FF Celebration: la trilogia di Galactus (contest creativo)

C’è una leggenda secondo la quale, quando Stan Lee concepì la “trilogia di Galactus” (Fantastic Four 48-50), scrisse semplicemente come soggetto da dare a Jack Kirby: “I FQ combattono Dio”.
Che sia vero oppure no, questo fatto aggiunge ulteriore fascino alla più grande saga di tutti i tempi del favoloso quartetto.

Fino a quel momento la testata aveva regalato a lettori appassionati una straordinaria galleria di personaggi, come gli Inumani, il Dottor Destino, Namor (in realtà recuperato dalle vecchie storie della Timely), o ancora l’Osservatore.
I dati di vendita parlavano chiaro: si era in piena “Silver age” dei comics.

Come tutti i grandi artisti, anche Stan e Jack realizzarono il loro personalissimo capolavoro, la loro Gioconda, la loro quinta sinfonia, la loro stella più luminosa in un firmamento già splendente.
Tutto parte con due segni da Antico Testamento, il cielo che si copre prima di fiamme e poi di rocce, opera dell’Osservatore, che profetizza l’armageddon. Ecco poi giungere il messaggero dell’apocalisse, un argenteo cavaliere degli spazi siderali, imparziale e freddo: Silver Surfer. Infine, si manifesta il flagello, il possente Galactus, pronto a divorare il pianeta per potersi nutrire e sopravvivere.

Potrebbe sembrare una storia come tante altre, eppure non è così.
Ogni pagina è un fuoco d’artificio pronto a sorprendere chi legge con trovate geniali e senza tempo. Innanzitutto, il Divoratore di mondi stesso è uno dei malvagi più terrificanti e iconici di tutti i tempi, incarnazione del potere e della maestosità, che agisce solo per sopravvivere, al di là dei concetti di bene e male. Ecco poi Silver Surfer, strabiliante personaggio di rara poesia nel caotico e turbolento mondo supereroistico.
Non si possono inoltre tralasciare le matite di un titanico Kirby, qui al pieno della sua inventiva e bravura, sia nelle scene dinamiche sia in quelle più intimiste.

La Trilogia non è solo apparenza, ma soprattutto emozione. Il dramma infuso in quelle pagine è palpabile, la tensione si fa quasi shakespeariana, in un climax narrativo di straordinaria efficacia.
Semplicemente geniale è la svolta narrativa, offerta dal personaggio di Alicia. Solo lei, che non può guardare fisicamente, possiede gli occhi che permettono di vedere l’umanità sopita del surfista d’argento, come già aveva riconosciuto la bontà nascosta nella mostruosa Cosa: una trovata di respiro quasi omerico nella sua intensità.

Infine, il concetto di “supereroi con superproblemi” fa da contorno all’intera vicenda, mostrando un Quartetto profondamente umano che lotta, soffre, ama come le persone qualunque. Sono una famiglia come tante, portata ad affrontare inevitabilmente una difficoltà all’apparenza insormontabile. La loro normalità, nella quale risiede la loro grandezza, ci porta ad immedesimarci nelle loro leggendarie tute con il 4, vivendo in prima persona un’avventura che è difficile da scordare.

I fumetti di oggi possono essere più strutturati, i dialoghi forse meno ingenui, i disegni e i colori probabilmente migliori. Sono convinto che tuttavia non ci sarà eroismo più grande, prosa più epica, saga più mitica della “trilogia di Galactus”, né mai ci sarà. Non si può infatti concepire l’universo Marvel senza l’opera dei padri fondatori, né si possono pensare i Fantastici Quattro senza Stan Lee e Jack Kirby, gli uomini che realizzarono “il fumetto più bello del mondo”, e che ci fecero sognare la meraviglia del fantastico.

 

Filippo Tagliabue

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