L’eco che dà il titolo a questa maxiserie di trenta numeri fa riferimento ad un qualcosa che in una recensione sarebbe meglio non spiegare per non rivelare troppo. Ci piace, tuttavia, dare a questo sostantivo un altro significato, un’altra provenienza.
Gli echi, in questo poderoso volume edito dalla Bao Publishing, che raccogliere tutte le storie e le copertine della serie, sono così tanti che quasi spaventano.
Tuttavia non hanno spaventato l’autore Terry Moore, già famoso per quel gioiello narrativo che è la serie Strangers in Paradise, che ha voluto affrontare temi molto cari a una certa narrativa e filmografia così in voga negli ultimi lustri (che parla di spionaggio e teorie complottistiche), costruendo una vicenda che per molti versi trasmette una sensazione di già letto e già visto, ma che funge in realtà solo da scenario al vero racconto, al vero messaggio.
Potrebbe essere un esercizio sterile quello di trovare ad ogni costo un riferimento, un’ispirazione in ogni personaggio o in ogni vicenda del volume; il farlo, tuttavia, ci permette di aiutare chi non ha letto il libro a comprendere quali siano le caratteristiche del volume e soprattutto le atmosfere.
In prima battuta è il caso di sgombrare il campo da un’ipotesi che a qualche balzano lettore potrà venire in mente: il fatto che la protagonista trascorra gran parte del volume in topless (seppur, come dire, castigato da una patina metallica) non è il motivo dell’enfasi e della positività che pervade questa recensione. O almeno non solo.
Detto questo, vale la pena cercare di capire quanti e quali ambientazioni, vicende, generi narrativi e tòpoi Moore abbia saccheggiato dalle altre arti, per incastonarci dentro la sua storia.
L’ambientazione è quella della provincia americana (California, per essere precisi); la protagonista femminile, Julie Martin, si trova, come spesso capita ai protagonisti, nel posto sbagliato al momento sbagliato.
È una esplosione nel deserto (proprio come nel fumetto dell’Incredible Hulk, quando i raggi gamma di una bomba progettata dallo stesso Bruce Banner innescarono nello scienziato una mostruosa trasformazione) a dare il la agli eventi. Julie è dapprima semplice testimone dell’accaduto, salvo poi essere travolta, in maniera molto violenta, dalla conseguenza che da esso scaturisce.
La lunga narrazione, se letta tutta di seguito, appare ben bilanciata.
Il taglio intimista, ben dosato, è saggiamente equilibrato con le dinamiche di movimento o di scontro vero e proprio. Tutti i personaggi sono rapidamente e chiaramente caratterizzati, introdotti a getto continuo fino a giungere, verso la metà della storia, a definire il pantheon degli attori sul palco narrativo.
L’autore ha un approccio alla tavola molto ordinato e rigido; riquadra tutte le vignette e si affida quasi sempre a tre strisce a tavola (con due o tre vignette a striscia) di misura variabile; il suo stile è di una pulizia e organicità disarmante.
Le sue donne sono reali perfino nell’aggrottare un sopracciglio o nel rimettersi a posto una spallina del reggiseno; vi è una attenzione per i dettagli, che va oltre la rappresentazione grafica di colonie di formiche nel deserto, ma indica uno studio delle opzioni grafiche (come ad esempio i vestiti scelti per i vari personaggi) che hanno alle spalle un ragionamento ed una logica molto coerente.
Tornando alla protagonista va segnalato che nelle quasi 600 tavole di fumetto la trasformazione di Julie che il lettore vive è fisica e mentale; in parte dovuta ad un processo di crescita tipico dell’eroe inconsapevole, che delinea l’evoluzione caratteriale durante le avversità, in parte dovuta alle conseguenze dell’esplosione che causa la crescita di una specie di armatura che si estende come un rivestimento sul suo corpo (l’armatura è fatta di una strana sostanza metallica) ed in parte ad una terza questione che lasciamo scoprire al lettore.
La Julie delle ultime 30 pagine è distante anni luce da quella delle prime 30, cioè da quella che non riesce ancora a capire perché il suo matrimonio sia finito, pur avendo tutti gli elementi (e anche un marito che, all’occasione, glieli ricorda punto per punto) per poterlo fare e che ancora titubante non firma i documenti per concedere il divorzio.
Un attimo prima dell’esplosione che cambia la vita di Julie, intravediamo un’altra protagonista della storia Annie Trotter, alle prese con il prototipo di una tuta speciale, chiamata “beta“, che testa nei cieli limpidi di una giornata che potrebbe cambiare per i destini del mondo intero.
È interessante come l’autore, rispetto ai temi di Strangers in Paradise, alzi il tiro, usando alcuni temi comuni ad entrambe le serie (come per esempio quello delle splendide ragazze che si muovono in contesti più grandi di loro) ma aggiungendo elementi di sci-fi, spionaggio industriale (ma anche industria bellica e medica oltre alle teorie complottistiche…).
Dicevamo di Julie, e di come si trovi suo malgrado ad attraversare, dall’esplosione iniziale, molti generi narrativi e cinematografici. Sarà aiutata da un Ranger (Dillon), fidanzato di Annie, che, semplice (ma in gamba) ragazzo di provincia, riesce a catturare il suo affetto e il nostro grazie alla sua ironia e alla sua pacata risolutezza e, a differenza di Julie, senza aiuti supereroistici.
Julie ricoperta da questa sottile armatura metallica, simbiontica oseremmo dire (un costume vicino al Venom o alla X-O Manowar piuttosto che all’ultimo Iron Man a fumetti), scappa da un Ente che rivuole ciò di cui lei inizialmente tenta di liberarsi (l’armatura stessa); sulla sua strada ci sono un gruppo di interessanti e preparati cospirazionisti (è citato anche un sito, moonlakeconspiracy.com, dedicato all’esplosione avvenuta all’inizio del volume, realmente poi messo online) in gamba quanto il Marvin Boggs (John Malkovic) in Red o il Charlie Frost (Woody Harrelson) di 2012 piuttosto che Edward Lyle (Gene Hackman) in Enemy of the state (Nemico Pubblico).
Lei e Dillon sono braccati da una lucida e capace bounty, risoluta e sicura di sé come il Samuel Gerard (Tommy Lee Jones) di The fugitive (Il fuggitivo). Come in questo ultimo film la cacciatrice per prima cosa impara a conoscere la preda ed alla fine diventa la sua più preziosa alleata (non è uno spoiler, nella vicenda tutto è abbastanza telefonato, i colpi di scena non sono straordinari, servono solo a scandire gli eventi e la narrazione dietro questa facciata).
Il finale è chiuso ma con il “codino”. Improbabile che ci sia un seguito ma mai dire mai.
A dire il vero la protagonista principale è quasi la tuta beta, prototipo inventato e collaudato da Annie che per errore finisce nelle mani (sul corpo) di Julie; la tuta si trova al centro di uno studio sulle energie nucleari e di come esse possano garantire, più che il bene (inteso come benessere fisico, vista la possibilità che la tuta possa migliorare le condizioni fisiche di chi le è vicino, ma anche come benessere materiale dato che è comunque un modo per incanalare energia nucleare, quindi energia) la supremazia militare nei confronti dei nemici (di sempre o nuovi).
Ma allo stesso tempo, mentre ci viene dettagliatamente spiegato strada facendo come si è arrivati alla scoperta e come si è pensato e deciso di utilizzarla, su binari paralleli viaggiano altri temi, altri argomenti meno astratti e più concreti. Abbiamo persone che sono messe a dura prova e devono capire chi sono, scegliere cosa è il bene e cosa è il male. Devono cercare in prima persona di comprendere quali usi sono corretti e accettabili per tecnologie nuove e dalle insperate possibilità; il tutto mentre chi pretendeva di decidere per gli altri, sta erroneamente illudendosi di essere in grado di controllare tutto, causando conseguenze tali da far letteralmente scomparire la terra. Moore, passando dai temi “astratti” a quelli “concreti” ci fa passare dalle valutazioni sulla morale e su come la stessa debba interrogarsi sugli usi delle scoperte scientifiche alla necessità dei singoli di cercare e trovare soluzione ai propri problemi; da un riacutizzarsi di guerra fredda con annesso spionaggio alla disperazione di un ragazzo che non accetta l’idea di aver perso la sua compagna.
Un continuo variare di registro, fra alti e bassi, fra generale e particolare, inserendo ancora e ancora temi quali la singolarità di una persona affetta da problemi psichici, in grado di vivere benissimo nel mondo reale, se posta in una casa dove è amata, fuori da case di cura dove l’uniche soluzioni che si trovano sono repressive o la necessità, quasi fisica, di una madre di anteporre a qualsiasi altra cosa (compreso quel lavoro che affronta in maniera così stoica e professionale) il bene della propria figlia.
Questo solo per fare un accenno alla complessità della narrazione dato che Moore riesce a trattare in punta di penna e pennello, infilandoli nelle pagine mute, negli sguardi stanchi dei protagonisti positivi o in quelli terribilmente sicuri e tirati a lucido dei protagonisti negativi, tantissimi temi esistenziali.
Come ad esempio la sempre crescente stupidità degli uomini nel sentirsi in grado di controllare processi chimici o fisici che sovente sfuggono dalle loro capaci mani o la sostanziale oligarchia di un ristretto gruppo di persone che, sulle teste di miliardi di abitanti della terra, decidono in tranquilla autonomia della gestione di eventi e risorse che interessano tutti. Nel caso del volume in oggetto una scoperta che di per sé potrebbe cambiare in positivo il corso della storia ma che si pretende di gestire secondo la propria moralità.
Per scoprire poi che, alla fine, fra Stati Uniti, enti privati o Repubblica democratica cinese chi poteva gestire al meglio la tuta beta è una sgangherata ragazza americana. Sgangherata quasi quanto il fortunato destinatario della super-tuta donata dagli alieni, l’insegnante Ralph Hinkley (o Hanley) che si sarebbe dimostrato, nelle sole tre epiche stagioni del telefilm The Greatest American Hero (1981/83), l’unico in grado di domare i super poteri e farne un uso corretto.
Sgangherata sì, ma, in un momento di enorme stress, in grado, sotto il fuoco dei fucili dei militari, di non opporre resistenza o controbattere (in maniera volontaria) dichiarando poi, da perfetta ragazza star & stripes, “non sparo ai militari americani“.
Da un punto di vista grafico le chine morbide e anatomicamente perfette di Moore e quel suo disegno apparentemente così statunitense ma capace di esaltare le anatomie come lo è di solito quello europeo, ben si sarebbe sposato con una colorazione, considerando come si potevano dipingere le assolate highway americane piuttosto che le stellate notti nel deserto, senza dimenticare gli svariati effetti visivi evocati per realizzare le esplosioni del potere della tuta. Il progetto originario, però (una autoproduzione, giova ricordarlo) non era andato oltre il bianco e nero ed al momento non c’è previsione di colorazione per questo omnibus. Ovviamente, è un peccato.
La storia è stata serializzata in Usa dal 2008 al 2011; grazie alla Bao abbiamo la possibilità di leggerla in volume unico.
Seppur abbastanza difficile farlo tutto di seguito, la vicenda scorre molto veloce una pagina dopo l’altra e la sensazione del ritmo di lettura riporta il tutto ad un film tv in due parti piuttosto che ad un lungometraggio o ad una serie tv.
E’ dovere del recensore aggiungere che la lettura del volume (di notevole stazza) è sì complicata logisticamente, ma che il peso e la quantità delle pagine non inficiano in alcun modo la tenuta del libro stesso che pare rilegato in maniera decisamente adeguata, reggendo anche a qualche tentativo più o meno violento, di forzare l’apertura così tanto da lasciare il volume aperto a quella data pagina.
Un’opera che quindi ha tutti le caratteristiche, grafiche, narrative e cartotecniche per occupare un posto di onore nella libreria di ogni appassionato di buon fumetto.
Galleria di tavole
Abbiamo parlato di:
Echo – Edizione Integrale
Terry Moore
Traduzione di Leonardo Favia
Bao Publishing, 2013
600 pagine, brossurato, bianco e nero – 27,00€
ISBN: 978-8865431528
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