Facciamo finta che nella realtà storica Stan Lee e Jack Kirby abbiano immaginato insieme le storie dei Fantastici Quattro. La cronaca ereditiera e giudiziaria recente ci dice che forse Stan Lee non ne ha avuto parte. Secondo questo punto di vista, non avrebbe mai scritto una singola storia in vita sua. Ma atteniamoci alla finzione storica. A quello che è ormai dato come fatto conosciuto, anche se non certo.
All’inizio degli anni ’60, Lee e Kirby litigavano quotidianamente nel creare le nuove avventure del quartetto. Dalla loro conflittualità nascevano le idee, si sviluppavano le storie. Erano una coppia di colleghi ambiziosi, determinati e ricchi di fantasia. Il fumetto di supereroi aveva già una lunga storia alle spalle, quella dei Superman, Batman, Wonder Woman… ma Lee e Kirby ambivano a fare qualcosa di nuovo. A rompere schemi. A sviluppare storie secondo due chiari paradigmi: i superpoteri possono essere un problema; i Fantastici Quattro sono una famiglia. Attorno a questi due perni, il fumetto di supereroi è cambiato. E i nostri due super-autori ne erano consapevoli.
Lo hanno fatto con determinazione, in una sfida continua.
È di Kirby il contributo maggiore, in termini di immaginario, perché l’irrealismo grandioso delle sue tavole metteva in scena quotidianamente un paradosso: voler tornare a un rapporto con il reale, stravolgendone completamente la rappresentazione iconica e visiva.
I Fantastici Quattro giocano da subito con l’ambiguità del rapporto finzione-realtà. Così nelle vicende cosmiche, così nelle vicende familiari, minime, eppure estreme. La Cosa e le sue (im)possibili aspirazioni affettive; Mr Fantastic e il senso di colpa per l’incapacità di prevedere il prevedibile; la Torcia Umana che ambisce a un ruolo di star, nella fragilità della sua personalità; la ragazza invisibile che sarà donna, ma con John Byrne vent’anni dopo, e cresce nell’immobilità della ripetizione seriale.
A pensarci, i poteri degli F4 non sono gran cosa, all’inizio: allungarsi, essere di roccia, diventare fiamma e volare, diventare invisibili. C’è il gioco degli elementi naturali, sui quali Lee e Kirby non spingono mai consapevolmente, ma soprattutto c’è in nuce il concetto di forza centripeta familiare.
È questo, si direbbe, il vero superpotere transpersonale. Gli equilibri instabili tra gli elementi (rappresentati dai loro poteri) sintetizzano le dinamiche proprie delle loro relazioni personali, che sono il connettore narrativo, la ragione per la quale personaggi così strani e, si direbbe, male assortiti vivono la quotidianità nel suo divenire. Gli equilibri instabili degli affetti familiari detonano le vicende, spesso in modo reattivo rispetto a umori e paure incontrollabili. Lee e Kirby non sono fini sociologi, non sono interessati al realismo dei meccanismi dinamici delle relazioni, quanto al loro potenziale avventuroso. Le storie degli F4 si sviluppano per contrasti, per contrapposizioni. Ma in quegli scontri giocati sempre sul duplice livello (personale e universale) è la forza centripeta della famiglia a far sì che il meccanismo non si rompa.
A Lee e Kirby interessava essere eccitanti, innovativi, dinamici, esplosivi.
Così, il realismo sfuma nelle distorsioni dell’avventura, in un continuo gioco al rialzo, dove il pericolo si fa sempre più mortale, la lotta sempre più planetaria e interplanetaria. L’arrivo di Galactus sconvolge tutto il mondo dell’avventura per come è stato conosciuto finora. Realismo, irrealismo.
L’irrealtà dell’arrivo di un alieno gigante come Galactus è trattato con intensità lirica e coerente sul piano del realismo psicologico, e la minaccia non è più vissuta dal lettore con distacco divertito, ma con una partecipazione inedita, spaventosa. Ma saranno i migliori epigoni di Lee e Kirby che, nei decenni successivi,
comprenderanno al meglio questo tema rinnovandolo in funzione della specifica sensibilità del loro tempo.
In primis, John Byrne, che nel celebre processo a Reed Richards valuterà le conseguenze interplanetarie della sopravvivenza di Galactus decisa dal quartetto. Byrne si comporta sì da sociologo, quando agli inizi degli anni ’80 ripercorre il potenziale narrativo presente nel primo ciclo di storie del quartetto. Ne valuta le implicazioni, tematica dopo tematica (l’idolatria; la funzione sociale della donna nella serialità a fumetti e, di conseguenza, nell’immaginario popolare della società statunitense; l’etica umana del potere e delle responsabilità; la curiosità scientifica alla base del multiverso…). L’occhio di Byrne sarà fantascientifico, vicino a quello della fantascienza umanista.
In ultimo, sarà Mark Millar, con il fido disegnatore Bryan Hitch, a spingere fino alle estreme conseguenze la tensione drammatica tra microcosmo familiare e macrocosmo planetario, ricercando nel paradosso delle realtà parallele il nesso che collega tutte le possibilità narrative del fumetto popolare statunitense. Millar è pienamente consapevole dei propri mezzi, è volutamente sopra le righe, è chiaramente evoluto. Il lavoro di Millar arriva dopo che l’autore ha esplorato, tirato e compresso per anni il tema del potere e del rapporto tra potere e umanità. È un tentativo talmente centrato da apparire spesso meccanico. Lee e Kirby, invece, improvvisano.
Nelle loro storie, numero dopo numero, si respira la forza e la leggerezza dell’invenzione. Il gioco al rialzo narrativo, così evidente in una lettura a posteriori, è una sfida nella sfida che gli autori portano avanti mese dopo mese sorprendendo i lettori e loro stessi sui possibili sviluppi.
La narrazione deve essere, come si diceva, eccitante, auto-compiaciuta ed estremamente ironica, come emerge chiaramente anche dal costante scivolamento meta-narrativo delle storie.
Nel mondo dei Fantastici Quattro gli autori si rivolgono spesso direttamente ai lettori; esistono i fumetti che raccontano le loro avventure; spopolano i fan club dei personaggi, che ricevono valanghe di lettere di apprezzamento (e qualche critica); e così via.
Negli autori, insomma, c’è chiarezza di intenti (la sfida, la ricerca di qualcosa di eccitante e nuovo), ma non c’è programmazione a lungo termine.
C’è invenzione.
Ecco, i Fantastici Quattro di Lee e Kirby sono una delle massime espressioni popolari dell’ingegno umano in ambito narrativo. E il lettore loro contemporaneo respira all’unisono con quelle storie, mai troppo complesse, mai troppo ingenue. Ne sente la freschezza, la novità e la sorpresa.
Si tratta di un passaggio storico per il fumetto come mezzo di comunicazione, un salto quantico, perché esiste necessariamente un prima e un dopo i Fantastici Quattro (anche dal punto di vista editoriale). L’opera seminale dei due autori, infatti, spinge versa una nuova consapevolezza delle possibilità del medium fumetto, e nessun autore, minimamente attento a quanto gli stava accadendo intorno, avrebbe potuto non tenerne conto.
E infatti tutti, in un modo o nell’altro, ne hanno tenuto conto.
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