FF Celebration: Flame off (La morte della Torcia umana e l’industria supereroistica del caro estinto)

La Fiamma ha smesso di ardere. Johnny Storm, la Torcia umana, ha dovuto sacrificarsi per salvare l’amico Ben Grimm, la Cosa, ed i nipoti, figli della sorella Sue, la donna invisibile.
E’ accaduto lo scorso Gennaio sulle pagine di Fantastic Four 587 quando, per la prima volta dal novembre 1961, dopo cinquant’anni, testata e protagonisti del fantastico quartetto si sino ridotti a “3” (Three) come recita il fatidico titolo epitaffio della saga, ideata dallo scrittore Jonathan Hickman.
Muore giovane chi è caro agli dei della narrativa popolare. Accadeva nella letteratura d’appendice dell’ottocento e accade oggi anche nelle super-soap a fumetti. A spulciare gli annali, si scopre che il primo caduto sul campo supereroico tra le major appartiene all’universo della DC comics: Lightning Lad, socio della Legione dei supereroi, perito la prima volta nel 1962. Peraltro, i puristi, segnalano che il giustiziere mascherato della Archie Comics, The Comet, era passato a miglior vita già nel 1941. Come che sia, di lì in poi, l’ecatombe non si è più arrestata. Ha toccato i suoi vertici elegiaci, quasi filosofici, con la morte di Capitan Marvel di Jim Starlin negli anni Settanta, per poi debordare nel puro marketing narrativo con la dipartita del secondo Robin, Jason Todd, giustiziato dal Joker su mandato dei lettori di Batman, consultati con un sondaggio telefonico.

La morte di Johnny Storm, insomma, rientra in quello che, nel tempo, è diventato un vero e proprio genere nel genere. Il paradosso editoriale per cui i supertizi non possono morire – a livello seriale – perché la storia deve sempre continuare, ma muoiono – a livello commerciale – nel momento in cui cessa l’attenzione per il personaggio. E’ per sfuggire a questo secondo oblio, l’unico davvero letale, che si preferisce farli morire di tanto in tanto all’interno delle storie.
Chi prima, chi dopo, ci sono (tra)passati tutti: Superman, Batman, l’Uomo Ragno, Capitan America, Supergirl, Flash, Nightcrawler, Green Lantern. E che dire della povera Jean Grey , la Fenice degli X-Men, che di cadute e resurrezioni periodiche ormai ne conta una manciata?
Chi i decessi non siano mai davvero risolutivi, che gli eroi siano destinati a ritornare dalla tomba, novelli Lazzaro, questo è nella logica stessa delle cose.

“A vederlo, pareva morto, ma non dev’essere ancora morto perbene.”

Si potrebbe applicare ad ogni defunto supereroe quanto dice il corvo alla Fatina di Pinocchio, impiccato alla Quercia grande. Il burattino è uno dei primi eroi seriali – assieme allo Sherlock Holmes di Sir Arthur Conan Doyle – a morire e resuscitare per le insistenti pressioni del pubblico. Ciò che è interessante e, per alcuni aspetti, innovativo del fumetto supereroico è vedere come, sulla “sindrome di Lazzaro”, sia stata creata una vera e propria ingegneria narrativa.

Di base, la cornice fantastica delle avventure legittima una concezione labile del confine tra morte e vita, con un repertorio nutrito di situazioni ormai pre-confezionate: ibernazioni, viaggi nel tempo, dimensioni parallele – per esempio la leggendaria Zona negativa protagonista anche in “Three” – etc. In più, Marvel e DC hanno costituito vere e proprie filiere produttive, come le collane di albi What if, dedicate a sperimentare versioni alternative degli avvenimenti narrati nella storyline ufficiale. Oltre che palestre per gli autori, questi spazi editoriali fungono da laboratorio permanente per la serialità degli eroi, tant’è che alcuni cambiamenti epocali ripresi poi nella vita ufficiale dei personaggi (matrimoni, lutti, poteri differenti, sostituzioni etc.) erano stati proposti prima come vangeli apocrifi in queste collane.
Complementari agli aspetti industriali sono le strategie espressive messe in campo dagli autori. Prendiamo proprio il numero 587 dei Fantastici 4: Hickman & Co. giocano fin dalla copertina del comic book con le certezze del lettore. Al centro della pagina il logo “4” del gruppo è attraversato da crepe: ogni membro del quartetto è rappresentato in pericolo, sommerso dai nemici, sul punto di soccombere. Davvero uno di loro sta per morire?E chi sarà il prescelto? Una costruzione in suspence che riecheggia la saga di un’altra morte miliare dell’universo Marvel, quella della dolce Gwen Stacy in Spider-Man. Anche lì, sfruttando il classico schema da romanzo giallo inglese, si suggeriva al lettore già in copertina che  un comprimario importante, un personaggio primario nella vita di Peter Parker, sarebbe stato assassinato.

Nel caso della morte della Torcia Umana – e più in generale di ogni eroe – l’impatto è maggiore, perché sottrae ogni certezza seriale al pubblico. In “Three”, come in altre saghe mortuarie Marvel e DC, il culmine drammatico dei racconti non viene toccato nelle vignette in cui il supertizio soccombe, come ci si potrebbe attendere. Bensì nelle sequenze che mettono in scena il dolore collettivo degli altri personaggi per la scomparsa del protagonista.
Indicativa è la cover del numero 588. La testata porta ancora il nome Fantastic Four, tuttavia tra le quattro tradizionali effigi degli eroi, quella di Johnny è rimpiazzata da un bollino nero. Al centro, della pagina il gruppo appare ricompattato, ma a che prezzo: Reed abbraccia Sue in lacrime, Ben si nasconde il volto tra le mani. Sullo sfondo un’immagine sbiadita ricorda il Fantastico quartetto, sorridente e giovane, così com’era. Così come non sarà mai più.

Il dramma emozionale, patemico, vissuto dagli altri eroi sopravvissuti diventa il simulacro del dramma percepito dal lettore. Anche se quel “mai”, lo sappiamo bene, andrebbe pronunciato con il disincanto smaliziato di chi sa che dietro l’angolo si nasconde l’ennesima resurrezione prêt-à-porter. Questo però non indebolisce la forza della fabula: è l’aspetto che – aldilà di ogni gusto personale – bisognerebbe cogliere in termini di analisi. Per quanto appannata dalla sua ridondanza commerciale, dalla necrofilia mass-mediatica che l’accompagna, la morte dell’eroe resta un evento dal fascino unico per il fan. Come ricorda Gino Frezza in merito alla caduta di Superman del 1992:

“Il funerale di Superman è il luogo di una consapevolezza collettiva, patetica e simbolica, che evidenzia come sia andata persa per sempre, la necessità di un mito svincolato dalla rappresentazione del dolore, della sofferenza, del confine estremo della vita.”

In pratica, di pari passo alla spietata logica commerciale che sacrifica il corpo del supereroe per qualche copia in più di venduto, è cresciuta una sensibilità estetica del pubblico e degli autori stessi che ne legittima la replica seriale. E’ il genere ad aver accolto la morte come intima possibilità narrativa, ad averla interiorizzata come accadeva nelle antiche cosmogonie con la caduta di Dei e semi-dei.
Già vent’anni fa, in uno dei più bei saggi dedicati all’argomento (“Uccidere gli eroi”), Daniele Barbieri, collegava il fenomeno morte ad altri due aspetti divenuti sempre più centrali nel fumetto supereroico americano, il misticismo e la violenza. Prima come tematiche estreme all’interno di serie periferiche come Strikeforce: Morituri o Marshal Law e poi via, via permeando le serie mainstream di Marvel e DC, questi temi hanno trasformato le regole del gioco. Grazie soprattutto alla verve creativa di autori “di rottura” come Frank Miller, Alan Moore e Neil Gaiman, o più “canonici” come John Byrne e Chris Claremont, la morte – da evento eversivo – si è trasformata in evento catartico, capace di assumere su di sé le necessità produttive, narrative ed estetiche del genere.

La fine di Johnny Storm appare paradigmatica in questo senso. I Fantastici 4 sono i decani della teogonia Marvel, il primo tassello del variopinto mosaico allestito da Stan Lee e Jack Kirby. I personaggi della “Casa delle Idee” cambiano negli anni, fanno figli e (appunto) muoiono, sulla scorta di un trucco d’illusionismo temporale chiamato continuity.
Di quell’illusione, il Fantastico quartetto è sempre stato il vessillo con quel suo assetto di speciale gruppo/famiglia per cui, se nel singolo episodio il pericolo arriva dal supercattivo (che sia il Dottor Destino o Galactus), nella serialità cosiddetta “lunga” il pericolo vero (che fa battere il cuore al lettore) è rappresentato da tutti i cambiamenti familiari che minano l’unità del gruppo. I continui dissidi tra Ben e Jonny, la maturazione da ragazza a donna (invisibile) di Sue, le ossessioni irrisolte di Reed, la nascita e la crescita di Franklin… Come scrive Daniele Barbieri:

“Primi a venire alla luce nell’Universo Marvel, i Fantastic Four sono stati così anche i primi e gli unici ad affrontare davvero il problema del crescere e dell’invecchiare.”

E in questo processo di maturazione, per forza di cose contraddittorio, era inevitabile che prima o poi,  anche lui, Johnny Storm, l’eterno ragazzo, il Peter Pan fiammeggiante, dovesse fare i conti con il cambiamento.  In fin dei conti, a uccidere la Torcia Umana non è stata una trovata dello scrittore Jonathan Hickman, ma il tempo che passa.

Bibliografia di riferimento
Daniele Barbieri, “Supereroi & Sons”, Star Magazine, 23, 1992;
Daniele Barbieri,“Uccidere gli eroi” in Daniele Brolli (eds.), I mille volti del supereroe, Perugia, Star Comics, 1991;
Peter Coogan, Superhero: The Secret Origin of a Genre, Austin, MonkeyBrain Books 2006;
Marco D’Angelo, “Lettore avvisato, burattino salvato. Strategie seriali” in Isabella Pezzini e Paolo Fabbri (eds.), Le avventure di Pinocchio. Tra un linguaggio e l’altro, Roma, Meltemi, 2002;
Alessandro Di Nocera, Supereroi e superpoteri, Roma, Castelvecchi., 2006;
Gino Frezza, La macchina del mito. Tra film e fumetti, Firenze, La Nuova Italia, 1995;
Tom Pinchuk, “The Cycle of Death and Resurrection in Superheroes”, in www.comicvine.com (http://www.comicvine.com/news/the-cycle-of-death-and-resurrection-in-superheroes/142531/) 2011;
Richard Reynolds, Super Heroes: A Modern Mythology, Jackson: University of Mississippi Press, 1994.

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