Carissimo Alessandro, in primissima battuta è necessario che ti presenti a noi ed a tutti quelli che non ti conoscono. Il volume “La grande guerra” è in pratica la tua opera prima…(studi, lavori, prove, lavoro… passioni…)
Un ciao a te e a tutti gli spazibianchi. Vi seguo da sempre con interesse e penso che rappresentiate la via giusta alla critica fumettistica. Esauriti i convenevoli, passo a presentarmi: mi chiamo, ovviamente, Alessandro Di Virgilio e sono nato a Napoli ben 46 anni fa, anche se sono quasi venti anni che non ci vivo più, ma, e non lo dico tanto per dire, Napoli più che una città è uno stato dell’anima. Devo fare pero’ una precisazione. “La Grande Guerra“, in realtà, non è la mia opera prima, perché, fino a circa 18 anni fa, ho lavorato per Il Giornalino e per Splatter delle Ed. Acme. Poi vicissitudini varie, mi hanno portato ad allontanarmi da questo mondo. Fino a 2 anni fa, quando, per una sorta di epifania, ho compreso che la scrittura mi era mancata da morire. Per il resto, che dire… mi piace suonare la chitarra, anche se non come vorrei, ho una passione smodata per il noir italiano e per il progressive inglese degli anni ’70.
Come sei entrato in contatto con la casa editrice Becco Giallo (lavorativamente parlando)?
Forse nel modo più semplice. Mi spiego, quando mi è tornata la voglia di scrivere, come prima cosa mi misi in cerca (su internet, per lo più) delle nuove realtà che, nel frattempo, erano sorte e, così, mi imbattei nella Becco Giallo e mi colpirono, da subito, per la peculiarità delle loro proposte. Misi su un progetto (che, chissà, potrebbe anche vedere la luce, un giorno) e lo inviai.
Devo dire che, fin dal principio, sia Guido che Federico (Ostanel e Zaghis, direttori editoriali – ndr) , si sono dimostrati molto gentili e onesti e interessati al mio modo di scrivere. Così, in occasione del nostro primo incontro “dal vivo”, Guido mi propose il progetto sulla Prima Guerra Mondiale. Qualche giorno dopo gli inviai la prima bozza, che, per fortuna, venne approvata.
Ci puoi accennare come è nata la scelta del disegnatore del volume?
Fu sempre Guido a propormi il suo nome. Avendo già letto il volume sulla tragedia di Marcinelle, fui entusiasta della cosa e, così, si concretizzo’ questo “matrimonio combinato”.
Per meglio comprendere i motivi che ti hanno portato a scegliere la Prima Guerra Mondiale come argomento del tuo debutto editoriale, ti va di parlarci del tuo rapporto con la storia in generale ed in particolare con il periodo “trattato” (dal 1915 al 1918 grossomodo)?
Come ho già accennato, l’argomento non fu proposto da me, ma si è trattato, comunque, di una felice combinazione, in quanto nutro da sempre una grande passione per la storia (forse l’unica materia scolastica, a parte l’italiano, in cui ho sempre riportato ottimi voti) e per i due conflitti mondiali, in particolare. Inoltre ho avuto il nonno materno, nonno Ciro, che amava raccontare a noi nipoti episodi della Grande Guerra, a cui aveva partecipato appena diciottenne. Sono sicuro che molti di quelle storie fossero inventate di sana pianta, ma hanno lasciato un ricordo indelebile dentro di me.
È di non molto tempo fa la scomparsa di uno degli ultimissimi reduci ancora vivi della Grande Guerra (il 12 Marzo, a 110 anni è morto Lazare Ponticelli – ndr). È quasi un paradosso il fatto che eventi a noi così recenti (parliamo dei genitori dei nostri nonni…) sembrino davvero lontanissimi. Quanto credi sia importante, anche in questo caso, lo studio di ciò che accadde per analizzarne le cause e sperare di riuscire a trarne le dovute giuste considerazioni?
Penso che sia importantissimo. La Storia ha senso nella sua totalità, nel suo lento scorrere attraverso i secoli. Se noi tutti siamo così, se il mondo è configurato geograficamente e politicamente in un certo modo, lo dobbiamo al concatenarsi di eventi grandi e piccoli. È prassi dei nostri tempi, invece, l’esercizio della “smemoratezza”, del dimenticare o, nel peggiore dei casi, di mistificare quello che è stato; ciò produce, a mio parere, effetti tragicamente negativi.
La storia da te narrata è un salto avanti e indietro nel tempo pieno di tristi vicende immerse in un contesto di grande umanità. Quanto pensi le vicende orribili di un conflitto come quello di cui hai parlato abbiano contribuito alla costruzione di un senso di profonda “italianità”?
Al contrario, con la vittoria la retorica post bellica ha generato i primi germi di quello che, poi, sarebbe diventata la più becera e negativa manifestazione di un patriottismo vuoto e demagogico, ovvero il fascismo. D’altra parte è difficile che una qualsiasi guerra possa generare effetti benefici, specialmente quando viene combattuta per meri interessi economici. In occasione della Prima Guerra Mondiale, giovani delle più disparate condizioni sociali e origini geografiche si trovarono a combattere fianco a fianco per ideali patriottici e nazionali che, per la stragrande maggioranza di loro, volevano dire veramente molto poco. Che Italia poteva immaginarsi, per esempio, un contadino calabrese, la cui condizione non era per nulla cambiata dai tempi dei Borboni?
Il personaggio principale del volume (il protagonista “contemporaneo”, per intenderci) vive un momento di “impasse”; trae dalla rilettura di eventi di cento anni prima la forza e il coraggio di riprendere in mano la sua vita con maggiore intensità. È la rilettura del passato che deve darci spunti e voglia per migliorare le nostre esistenze?
Infatti, proprio nel senso che dicevo prima, tutti noi viviamo un momento di impasse, di omologazione, che sta gradualmente cancellando le differenze, le diversità che, di contro, stanno alla base di una società, non dico più giusta, perché sarebbe pura utopia, ma quantomeno più sana.
Quanto il passato dei nostri avi è presente nella cultura moderna, quanto della loro sofferenza, semplicità e capacità di accontentarsi è in grado di attraversare il susseguirsi delle generazioni per arrivare sulla ricca tavola che apparecchiamo quotidianamente ai nostri figli?
Beh, per certi versi la semplicità e la capacità di accontentarsi, non sono propriamente dei valori positivi. In fondo sono le cose che i dittatori e i disonesti usano per riuscire a governare e sottomettere i popoli. Certo è che, attualmente, imperano altri valori, se così possiamo chiamarli, che hanno a che fare col culto dell’apparenza e dell’effimero. Probabilmente è colpa della mia generazione, che ha perso una grande occasione di poter affermare definitivamente gli ideali che agitavano quegli anni. Quelli a cavallo tra i ’70 e gli ’80, intendo.
Come nel film “La Terra” di Rubini il tuo protagonista, nel viaggio fisico e interiore a ritroso nel passato, si tiene in contatto con la sua fidanzata via telefono senza riuscire a farle capire, vista la distanza (o una certa incapacità di comunicare) come in quel momento della sua vita quello che sta facendo/vedendo/ascoltando sia la cosa più importante del mondo. Se nel film è il ricongiungimento con la donna il prologo dell’epilogo, qui il protagonista riesce a “risolvere” il misero e “risolversi”. Ci sono cose (e momenti) che ognuno deve affrontare da solo secondo te? In questo caso il tuo protagonista cosa riesce a tirare fuori dall’esperienza narrata nel volume?
Assolutamente si. Ci sono tempeste da affrontare da soli ma, una volta tornato il sereno, c’é bisogno di un porto in cui rientrare. Luca, il protagonista, colmando i vuoti della sua infanzia, riesce a “chiudere il cerchio” e, quindi, ad accettare le proprie mancanze e fragilità.
Questo libro è stato processo “catartico” di conoscenza del proprio passato e di se stesso anche per te? Cosa ha lasciato a te l’esperienza del tuo personaggio Luca Degli Esposti?
Al contrario di Luca ho ancora nodi da sciogliere, conti aperti col passato. Forse proprio per questo ho creato un personaggio così. Per poter dire “ecco qualcuno che ce l’ha fatta!”.
Che riflessioni vorresti il tuo libro spingesse il lettore a fare?
Questa, probabilmente, è la domanda più difficile. La risposta più ovvia è che, nel suo piccolo, possa spingere le persone a riflettere sull’assurdità della guerra. Poi ci sono quei messaggi che potremmo definire “inconsci”, che pero’, proprio per la loro natura, ancora non sono riuscito a chiarire neanche a me stesso. La cosa straordinaria che mi capita nel leggere le recensioni e le impressioni di amici sul libro è che, quasi sempre, riescono a cogliere aspetti che, fino a quel momento, mi erano totalmente ignoti. Facciamo così, ci penso due o tre anni e poi ne riparliamo
Senza rivelare troppo della trama, ti va di sintetizzare i due/tre momenti/argomenti principali che hai voluto narrare?
Come ho già detto, l’assurdità della guerra e, poi, l’inadeguatezza ed il senso di impotenza delle “persone normali” al suo cospetto e l’importanza assoluta dell’amicizia.
Nel volumi della casa editrice Becco Giallo si affrontano (come in questo caso) temi di grande complessità e, talvolta, avvolti ancora nel mistero. Nel tuo volume quanto è stato difficile lavorare, come si suol dire, “di sottrazione”, cercando di limare e far rientrare quanto più possibile nel numero di pagine previste?
Neanche tanto, ma non per una mia particolare abilità, quanto per la grande libertà concessami dalla casa editrice.
C’é qualcosa, un passaggio ad esempio, per la quale avresti voluto avere più spazio per poterla narrare?
Avrei voluto approfondire il rapporto tra Luca da piccolo e la nonna, per esempio. Oppure avrei voluto raccontare di più di Guido e sua figlia, ma, tutto ciò, avrebbe distolto dal tema principale.
Hai realizzato una sceneggiatura molto dettagliata oppure hai lasciato campo libero in più punti al disegnatore Davide Pascutti?
Questo dovresti chiederlo a lui! A parte gli scherzi, la sceneggiatura era già in partenza abbastanza dettagliata, ma il feeling che si è creato con Davide, ha portato ad una sua naturale evoluzione, con piccole modifiche rispetto all’originale
Cosa ti è piaciuto di più nel modo di raccontare e disegnare di Davide?
Tutto! Penso che sia un bravissimo disegnatore, con un tratto in piena evoluzione. Talmente bravo che, sono sicuro, diventerà presto un autore completo. Poi, anche se questo c’entra molto poco con la domanda, lasciami dire che, oltre ad essere bravo, Davide è una grande persona e, col tempo, è diventato un vero amico. Ti assicuro che, in questo mondo fatto di “primedonne” e rockstar, trovare persone così non è cosa da poco.
Pensi che il fatto di aver raccontato “a fumetti” (piuttosto che solo a parole) ti abbia aiutato a dire/dare di più al lettore?
Sicuramente si e per due ragioni. La prima è che amo il fumetto. La seconda è che non conosco altro modo di raccontare. A tal proposito invidio tanto quelli, come Diego Cajelli, per esempio, che riescono a fare entrambe le cose.
In che misura pensi che l’editore Becco Giallo stia contribuendo (anche fisicamente) le librerie di (buoni) fumetti aumentandone la distribuzione ma anche l’apprezzamento e la considerazione?
Rispetto al passato, attualmente c’é molta più offerta, rappresentata da tante case editrici, magari piccole, ma con uno standard qualitativo molto alto. La Becco Giallo, con la sua offerta così peculiare, contribuisce sicuramente ad avvicinare nuovi lettori a questo medium, come sto sperimentando in prima persona col mio libro. Chissà, forse, pian pianino, il fumetto potrà essere considerato al pari di cinema e letteratura e non la solita cosa per bambini deficienti.
Ora che hai ripreso la strada “smarrita”, ci accenni qualcosa riguardo progetti futuri?
Attualmente sto collaborando con una giovane casa editrice, la Nicola Pesce, che, nel prossimo futuro, farà parlare molto di sé. Per loro sto realizzando vari progetti collaborando con ottimi disegnatori, come Erika De Pieri, Alessandro Micelli e Marianna Pescosta. Inoltre, grazie a Marco Rizzo, sul prossimo Mono, la rivista della Tunué, ho realizzato una mono-tavola per i disegni di Davide Pascutti. Insomma, come dice un mio carissimo amico, se è vero che “a volte ritornano” è anche vero che è difficile che si fermino. Infine vorrei approfittare per ringraziare un po’ di persone. Prima di tutti, naturalmente, i “becchigialli”, per aver dato fiducia a questo povero “vecchietto”. Ringrazio Davide Pascutti per aver meravigliosamente dato corpo alle mie fantasie. Ringrazio mia moglie Donatella, che, bontà sua, è stata capace di scuotermi da scoramenti e depressioni, assestando, quando era necessario, i giusti calci in culo. Infine un ringraziamento e un ricordo ad un uomo, ad un vero amico: Attilio Micheluzzi. Grazie a lui cominciai la mia “prima” avventura nel mondo del fumetto e, di questo, gli saro’ sempre eternamente grato.
Grazie per averci parlato di te e del tuo libro e a presto.
Riferimenti:
Becco Giallo Editore: www.beccogiallo.it
Blog di Alessandro Di Virgilio: alessandrodivirgilio.blogspot.com
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