La Grande Guerra – Storia di nessuno

La Grande Guerra - Storia di nessunoL’esperienza editoriale della casa editrice BeccoGiallo è una sicurezza nel ristretto campo fumettistico italiano. Un’importante conquista e un ovvio motivo d’orgoglio; per i lettori e gli addetti ai lavori, inoltre, un punto di riferimento serio e concreto in un preciso ambito editoriale. È il frutto, non scontato, della vittoria del progetto di Guido Ostanel e Federico Zaghis sul quale chissà chi avrebbe scommesso (a parte i diretti interessati). È con non nascosta attenzione, quindi, che aspettiamo le numerose nuove proposte della casa editrice patavina confidando in prodotti di buon livello artistico (prescindendo dalla valenza “investigativa” e/o di recupero storico) e nella capacità di proporre debuttanti (o quasi) dalle buone capacità narrativa.

Nella collana “Cronaca storica” in questo 2008 ci viene proposto il volume “La Grande Guerra – Storia di Nessuno“, opera di Alessandro di Virgilio e Davide Pascutti. Se negli altri libri si era trattato di argomenti abbastanza recenti ma comunque di respiro “nazionale”, in questo caso agli autori viene assegnato un compito “da far tremare i polsi”: raccontare la Grande Guerra. Non serve altro aggettivo oltre che “grande” per indicare quello che è stato il primo conflitto veramente “mondiale” della civiltà (e che contraddizione enorme parlare di guerra e civiltà nella stessa frase!) moderna occidentale.

Sul come approcciare la storia con la “S” maiuscola Di Virgilio non ha dubbi: il racconto di un evento epocale, tragico e maledettamente foriero di morti passa attraverso gli occhi e le lettere di un semplice (ma ovviamente non stupido, tengo a precisare) fante. Il motivo di questa scelta lo spiega un altro narratore del nostro tempo: perché la “Storia siamo noi, siamo noi che scriviamo le lettere, siamo noi che abbiamo tutto da vincere, tutto da perdere[1].

Siamo lontani (quasi cento anni) da questi eventi e la guerra, la Grande Guerra, è lontana ancor più di questi cento anni da quella ipertecnologica e asettica che ci viene “raccontata” al giorno d’oggi. Garitte, uniformi distrutte, cibo da mangiare di notte, trincee dove dormire vicino ai cadaveri dei commilitoni, scarpe distrutte, uomini poco più che bambini trapiantati in un buco in terra a 1000 chilometri da casa, sotto un cielo nero di pioggia e colpi di mitragliatrice (“novità” tecnologica dell’epoca…) per difendere la famiglia ma anche quelle di luoghi che non avevi neanche idea esistessero. Un fronte, quello difeso dall’esercito italiano, di 650 chilometri, sul quale si è combattuta una guerra di trincea per più di un anno, in ripetute battaglie (tutte o quasi chiamate “dell’Isonzo”) che nulla cambiavano dello status quo ma che, in termini di soldati e di morale, abbattevano l’esercito italiano. Una ritirata clamorosa e storica, il dover fronteggiare una diserzione costantemente in crescita, il ricorso ai diciottenni (la leva del ’99!), fino alla inaspettata “vittoria” definitiva. Questo ed anche peggio è stata la Grande Guerra per il nostro paese, primo conflitto mondiale al quale partecipo’ un’Italia che stravolse la Costituzione pur di entrarne con un colpo di mano dei cosiddetti interventisti.

Sono le lettere dei soldati dell’epoca (sgrammaticate, talvolta in dialetto, conservate da decine di anni come reperti di un orrore da non dimenticare) la fonte da cui si abbevera l’autore; l’espediente narrativo di un diario di guerra del nonno del protagonista (anche se inserito in maniera non propriamente lineare nel volume) lancia Luca Degli Esposti in una ricerca fisica e interiore che lo spinge verso Nord, dove il nonno aveva combattuto una guerra dalla quale non era tornato. Sono le pagine ingiallite scritte al fronte dal nonno Corrado ad accompagnarci in questo luogo terribile, agli albori della nostra Repubblica. Luca si appassiona alle vicende narrate dalle trincee e, con lui, è per chi legge difficile restare impassibili e non farsi coinvolgere dal come un evento così incredibilmente eccezionale, o la più “normale” morte di un commilitone, diventino “quotidianità”.

Il racconto in prima persona del nonno di Luca non è imparziale e ci coinvolge. Diventa molto difficile non parteggiare per chi diserta, per chi, pur non avendo strumenti culturali e studi alle spalle, capisce che la guerra (grande, piccola… quella che sia) non è la strada giusta. Questi uomini “normali”, come li definisce lo stesso Di Virgilio, sono davvero impotenti e inadeguati, oppure, in condizioni estreme, riescono a tirare fuori da loro stessi qualità, scelte ed azioni degne di chi ha davvero piena coscienza e conoscenza?

E poi la gente, (perché è la gente che fa la storia)
quando si tratta di scegliere e di andare,
te la ritrovi tutta con gli occhi aperti,
che sanno benissimo cosa fare.
Quelli che hanno letto milioni di libri
e quelli che non sanno nemmeno parlare,
ed è per questo che la storia dà i brividi,
perché nessuno la può fermare.
[2]

Piace la scelta di partire dalle lettere e dal racconto in prima persona; anche se non propriamente originale (cosa lo può essere, ormai?) ci piace anche la rilettura del passato attraverso un protagonista contemporaneo, violentemente tirato in un passato che non è così lontano come sembra (parliamo dei nonni dei nostri padri…). È una buona prova di scrittura “di mestiere” che ci lascia perplessi solo nel troppo rapido e facile passaggio di sceneggiatura del ritrovamento un po’ forzato del diario del nonno di Luca. Resta pero’ il giudizio positivo perché piace, a chi scrive, il voler alternare vecchio e nuovo, piccoli/grandi problemi quotidiani con altrettanto piccoli/grandi problemi di un semplice fante in trincea che non sa che non tornerà più a casa dai suoi familiari. Il finale riannoda i fili e ci lascia con un senso di stupida e finta tranquillità. Se Luca riesce/riuscirà a tornare alla sua vita con qualche certezza in più e con un sorriso sul volto, infatti, non vediamo come noi lettori, esposti alla cruda realtà della guerra (grande, vecchia, recente, in fondo è sempre la stessa, guerra), potremo chiudere il libro e non restarne colpiti.

Lo sporco disegno di Davide Pascutti serve a rendere anche graficamente la sensazione di fastidio che le vicende narrate devono darci; a tal proposito sarebbe stato forse più efficace rendere i momenti ambientati al giorno d’oggi in maniera più decisamente ligne claire per poter appieno beneficiare del contrasto guerra/sporco, pace/pulito; non basta, in questo senso, la sottile differenza delle vignette riquadrate con righe perfette nei passaggi “contemporanei” rispetto a quelle riquadrate “a mano” con segno non perfetto nei passaggi “bellici”. Già visto all’opera su un altro volume targato BeccoGiallo, Pascutti ha un segno aperto e non dettagliato che si completa con un chiaroscuro quasi acquerellato; un tratto che, per le storie che è chiamato a disegnare, ci sembra decisamente adeguato. Altro piccolo dato caratteristico del disegnatore è il font utilizzato per il lettering che, dai credits, riteniamo sia “personale” e che anche in questo caso ci sembra molto azzeccato. Discorso di verso per quello usato per le lettere, che, purtroppo, non rende appieno nella stampa e diventa talvolta di difficile interpretazione.

Senza costringere il volume in una gabbia più o meno prefissata gli autori ci narrano un percorso di conoscenza che deve essere tale sia per Luca, il protagonista, sia per noi lettori. E se per Luca la verità è sì scoprire la storia della scomparsa del nonno, ma anche guardarsi all’interno, per chi legge significa toccare la pioggia, il fango ed il sangue che hanno contraddistinto decine di mesi di appostamenti e battaglie. Sentiamo la pioggia che batte sugli elmetti e vediamo giustamente le bombe e le pallottole spazzar via le vite ed i sorrisi di giovani italiani al fronte.
È un bene che ci si chieda ancora il motivo di quella guerra: il perché di 700.000 morti, di 600.000 dispersi e prigionieri…
Non è questo il posto dove entrare nella “retorica” della pace. E se un po’ l’abbiamo sfiorata, beh, non siamo noi ad averne voluto parlare: date pure la “colpa” a Di Virgilio e Pascetti ed al loro lavoro sul pubblicato dalla Beccogiallo.

Note:
[1]
“La storia siamo noi” di Francesco de Gregari dall’album Scacchi e Tarocchi (1985)
[2] op. cit

Riferimenti:
Becco Giallo Editore: www.beccogiallo.it
Alessandro Di Virgilio, blog: alessandrodivirgilio.blogspot.com
Davide Pascutti, blog: davidepascutti.blogspot.com

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