Jew Gangster: A Father’s Admonition

La cover di Jew GangsterJoe Kubert ci racconta i momenti fondamentali nella crescita del giovane Ruby, come se fosse un romanzo di formazione; la decisione di abbandonare la scuola, la casa dei genitori, di diventare un gangster per non passare la vita lavorando lungamente e inutilmente per pochi soldi. La strada del tutto e subito, dell’impunità in un momento storico a dir poco difficile, in contrasto con la netta e rigida morale del padre, come citato nel titolo. Lo scenario è quello dell’infanzia realmente vissuta dall’autore; non ha bisogno di documentarsi sulle condizioni economiche e sociali degli ebrei d’America negli anni ’20, basta cercare nelle pieghe della propria memoria. Le immagini della propria infanzia, dei genitori, del venditore di caramelle, riemergono dal passato e si tramutano in tavole di fumetto. Come Kubert, Ruby Kaplan, il protagonista del libro, é figlio di emigranti ebrei provenienti dalla Polonia; ha una sorella più piccola ed una passione per i fumetti. Vive a Brooklyn ma, a ben guardare, le somiglianze finiscono qui. Nel libro ci sono una serie abbastanza lunga di cliché già visti e spesso utilizzati; punizioni cruente con lancio nel fiume di cadaveri per chi non paga il pizzo, l’ovvio innamoramento per la “pupa” del capo, i soldi guadagnati in maniera disonesta passati sottomano alla madre che fa finta di non saperne l’illecita provenienza. Seppur vari, questi cliché, sembrano stranamente veri; non fosse altro perché narrati da chi ha vissuto davvero in quel tempo in quel posto. Troviamo, nel volume, tematiche ricorrenti nella produzione degli ultimi dieci anni di Kubert. La voglia di mischiare autobiografia e cenni storico/sociali; il continuo sottolineare quanto e come sia difficile vivere e sopravvivere, soprattutto in determinati momenti in determinati posti. Si narra la storia (con la “s” minuscola”) di un uomo, come quasi nei fumetti scritti da Kubert, al centro della Storia (con al “s” maiuscola) che possiamo leggere nei libri. Ma quello che interessa a chi racconta ed anche a chi legge è seguire il percorso di formazione (o di de-formazione) di Ruby, e di come la vita di facile guadagno sia in realtà una vita nella quale l’unica cosa davvero facile è quella di finire male.

separatorearticoloIl romanzo scorre veloce fra le dita; le enormi capacità narrative dell’autore, una scarna divisione in vignette, la rapidità del racconto, la totale assenza di didascalie, la cinecità talvolta eccessiva di alcune tavole, sono questi strumenti che fanno volare le pagine una dietro l’altra. Il volumetto ha un formato a metà strada fra un fumetto Bonelli ed un libro di narrativa. All’interno vi troviamo circa centoquaranta pagine di fumetto disegnate in bianco, nero e con qualche pennellata di grigio uniforme di tanto in tanto. La griglia è quasi sempre uno schema fisso di quattro tavole verticali di uguale misura; talvolta la griglia è rotta da una scansione differente che serve a sottolineare una diversa necessità narrativa. Fra le tavole molto pulite, con una linea definita ma non dettagliata, essenziale ma non acerba, e solo talvolta graffiate da qualche tratteggio a dare profondità, troviamo alcune illustrazioni sempre made in Kubert pennellate in vari toni di grigio. Si tratta di tavole che, quasi fossero originali dell’epoca, illustrano spaccati della vita a Brooklyn nei primi anni ’30. Come dagherrotipi, o come se fossero riprese da quegli splendidi volumi che raccolgono le foto realizzate durante il periodo della Grande Depressione, queste tavole pennellate sono (anche se penalizzate dal formato ridotto) piccole perle che giustificano in buona parte l’acquisto del volume. Va segnalata, ovviamente, la contemporaneità e la comunanza del soggetto del libro con l’ultimo film di Sergio Leone “C’era una volta in America”. Il racconto di una storia che si dipana negli stessi anni nello stesso posto fra le stesse persone (perché non credere che il giovane ebreo Noodles di Leone abbia frequentato la stessa scuola del giovane ebreo Ruby di Kubert?) che si muovono nello stesso ambiente (i gangster ebrei di Brooklyn) possono rappresentare il “file rouge” che lega i due lavori. Più di queste ovvie, lampanti e banali basi comuni pero’ ci piace riconoscere ad entrambi i lavori, pur con le debite proporzioni, la capacità di mostrare le cose, di farci immedesimare nei racconti e nelle vicende dei protagonisti, indicando in maniera silenziosa ma chiara, senza commentare quanto accade, cosa è giusto e cosa non lo è.

Riferimenti
ibooks, il sito: ibooksinc.com
Si può ordinare il libro QUI

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