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Dopo una lunga carriera professionale all’interno della casa editrice, Giovanni Ferrara è diventato direttore editoriale di Coconino Press verso la fine del 2021. Insieme a lui ripercorriamo i punti salienti della sua vita professionale, la storia della casa editrice e il futuro che ha davanti a lei.
Benvenuto su Lo Spazio Bianco, Giovanni.
Iniziamo con qualche notizia personale: che ricordi hai del primo approccio ai fumetti, cosa ti piaceva leggere, quali letture (tra infanzia e adolescenza) han formato la tua prima cultura fumettistica.
La mia passione per il fumetto si è accompagnata da sempre a quella per la letteratura, il cinema e la musica. Potrei dire che ha preso il sopravvento sulle altre soltanto in età adulta e, soprattutto, negli ultimi anni. Tra le primissime letture che hanno conquistato la mia immaginazione ci sono sicuramente la Pimpa di Altan e la Stefi di Grazia Nidasio, sul Corriere dei Piccoli. Le storie dei paperi, quelle in particolare, che mi aspettavano nella cassetta della posta (sono stato abbonato a Topolino per tanti anni) e i fumetti Bianconi: ho divorato e amato tutti quelli che ho trovato nell’edicola sotto casa: Braccio di Ferro, Geppo il diavolo buono, ma anche Soldino, Nonna Abelarda e Felix. Ho trascorso in loro compagnia buona parte della mia infanzia. Da adolescente direi soltanto il Dylan Dog di Sclavi, e poco altro. Ho riscoperto il fumetto negli anni universitari. Se studiavi a Bologna era praticamente impossibile non imbattersi in Andrea Pazienza e non avere la netta sensazione che quelle storie, a distanza di anni (e per sempre, forse?) parlassero di te. E poi grazie a Will Eisner – Verso la tempesta era appena stato pubblicato dalla Puntozero – mi sembrò che raccontasse il Novecento molto meglio di gran parte dei libri di storia che avevo avuto tra le mani.
Come sei entrato nel mondo dell’editoria?
Ho avuto spesso l’impressione che siano stati i libri a indicarmi il percorso. All’ultimo anno delle superiori un professore mi ha messo tra le mani un romanzo, Boccalone. Una storia vera piena di bugie, di Enrico Palandri. È una storia d’amore che sullo sfondo ha il ’77 bolognese, i carri armati mandati da Cossiga contro gli studenti dopo l’uccisione dello studente Francesco Lo Russo, la creatività e la socialità sfrontata di quel periodo. Quel libro mi ha fatto innamorare di Bologna, ho scelto la città ancor prima della facoltà universitaria e senza averci mai messo piede. Gli anni universitari sono stati fondamentali per la mia formazione, anche per l’offerta culturale che ti offriva la città, ricordo giornate intere trascorse al Lumière, la cineteca, la scoperta dei grandi registi. E sono arrivato seguendo le letture della mia adolescenza anche a Torino, alla Scuola Holden fondata da Alessandro Baricco. Mentre ero lì, tra le altre cose, ho avuto la possibilità di incontrare proprio l’autore di quel libro che mi aveva portato a Bologna, realizzando (con due colleghi del corso) un documentario in cui incontravamo tutti i protagonisti del romanzo (erano tutti personaggi reali) 25 anni dopo la sua uscita. Quel documentario (si intitola Il Popolo alto) mi ha permesso di iniziare a lavorare con la Fandango, la casa di produzione fondata da Domenico Procacci, che in quel periodo stava producendo Lavorare con lentezza, il film su Radio Alice. Ho fatto una lunga trafila che mi ha portato con il tempo a diventare editor di narrativa. Quando Fandango ha acquisito Coconino Press, dando vita a un piccolo gruppo editoriale, ho iniziato progressivamente a occuparmi anche di Coconino, e in maniera più esclusiva durante la direzione di Ratigher.
In Coconino hai avuto a che fare da subito con professionisti del settore dai quale hai potuto imparare anche solo guardando. Ti andrebbe di ricordare i primissimi anni di lavoro con la casa editrice e, nonostante non sia una vita fa, quanto quel periodo lo vedi e senti lontano e, se sì, per quale motivo?
La mia formazione professionale, come appena raccontato, avviene prevalentemente all’interno di Fandango Libri. Posso dire di aver iniziato a collaborare con loro in un momento irripetibile, mentre la casa editrice stava vivendo una trasformazione che l’avrebbe portata a diventare da piccolo editore di qualità (tra i primi libri pubblicati, tanto per dirne uno, c’era Infinite Jest di David Foster Wallace) a una delle più interessanti realtà del panorama editoriale italiano. Un gruppo di scrittori (Alessandro Baricco, Carlo Lucarelli, Edoardo Nesi, Laura Paolucci e Sandro Veronesi) erano appena diventati soci e come direttrice editoriale arrivava Rosaria Carpinelli, una delle più grandi professioniste dell’editoria italiana, che era stata alla guida di RCS Libri. In quel periodo ho appreso l’attenzione, quasi maniacale, per ogni aspetto del lavoro editoriale, e la centralità che rivestono gli autori nella vita di una casa editrice. Fandango è stata un esperimento unico nella vita culturale italiana: una factory in cui accanto ai film e ai documentari c’era un’etichetta discografica, una radio, i libri e dove poi sono arrivati i fumetti. Del primo approccio con Coconino, invece, potrei raccontare di una delle prime Lucca a cui ho partecipato. Avevi la sensazione abbastanza precisa, stando con loro, che gli autori che pubblicavano per la casa editrice condividessero molto più che la comune appartenenza a un marchio editoriale. Un senso di affiatamento molto forte, un comune sentire, che fossero parte di una stessa famiglia.
Hai la possibilità di spiegare che tipo (quantità) di lavoro ci sia dietro una pubblicazione editoriale a fumetti. Riesci a sintetizzare i passaggi necessari, la fatica e il lavoro dietro all’uscita di un volume?
Il fumetto è un linguaggio solo apparentemente semplice. È immediato ma anche estremamente sofisticato, perché combina testo e immagine con possibilità sterminate e risultati espressivi che possono essere diversissimi tra un autore e l’altro. La particolarità nell’occuparsi di fumetti è proprio nell’elasticità mentale che richiede anche a chi lavora in casa editrice. Devi essere attento a come viene utilizzata la lingua, al ritmo e alla credibilità dei dialoghi. Devi analizzare le strutture narrative, che a volte possono assomigliare a quelle tipiche della sceneggiatura cinematografica, altre essere imprevedibili come il romanzo o la poesia. E saper leggere le immagini, la cifra stilistica di un autore, analizzare la costruzione di una tavola.
Nella tua carriera professionale hai avuto contatti con altri editori, autori di fama mondiale, distributori ma anche e soprattutto con il pubblico, grazie alle fiere di settore ed agli incontri di presentazione. Ognuno di questi rapporti ha messo un qualcosa nel tuo bagaglio. Te la senti di raccontare come?
Penso che il lavoro editoriale sia soprattutto una storia fatta di incontri. Ogni libro a cui ho lavorato mi ha arricchito anche personalmente, e quasi sempre ha fatto sì che si creasse un legame molto forte con chi quelle storie le racconta. Nei miei anni in Fandango ho avuto il piacere di conoscere Roberto Saviano. Leggevo gli articoli incredibili che scriveva per Nazione Indiana e gli proposi di venire a trovarci in casa editrice prima che uscisse Gomorra. Nonostante il grande successo, forse non c’è ancora l’esatta consapevolezza di quanto radicalmente il suo libro abbia smosso la società italiana. Un altro autore che ho avuto il privilegio di incontrare è Gianni Celati, di cui ho curato il cofanetto Cinema all’aperto con i suoi documentari. Custodisco i giorni trascorsi con lui tra le cose più preziose della mia carriera, la lucidità e purezza del suo sguardo, sulle cose del mondo e su quelle dei libri, è stata una lezione preziosa. Tra gli autori di fumetti indico due classici. Di Andrea Pazienza ho curato (insieme a Oscar Glioti) l’opera omnia. Nella percezione generale, nell’ambiente del fumetto, si ha spesso l’impressione che di suo sia stato pubblicato fin troppo, ma quando ho iniziato a occuparmene con Fandango se andavi in una qualsiasi libreria era impossibile trovare anche le sue opere più conosciute. Sono partito da una convinzione precisa: così come di un qualsiasi scrittore fondamentale del Novecento, prendiamo ad esempio Calvino, puoi reperire con facilità ogni libro, la stessa cosa doveva avvenire con Pazienza. Non è stato facile riorganizzare con un rigore il più possibile filologico l’opera di questo autore straordinario, che nella sua carriera (breve ma intensissima, a dispetto della sua scomparsa prematura a 32 anni e della sua fama di artista pigro) ha disseminato creatività in mille rivoli, tra riviste e fanzine. E Guido Buzzelli, su cui ho iniziato a lavorare più recentemente. Quando abbiamo pubblicato La Trilogia, erano davvero in pochi a ricordarlo, eppure è un autore imprescindibile. Ritengo sia corretto pensare che tutto un certo tipo di fumetto sia iniziato con lui. Quando voglio evidenziare i passi colossali che ha compiuto questo linguaggio ricordo un aneddoto che mi ha raccontato Grazia De Stefani, moglie e collaboratrice di una vita: quando Guido nel 1967 completò La rivolta dei racchi, una storia lunga scritta e pensata da lui, iniziò un pellegrinaggio in giro per le redazioni italiane per cercare un editore, ma senza successo. Lo guardavano quasi con sgomento, era impensabile che un autore di fumetti si fosse messo a lavorare su una propria storia, non seriale, senza che ci fosse stato qualcuno a commissionargliela. Tra gli autori contemporanei indico Gipi: è uno dei pochissimi artisti in grado si stupire e spiazzare con ogni opera, capace di rischiare sempre, spostandosi da dove aveva lasciato il lettore con il libro precedente verso territori inesplorati.
Ti va di tracciare un rapido bilancio della traiettoria editoriale della Coconino e, soprattutto, come (dove) la vedi nel panorama editoriale (fumettistico) attuale?
La Coconino nasce nel 2000 dall’intuizione di Igort, uno dei più grandi fumettisti italiani, e di Carlo Barbieri, uomo di cultura innamorato degli autori e delle loro opere che veniva da una lunghissima esperienza nella distribuzione libraria. Ho il rammarico di non averlo mai incontrato, è scomparso poco dopo che la Coconino venne acquisita da Fandango, ma ho avuto il piacere di lavorare con sua moglie Paola (che ha retto il timone della casa editrice per diversi anni dopo la sua scomparsa) e di conoscerlo attraverso le parole dei tanti nostri autori che gli erano legatissimi. Quando la Coconino è nata sembrava impensabile che potesse esserci spazio in libreria per il fumetto d’autore. Né tantomeno che potesse esserci l’attenzione che poi c’è stata da parte dei media, delle istituzioni culturali e quindi del pubblico. L’altra intuizione è stata quella di rapportarsi ai libri a fumetti con la stessa cura e la stessa professionalità che veniva riservata alla narrativa tradizionale. E quindi quella di far nascere una redazione in cui fossero presenti degli editor, un ufficio stampa dedicato, un’attenzione estrema alla promozione e alla distribuzione dei propri titoli. È entusiasmante constatare fino a che punto quella visione si sia realizzata. Ed emoziona pensare a quante possibilità si aprano da qui in avanti per le storie a fumetti.
La Coconino, all’inizio della sua storia, ha dovuto fare questo lavoro enorme, quasi solitario, per comunicare e affermare il valore artistico non soltanto delle opere che pubblicava ma del medium stesso, del linguaggio a fumetti. Igort, in un convegno che si è tenuto recentemente all’edizione 2021 di Bilbolbul, l’ha definita una vera e propria battaglia per la sopravvivenza del fumetto d’autore in Italia. Finita l’epoca d’oro delle riviste tra anni Settanta e Ottanta, quando un certo tipo di fumetto anche molto sperimentale e raffinato riusciva a incontrare settimanalmente un pubblico di decine di migliaia di lettori, negli anni Novanta le possibilità di pubblicazione per gli autori si erano ridotte drasticamente. Da questo punto di vista Igort – e io sono d’accordo con lui – reputa abbastanza sterile la discussione su quanto sia appropriato il termine “graphic novel”. Coniata da Will Eisner ai tempi di Contratto con Dio, è stata anche questa definizione a far conoscere un certo tipo di fumetto, facendo scoprire a un pubblico più ampio questo linguaggio. Nei primi anni di vita della Coconino, quindi, una parte importante delle scelte della casa editrice erano protese al raggiungimento di questa legittimazione culturale: la partecipazione alle fiere non di settore, ad esempio, e ogni aspetto tipografico (ad esempio l’utilizzo di un certo tipo di carta, particolarmente preziosa, sia per gli interni che per le copertine, o il fatto di adottare dei formati particolarmente riconoscibili). È andata in questa direzione anche la scelta di far concorrere Unastoria di Gipi allo Strega, il più autorevole premio letterario italiano.
Quando Igort ha lasciato la direzione nel 2017 e al suo posto è arrivato uno dei più talentuosi fumettisti delle ultime generazioni, Ratigher, con un background che addirittura affondava le proprie radici nelle autoproduzioni, in qualche modo quella rivoluzione era già stata vinta. Tantissime nuove case editrici erano nate e si erano affermate, e anche gli editori più grandi iniziavano a dare vita a marchi e collane interamente dedicate ai fumetti, permettendo uno sviluppo decisivo dell’editoria a fumetti del nostro Paese. Le più importanti pagine culturali recensivano con naturalezza le nuove uscite a fumetti. Il pubblico era cresciuto, anche grazie all’esplosione del fenomeno Zerocalcare. Questo mutamento di scenario ha permesso anche un cambiamento di rotta alla casa editrice. Potevamo improvvisamente permetterci di essere più “leggeri”, per quanto possa esserlo un editore che rimane estremamente raffinato come Coconino, aprirci e osare un po’ di più, nelle forme oltre che nei contenuti dei nostri libri. Ratigher ha dato un impulso decisivo alla voglia di sperimentare, anche cercando dei nuovi segni che fino a quel momento avevamo ospitato soltanto sporadicamente nel nostro catalogo. Il fatto poi che ci fossero molti più competitor, che lavoravano con grande competenza, ci obbligava a metterci in ascolto con attenzione ancora maggiore verso le novità internazionale, così come nello scouting degli autori italiani. Era necessario che la redazione crescesse e si strutturasse ancora meglio, che diventasse più orizzontale, accogliendo alcuni dei migliori professionisti del settore.
Dopo molti anni di collaborazione sei ora al timone della Coconino Press. Come ti senti? Che sensazione hai della responsabilità e come ti approcci al lavoro da fare?
Per la prima volta, nella storia della Coconino, alla guida della casa editrice non c’è un autore di fumetti. Era un’anomalia, rispetto a quanto accade nella maggior parte delle case editrici italiane, ma era anche una nostra specificità. Per questo motivo, per quanto possibile, ho intenzione di mettere ancora più al centro del progetto gli autori e le loro storie. Mi piace pensare, anzi, che questo specifico cambiamento possa essere interpretato come un ulteriore segno di crescita dell’intero settore. In un periodo in cui quasi non esisteva un’editoria per il fumetto d’autore in Italia, era toccato agli autori stessi rimboccarsi le maniche per permetterne la sopravvivenza e la rinascita. Gli ultimi anni, invece, hanno permesso a tante figure con competenze più specificamente editoriali di formarsi, e hanno permesso a un autore come Ratigher di poter decidere di tornare a lavorare sui propri fumetti (non vediamo l’ora) anche perché sa che potrà trovare una sponda adeguata per la pubblicazione dei suoi prossimi libri.
Poi, in realtà, nonostante la forte responsabilità che ovviamente sento nell’essere alla guida di una delle più prestigiose e longeve case editrici di fumetto in Italia, ho potuto accettare l’incarico con una certa spensieratezza dovuta al fatto che lo stesso Ratigher continuerà a partecipare alle scelte della casa editrice, e che c’è una redazione molto coesa con cui ci confrontiamo e condividiamo tutte le scelte. L’editoria è un lavoro meraviglioso perché è un lavoro di gruppo.
Intervista realizzata via mail nel mese di dicembre 2021
Giovanni Ferrara
Nasce a Castellammare di Stabia nel 1978, si laurea in Storia Contemporanea all’Università di Bologna e subito dopo frequenta un master in Tecniche della narrazione alla Scuola Holden di Torino. Nel 2004 si trasferisce a Roma, dove vive tuttora, e inizia a lavorare in Fandango, per un brevissimo periodo nello sviluppo progetti cinematografici, poi per la casa editrice Fandango Libri, quindi per Coconino Press, di cui adesso ricopre la carica di direttore editoriale. È sposato e ha due figli, di 11 e 13 anni.
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