertà. Sacrificando la libertà in nome della sicurezza si toglie agli eroi la ragion d’essere, si cancella di fatto la differenza fra supereroi e supercriminali. E questo è quanto puntualmente avvenuto.
Dopo Civil War che lo vede arrestato, ucciso e poi lo vede risorgere, e dopo l’evento di Siege (che pone fine al regno di Norma Osborn come capo della sicurezza statunitense) che lo vede di nuovo in azione, Steve Rogers diventa il nuovo Nick Fury, ovvero il nuovo “capo” della sicurezza nazionale Americana. Anche se, in Siege n.4, spiega che è onorato di prestare nuovamente servizio per la sua patria ma che lo farà a modo suo. Nick Fury, tra l’altro, era il direttore plenipotenziario dello S.H.I.E.L.D.
Ora, dopo questi eventi degli ultimi 8 anni, Steve Rogers è diventato figura perno di tutto il Marvel Universe, coccolato dal suo editore e premiato con un film che sarà sugli schermi di mezzo mondo questa estate. Ancora Giorgio Lavagna, a chiosare:
L’Atto di registrazione aveva minato le basi dell’Universo Marvel. L’importanza della lotta fra il bene e il male, quella che a volte chiamavamo la “buona battaglia” o la “giusta battaglia”, era stata elusa dalla concezione “securitaria” che vedeva i superumani o come una minaccia pubblica o come un’arma a disposizione del governo. Un concetto che prima d’ora era sempre stato estraneo all’idea di supereroe di Stan Lee e dei suoi collaboratori. Non è quindi un caso che la ricostruzione, la nuova Età degli Eroi, sia incentrata sulla figura di Steve Rogers, che più di tutti si era opposto all’Atto di registrazione. Ora c’è lui al comando.
In questa notte elettrica e veloce,
in questa croce di Novecento,
il futuro è una palla di cannone accesa
e noi la stiamo quasi raggiungendo
E’ lapalissiano notare che le grandi major del fumetto statunitense hanno come primo interesse quello di sfruttare appieno il successo dei propri personaggi; negli ultimi anni questo ha significato anche tenere un occhio molto interessato agli sviluppi di tutto ciò che corre parallelamente ai fumetti (videogiochi, cartoni animati, parchi a tema ma soprattutto film). Per quel che riguarda strettamente le pubblicazioni a fumetti si è valutata spesso la possibilità, laddove si notava un crescente interesse per un personaggio, di moltiplicare a iosa le uscite e le proposte editoriali. Nel caso di Cap la Marvel ha profondamente investito nel personaggio nell’ultimo lustro, dedicandogli una maggiore cura nella scelta degli autori e riuscendo a far correre di pari passo la qualità delle storie con il climax di attenzione che culmina con l’uscita, il 27 luglio 2011, del film “Captain America: The First Avenger” ((www.imdb.com/title/tt0458339)). Per non parlare poi del film dedicato agli Avengers ((www.imdb.com/title/tt0848228)), ancora di là da venire ma già carico di aspettativa.
Oltre al continuum temporale “presente”, in più, le storie di Cap possono essere ambientate anche nel passato sfruttando i buchi temporali non narrati in passato. Esistono iati temporali da riempire e centinaia di storie di guerra non narrate da raccontare. La prima serie regolare del nostro, infatti, durò solo 78 numeri (dal 1941 al 1954) ed era edita dalla Timely. In questa prima incarnazione editoriale solo una minima parte delle vicende belliche del nostro furono narrate e nel dopoguerra, a causa della precipitosa diminuzione delle vendite, la serie fu chiusa.
Dal 1963 al 1968 la Marvel Comics (reincarnazione della Timely) provò a sondare il terreno facendo apparire Captain America su varie serie e costruendogli una avventurosa ret-con ((it.wikipedia.org/wiki/Retcon)) nella quale si raccontava che, caduto da un aereo in azione bellica, il Cap fosse rimasto in “animazione” sospesa per decenni nei ghiacci dell’Atlantico. La buona risposta di pubblico permise alla Marvel di riaprire una testata a lui dedicata ma da allora le storie di Cap son sempre rimaste nella continuity corrente.
La rinnovata attenzione al personaggio ha solcato due strade: la prima, quella della contemporaneità, che ha visto la serie regolare trasformata in una seriale spy story ammantata di vecchi umori da guerra fredda (di notevole fascino per gli appassionati del genere); la seconda è stata quella del recupero delle storie mai narrate, che ha spalancato agli autori le porte di un periodo storico (WWII) diventato di nuovo oggetto di grande attenzione da parte dell’entertainment a cavallo del 2000 (con il film “Saving Private Ryan” del 1998 e la serie tv “Band of Brothers” del 2001, tanto per fare due nomi). Storie ambientate nel passato ma scritte e disegnate oggi con qualità più che buona che diventano un piatto appetitoso per un mercato bulimico che divora quantità enormi di videogiochi, telefilm, film ed anche fumetti. La complessità degli intrecci, la maturità delle sceneggiature e la possibilità di rendere il tutto con una qualità grafica decisamente al passo non fanno altro che portare questi lavori all’apice di una immaginaria classifica di qualità del fumetto superoistico.
Oggi, da quel che ci è dato sapere, il futuro di Captain America non è quello di Steve Rogers. Scudo e costume sono indossati da Bucky Barnes e così sarà, almeno per un bel po’. Eppure siamo sicuri che non potrà mancare Steve Rogers, sia perché come capo della sicurezza USA vivrà avventure a stretto contatto con Cap, sia perché la Marvel non mancherà di raccontare ancora molte storie del suo passato. Negli ultimi anni le miniserie e gli one shot dedicati al passato bellico della Sentinella della Libertà, infatti, sono state molte ed alcune di spettacolare rilievo, e sicuramente non ne mancheranno di analoghe in futuro. Giocando con la possibilità di legare il presente al passato abbiamo avuto la possibilità di vedere all’opera grandi nomi del fumetto. Captain America, complice il film in uscita questa estate, può essere quindi protagonista di un “year one” perenne, ovvero di una scrittura di un periodo iniziale delle sue avventure. Abbiamo già visto piccole perle come “Marvel Projects”, sempre a cura di Brubaker e Epting, frutto di un’opera certosina di ricerca negli archivi Marvel per raccontare correttamente e disegnare citando a iosa i fumetti dell’epoca le origini del supergruppo degli Invasori (fondati nientemeno che da Franklin Delano Roosevelt, e dei quali Cap faceva parte). O la mini “The chosen”, di David Morrell (creatore del personaggio Rambo) e Mitch Breitweiser, o il one shot di “Theater of War”.
Altre ancora ne verranno, a cominciare dalla ottima (visti i nomi c’è niente altro da aspettarsi) futura miniserie “All Winners Squad: Band of Heroes”, di Paul Jenkins e Carmine di Giandomenico ((a partire da fine giugno: marvel.com/comic_books/issue/29733/all-winners_squad_band_of_heroes_2011_1)).
Tutto ciò, ovviamente, oltre alla serie regolare incentrata sulle avventure di Bucky che diventa, nel nuovo status quo dell’Era degli Eroi, il Captain America del nuovo millennio. Cresciuto nelle basi militari statunitensi a cavallo delle due guerre, creduto morto in battaglia e utilizzato dalla Russia per decenni come assassino, ha un braccio bionico ((come il colonnello Steve Austin it.wikipedia.org/wiki/L’uomo_da_sei_milioni_di_dollari)) e soprattutto una pistola sul fianco –che pure Rogers in guerra aveva in dotazione- perché in un modo o nell’altro deve compensare la mancanza delle supercapacità di Steve Rogers.
La serie regolare oggi si può concludere che rappresenti chiaramente ciò che è fumetto seriale supereroistico, il quale ha sviluppi che non possono comunque allontanare in maniera drastica (se non per brevi periodi) il personaggio dalla percezione e dall’immagine che il pubblico ha di lui. E, seppur cambiando l’uomo dietro la maschera, gli autori stanno mantenendo lo stesso spirito e ambientazione dell’ultimo fortunatissimo lustro.
Abbiamo parlato di:
Collane Marvel Italia dedicate a Capitan America: www.paninicomics.it/web/guest/collane_dettaglio?id=880
Capitan America – il prescelto: www.paninicomics.it/web/guest/productDetail?viewItem=31041
Il Progetto Marvels: www.paninicomics.it/web/guest/productDetail?viewItem=640461
Capitan America – Teatro di guerra: www.paninicomics.it/web/guest/productDetail?viewItem=624066
I titoli dei paragrafi sono tratti dalla canzone “I muscoli del capitano”, di Francesco De Gregori (Titanic, 1982)
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