Abbiamo contattato tre autori di fumetti con i quali ci faceva piacere intavolare un discorso sul fumetto seriale, sul fumetto italiano, sulla sceneggiatura e… su Diabolik. Sono queste le linee guida della lunga discussione che segue, che vede partecipare, a mo’ di tavola rotonda, in rigoroso ordine casuale: Roberto Recchioni, Tito Faraci e Diego Cajelli.
Legenda:
R: Roberto Recchioni
F: Tito Faraci
C: Diego Cajelli
Iniziamo parlando dallo sceneggiatore; si può dire che sia la prima persona a vedere il fumetto, ancora prima che venga disegnato. Nasce nella sua immaginazione, e il suo lavoro consiste nello spiegare al disegnatore come realizzarlo, indicando scansione delle tavole, inquadrature, etc. Ancora prima della sceneggiatura pero’ c’é il soggetto, ovvero l’intreccio di base del fumetto.
C: Beh, per cominciare, devo sottolineare che in Diabolik il soggetto pesa moltissimo; è forse una delle poche testate in cui il soggetto ha un ruolo preciso e viene gestito separatamente dalla sceneggiatura. Un soggetto per Diabolik è la stesura precisa, dettagliata e articolata della storia che poi verrà sceneggiata; comprende già gli stacchi, tutti gli intrecci e tutte le risposte possibili a tutte le domande.
Nel caso di Diabolik, difatti, è prassi che ci siano addirittura due squadre di lavoro che si dedicano, separatamente, a questi due passi che precedono il disegno.
C: Sì, infatti, il soggetto viene attentamente analizzato, cercando in “archivio” se alcune delle idee sviluppate nel soggetto, come le fughe, il piano, i trucchi, siano già state usate in episodi precedenti. Il risultato finale è un lungo “racconto” di una quindicina di pagine che, una volta approvato, finisce nelle mani di uno sceneggiatore.
In Diabolik quanto è “visiva” una tua sceneggiatura e quanto invece lascia al disegnatore spazio per interpretare il racconto?
C: In effetti io per Diabolik ho scritto solo soggetti e non ho mai sceneggiato. Come dire, fornisco gli ingredienti e la ricetta, poi sarà un cuoco a cucinare la torta e ogni chef ha le sue particolari sensibilità e le sue caratteristiche che lo rendono unico. Per cui, tornando al concetto di “chi vede la storia per primo”, è il soggettista che ha questo privilegio. Il “modo”, con cui il soggetto viene raccontato, varia a seconda di chi lo sceneggia.
R: Beh, io in genere tendo a dare poche indicazioni, ma molto precise del tipo di inquadratura che ho in mente. Nel caso specifico di Diabolik mi dilungo un poco di più quando si tratta di particolari sequenze d’azione o scene in cui c’é bisogno di far notare (o nascondere) uno specifico elemento. Poi molto dipende dall’esperienza del disegnatore con cui mi trovo a lavorare. Se è un esordiente che lavora su John Doe, per esempio, tendo a dilungarmi di più e a essere più preciso, se è un autore come Zaniboni su Diabolik, mi affido volentieri alla sua regia per le sequenze che non richiedono nulla di particolare (per esempio quelle di dialogo o statiche).
F: Per quel che mi riguarda, anche per Diabolik, come per tutti gli altri fumetti che sceneggio e ho sceneggiato, utilizzo indicazioni abbastanza dettagliate. Molto dettagliate, secondo qualcuno. Ma questo dipende da me, dal mio stile, non dalla serie. Devo essere sicuro di avere spiegato bene, con chiarezza, al disegnatore ciò che ho in mente. A quel punto, potro’ sentirmi sicuro che il disegnatore saprà da che parte stiamo andando. E se anche sceglierà un’inquadratura diversa (capita)… sarà in un’ottica di maggiore efficacia.
Dal punto di vista dello sceneggiatore, nel caso di Diabolik, va sottolineato che parte del suo lavoro consiste nell’incastonare il soggetto nella scansione tipica della gabbia del formato pocket della casa editrice Astorina.
R: Scrivere Diabolik è un meccanismo piuttosto complesso e richiede una lunga preparazione. Bisogna tener conto dello schema delle vignette di ogni tavola (che non si può ripetere in due tavole appaiate), della posizione dei colpi di scena presenti nella storia (che devono trovarsi sempre nella pagina a sinistra dell’albo) e del numero stesso delle vignette (che non possono essere troppe… ma nemmeno troppo poche). Ho sempre un’idea piuttosto chiara dell’aspetto che avrà una tavola di Diabolik, almeno nello schema della pagina, e raramente capita che i disegnatori lo cambino (anche loro sono consapevoli di quanti ragionamenti e lavoro c’é dietro a ogni sceneggiatura). Nessun elemento è casuale e questa è una cosa da tenere in conto quando ci si mette a scriverlo.
Passo successivo; dalla sceneggiatura si arriva al disegno. Che aspettative riponi nel risultato visivo del fumetto così come realizzato dal disegnatore?
R: Chiaramente dipende molto da disegnatore che mi viene affidato; ci sono disegnatori fedelissimi alla sceneggiatura e disegnatori meno fedeli. In generale, quello che mi preme davvero è che quando un disegnatore decide di fare delle modifiche alla mia sceneggiatura non siano modifiche tanto per fare, ma abbiano un senso, una utilità. E, possibilmente, in caso di modifiche preferisco che il disegnatore ne discuta con me prima di metterle in atto. Cambiare così, tanto per cambiare, con il rischio di andare a interferire con qualche equilibrio della storia, è una cosa senza senso.
F: Se la scena funziona, una volta disegnata, per me è okay. Non faccio un confronto con la sceneggiatura, in tal caso. Non mi interessa. Non pretendo un cosiddetto “rispetto” per ogni singola inquadratura descritta. Il rispetto bisogna averlo nel confronto del racconto, della storia. Rispetto significa non travisarne il significato e renderla con efficacia.
In Diabolik esiste questa famigerata griglia (anche fisicamente limitata) e c’é anche il non poter discostarsi molto da un “character design” ampiamente codificato. Il risultato finale dovrebbe essere quasi sempre esattamente ciò che si aspettava lo sceneggiatore, senza “sorprese” né possibilità da parte del disegnatore di stravolgere le indicazioni ricevute. L’aumento della responsabilità dello sceneggiatore nel processo produttivo a discapito del disegnatore, quanto è fonte di soddisfazione (se la storia è benvoluta dal pubblico) e quanto di maggiore impegno?
R: Le maggiori responsabilità sono qualcosa che pesa notevolmente nel processo di realizzazione di un albo di Diabolik: la sceneggiatura deve essere precisa e indicare con chiarezza gli elementi cardine di ogni vignetta, il punto focale su cui l’attenzione dovrà andare a concentrarsi. Allo stesso tempo, sarebbe bello anche riuscire a dare un sufficiente grado di libertà al disegnatore per non frustrarlo nelle sue legittime aspirazioni creative. In termini di soddisfazioni, invece, il discorso è molto semplice: se la storia funziona, io sono contento.
F: Come spiegato prima, il disegnatore ha ampi margini di manovra e interpretazione. Il rapporto fra sceneggiatore e disegnatore, in Diabolik, ha gli stessi equilibri che ci sono nelle serie Bonelli o Disney. Tanto per fare esempi che conosco di persona.
Ti sembra che le sceneggiature per Diabolik siano più o meno dettagliate delle altre che scrivi?
F: Nella stessa, identica misura.
R: Di più e di meno. Lavorando su questa serie con disegnatori professionisti di lunga esperienza, in certe sequenze mi sento tranquillo a descriverle rapidamente e in maniera sintetica. Di contro, Diabolik presenta spesso sequenze d’azione molto elaborate che mi costringono a essere molto dettagliato e preciso.
È quasi legge non scritta che l’Editore Astorina affidi sceneggiature ad autori diversi dai soggettisti. Quanto questo avvicina di più la sceneggiatura ad un mero – e molto professionale – lavoro di traduzione da un genere all’altro (dal riassunto della vicenda – soggetto – alla descrizione completa delle azioni con dialoghi ed indicazioni visive per il disegnatore) e limita la parte creativa del narratore?
R: Un elemento limitante è ovvio che ci sia. I soggetti di Diabolik illustrano ogni dettaglio della storia in maniera estremamente dettagliata; gli sceneggiatori possono lavorare sui dialoghi, sulle atmosfere e, soprattutto, sul modo in cui la storia in cui viene raccontata. Visto che io sono uno che preferisce sempre il “come” al “cosa”, Diabolik mi risulta una sfida piacevole.
F: Il lavoro di sceneggiatura ha un respiro, un valore diversi da quello che si fa per un soggetto. Avere alla base un soggetto più dettagliato non cambia le cose. Anzi, ti lascia la possibilità di concentrati meglio sullo specifico della sceneggiatura, sul come raccontare.
R: In effetti l’aspetto tecnico di una sceneggiatura di Diabolik, anche in virtù delle sue molte regole e di certi meccanismi che devono essere rispettati (perché funzionano), è una sfida continua tra quello che bisogna fare, quello che si vuole fare e quello che si può fare. Come si dice? La necessità aguzza l’ingegno e nel caso di Diabolik è verissimo.
Un albo di Diabolik può raramente apportare cambiamenti allo status quo dei personaggi principali e, come spesso accade, i maggiori cambiamenti in tal senso si sono avuti nei primissimi numeri e da allora quasi nulla più. Altri cambiamenti (di atteggiamento, di “morale” dei personaggi) sono stati inoculati sottopelle negli anni in maniera indolore. Ad un’analisi superficiale sembra che poche svolte epocali siano concesse nelle storie di Diabolik…
C: Io non sento l’esigenza di attuare svolte epocali o modifiche radicali sulla continuity narrativa della serie.
F: Mi viene da dire che non è del tutto vero. Nel recente Grande Diabolik estivo c’é un grosso cambiamento di status, che riguarda Ginko, ad esempio.
Quanto ti piacerebbe contribuire in maniera radicale ad una svolta “epocale” nelle storie di Diabolik?
R: Molto e per nulla. Molto perché la tentazione di andare a stravolgere qualcosa di “sacro” come Diabolik è sempre forte. Per nulla perché negli anni ho capito che Diabolik (come anche molti altri personaggi iconici del fumetto) funzionano bene quando sono vicini alla formula iniziale che gli ha dato il successo e che stravolgere quella formula, snaturarli, significa spesso rovinarli.
C: Se invece vogliamo analizzare il concetto di “libertà creativa”, devo ammettere che Diabolik è una vera e propria sfida. Un personaggio estremamente strutturato, con una lunghissima storia narrativa alle spalle. Mi viene in mente un paragone con James Bond. Un concept preciso, con regole e strutture da rispettare. Un professionista che si relaziona con un personaggio di quel calibro ha la libertà creativa di accedere, approcciarsi, inserirsi nel contesto diaboliko mettendoci del suo. La sfida creativa favolosa di architettare un piano nuovo è come sistemare i mobili in una casa senza toccarne le pareti. Sarebbe troppo facile scannare Ginko, non credi?
R: Quello che mi piacerebbe riuscire a fare è potermi avvicinare al mito, alla forma originale di Diabolik, guardandola da un punto di vista diverso, magari raccontando le stesse cose con un linguaggio più personale e vicino al mio normale modo di scrivere.
C: Potremmo definirlo un gioco, con delle regole precise. Non è un gioco che può piacere tutti, me ne rendo conto. Il professionista sa di dover accettare regole stabilite da altri, le usa come stimolo creativo, ne apprezza i canoni e l’architettura. Riuscendo a metterci del suo, sempre. La “svolta epocale” sono capaci tutti di farla, è la narrazione ordinaria, quella legata alla verticalità del plot “quotidiano” diaboliko, la vera sfida, il vero stimolo alla creatività. Altrimenti, senza regole, potendo fare la minchia che ci pare, che razza di gioco sarebbe?
F: Dal mio punto di vista è importante sottolineare che esiste in realtà una linea editoriale che prevede dei cambiamenti reali. A volte decidiamo, con Mario Gomboli (persona davvero illuminata), di prendere un orientamento narrativo che perdura anche per molti numeri. Negli speciali primaverili, che scrivo io e, in gran parte, disegna Giuseppe Palumbo, è stato ridefinito il passato di Diabolik, di Ginko e di Eva Kant. Nel rispetto della tradizione, chiaro, ma in modo deciso, che lascia il segno. Ridefinire il passato di un personaggio significa ridefinirne anche presente e futuro, rifondarlo. Senza contare che Diabolik vive in una società in continuo mutamento, che rispecchia il nostro mondo, la nostra epoca. Diabolik agisce qui e ora.
Credete che la “sensibilità” del fumetto sia ancora attuale?
F: Sì, credo che Diabolik resti un fumetto attuale
C: Anche io, assolutamente sì. E non solo da un punto di vista “emotivo” o “narrativo”. È forse uno dei pochi personaggi ad essere un vero e proprio brand. Per cui, anche da un punto di vista squisitamente legato al marketing, la sua attualità è un dato evidente. Diabolik è nell’immaginario collettivo, dalle auto dedicate, agli spot generici, ai film, al suo stesso “mito” che esce dalle frontiere delle tavole e si sposta su altri media.
R: Mah, per me dipende cosa intendi per sensibilità. Parliamo di un personaggio che più di una volta ha dimostrato di confrontarsi con il mondo reale e con le sue problematiche, prendendo posizioni anche scomode. Sotto questo punto di vista, anche per me Diabolik ha una sensibilità molto attuale, più di tanti altri personaggi italiani.
In un contesto di “brand” e strutture, potrebbe essere interessante sviluppare un qualcosa (anche semplicemente in variazione di linguaggio) per attualizzare il personaggio?
F: Il mio contributo in questo senso è negli speciali ai quali accennavo prima; mi è piaciuto molto fare quel lavoro sul passato del personaggio di cui ho appena parlato. è stato anche uno sforzo sul linguaggio, sul taglio della narrazione. E in questo non potevo avere un miglior compagno di avventure di Giuseppe Palumbo.
R: A me piacerebbe usare un linguaggio più personale nella fase di sceneggiatura; ma non per attualizzare il personaggio (per me è attualissimo), semplicemente per un piacere personale. In effetti, pero’, il “problema” è che il linguaggio di Diabolik funziona perfettamente e non ha il minimo bisogno di essere cambiato e qualsiasi operazione in tal senso sarebbe solo un esercizio del proprio ego e non porterebbe un vero beneficio al personaggio.
F: Sì, in effetti Diabolik è da considerarsi un vero e proprio classico; la sua narrazione si basa sul “che cosa” si sta raccontando. Le attualizzazioni, il trasportare la narrazione su un contesto moderno, significa basare il racconto sul “come” stai raccontando la storia. Io farei volentieri a meno di trucchetti e di espedienti narrativi su un plot diaboliko.
Come sottolineato da Tito nei volumi al di fuori della serie mensile (Il Grande Diabolik, Diabolik presenta Eva Kant) ci sono stati importanti tentativi di dipingere un quadro omogeneo del passato della serie. Ret-con, direbbero gli appassionati dei “comic books” [1], anche con un uso diverso della scansione della pagina ed un formato diverso, utilizzando spesso due disegnatori (uno “legato” ai canoni standard ed un altro decisamente fuoriserie). Sono, questi albi, una strizzata d’occhio verso un altro target di lettori, valvola di sfogo per un autore che fa graficamente riferimento alla serie mensile, tentativo di sondare il gradimento di altre strutture grafiche… o che altro ancora?
C: Sinceramente, non ne ho idea!
F: Io penso siano territorio di sperimentazione, è vero. E credo che abbiamo attirato anche nuovi lettori. Tuttavia non sono “altro” rispetto alla serie regolare. Cambia il modo di raccontare, ma non l’universo narrativo.
R: A mio avviso sono variazioni sul tema, spesso bellissime, che devono necessariamente essere proposte fuori dalla collana mensile perché in quella collana non avrebbero senso d’esistere. E allora, visto che la voglia di raccontare Diabolik è ancora tanta, ecco la nascita di queste operazioni. Gli albi speciali fanno storia a parte e si rivolgono, in primo luogo, agli appassionati di Diabolik, a quelli che ne conoscono la storia e possono apprezzare il fatto che questi volumi vadano a scavare nelle origini del mito, mettendone in luce aspetti inediti o poco trattati. Per quanto questi albi siano belli si rivolgono a una nicchia di lettori e non al pubblico massificato. C’é ancora molta passione per il media fumetto in tutte le sue forme in Astorina e questi volumi ne sono la testimonianza.
Topolino, Tex, Diabolik; per decenni gli sceneggiatori hanno spesso realizzato storie (con le dovute eccezioni) totalmente svincolate dalle precedenti, come se i personaggi non avessero memoria “storica” delle loro stesse avventure già accadute. È recente, ma reale, il tentativo di costruire una “storia” del personaggio (che il personaggio, quindi, “ricorda”) con rimandi ad eventi precedenti e ripescaggi di altri comprimari, cercando di “fidelizzare” maggiormente i lettori di vecchia data (effetto nostalgia). Questo dovrebbe incidere sul lavoro degli sceneggiatori… spingendovi a studiare maggiormente le storie passate per intrecciarle con quelle alle quali vi state dedicando, esatto?
R: Non credo che su Diabolik questo stia succedendo; si tratta di un personaggio cristallino che può essere capito da chiunque ne prenda un albo (uno qualsiasi), in mano. E questa è la sua forza (come degli altri personaggi da te citati). Per quello che riguarda me e Diabolik, io lavoro sulla serie regolare. Quindi non ho realmente necessità di studiare le storie passate nell’ottica di collegarle con quelle attuali… quanto piuttosto ho la necessità di non fare storie simili a quelle passate.
F: Io aggiungerei che Mario Gomboli ha spinto con forza e acume nella direzione di un recupero del passato. Come fonte di spunti narrativi che, tuttavia, sono stati sviluppati in modo moderno, innovativo per i canoni di Diabolik. I lettori di vecchia data comunque non avevano bisogno di essere “fidelizzati”. Casomai, un’operazione come questa può attirare un nuovo pubblico. In una serie come Diabolik, è comunque imprescindibile una conoscenza – e una coscienza – del passato del personaggio. Si costruisce sempre sulle fondamenta.
C: Bisogna anche notare che avere a disposizione un “archivio narrativo” così vasto è sicuramente un grande stimolo per il lavoro di scrittura. Chiaramente, se il passato narrativo del personaggio lo si prende nelle maniera sbagliata, è anche lo scoglio più grande da affrontare in fase di stesura di un soggetto. Conoscere a fondo la storia del personaggio, è il modo migliore per intrecciare rimandi e collegamenti a storie raccontate prima. Personalmente, per quanto riguarda la mia esperienza con Diabolik, Gomboli e Faraci sono stati essenziali, sono stati in grado di aiutarmi con le stesure dei soggetti, dicendomi: “Questo trucco è stato usato nel numero tal dei tali” o “Questa idea è simile a quella del numero pinco pallo…”. È chiaro che con un passato così potente, la figura del redattore che tutto sa e tutto sovrintende diventa essenziale!!!
A parte i rimandi al passato, nella struttura di Diabolik ti sembra che facciano capolino impostazioni narrative “moderne”, frutto di influenze trasversali (telefilm, narrativa di genere, manga…)?
F: Penso proprio di sì, ed ogni autore porta la sua esperienza. Un certo amore per il racconto di genere, e in particolare per il noir e l’hard boiled, hanno influenzato il mio modo di scrivere Diabolik. Questo avviene anche per i disegnatori.
C: Più che nuovi generi direi che è la tecnologia, secondo me, che è entrata prepotentemente nel mondo diaboliko. E viceversa, mi viene da dire. Per fare un esempio, in una delle mie storie, si parlava di nanochip traccianti, vaporizzati, che diventavano impossibili da rimuovere, in quanto grandi quando un granello di polvere. Un anno dopo l’uscita di quella storia, sul Corriere, lessi di un sistema di controllo del tutto identico messo a punto da una multinazionale. Il concetto di “realismo”, soprattutto negli ultimi tempi, è come se avesse fatto un passo in avanti verso la fantascienza. Ecco perché Diabolik ruba diamanti! Se rubasse soldi, non dovrebbe nemmeno uscire di casa!
R: Beh, io andrei controcorrente e direi di no. Ma chiariamoci: Diabolik non ha nemmeno emuli come linguaggio e struttura. È un fumetto “unico”, nel senso migliore del termine, e lo è perché è frutto di due autrici che lo hanno pensato con coraggio, ma anche con una certa inesperienza. Un autore rodato, se si fosse trovato nella posizione delle Giussani, avrebbe probabilmente attinto a formule editoriali e narrative già rodate. Le Giussani invece hanno inventato un formato, un genere, un linguaggio… e lo hanno fatto nella più completa indipendenza e libertà di pensiero. Con gli anni le due sorelle hanno fatto esperienza e hanno limato e perfezionato la loro creazione, ma lo hanno sempre fatto all’insegna di una loro visione personale e non guardando gli altri. Diabolik, sotto questo aspetto, è un miracolo irripetibile.
Prendiamo come esempi: Nathan Never. Un fumetto seriale con articolata trama orizzontale sviluppatasi in oltre 200 numeri. Come lui altri personaggi subiscono, nel tempo, importanti cambiamenti. Per quanto sopra detto è più facile o più difficile avere a che fare con un personaggio come Diabolik (che definirei abbastanza immobile nella trama orizzontale)? Oppure… quanto frustra e quanto tranquillizza il non poter agire sullo”status” del personaggio e della serie?
C: Ripeto, è come se dovessi ristrutturarti tutta la casa ogni mese, senza toccare le pareti… dal mio punto di vista è molto più difficile lavorare solo sulla trama verticale. E quindi a me stimola parecchio!
F: Mah, per essere sinceri devo dire che la premessa della domanda non è esatta. Diabolik è un personaggio tutt’altro che immobile, per i motivi che ho già spiegato. E comunque no, non lo trovo frustrante poter agire “limitatamente”. Diabolik è un personaggio coerente. È il mondo attorno a lui che cambia, anche dal punto di vista tecnologico o economico, per esempio. Inoltre, negli ultimi anni Mario Gomboli ha spinto gli autori a scrivere storie che hanno ridefinito il rapporto di coppia fra Diabolik ed Eva Kant, fondamentale elemento narrativo e strutturale.
R: Lavorare con personaggi dalla forte continuity è complicato E ve lo dico sulla base della lunga esperienza che ho maturato con John Doe. Di conseguenza dovrei dirvi che scrivere Diabolik (o Dylan Dog) è più semplice… In realtà non è così. Non è per nulla semplice scrivere storie interessanti, sorprendenti e relativamente inedite su personaggi cristallizzati e con una forte storia alle spalle. Quindi non è né “frustrante” né “tranquillizzante”. È semplicemente difficile, ma ugualmente appagante (quando la storia riesce bene).
L’albo mensile di Diabolik ha una struttura di pagine e formato fissa da sempre; questa ne rende quantificabile il tempo medio di lettura e costringe spesso lo sceneggiatore e il disegnatore a veri e propri esercizi di stile. Quanto risulta difficile, ad esempio, ad uno sceneggiatore (un autore che vive quindi di parole) non riempire le due/tre vignette per pagina di troppe parole (né in didascalie, né in dialoghi)?
C: In realtà il lavoro di uno sceneggiatore non si misura certo in base a quante parole mette nei baloon, ma alla chiarezza narrativa con cui la storia viene raccontata. Viviamo di parole, sì, ma tra le parole ci sono anche quelle che “non ti dico”, o che ti dico per ellissi. La difficoltà di scrittura di Diabolik, infatti, non è nella sintesi dei dialoghi, è nella gestione del ritmo stesso delle vicende, che, facci caso, non hanno mai tempi morti. Questo incide su tutti gli stacchi, sia quelli temporali, sia quelli di luogo.
R: Di fisso c’é non solo il numero di vignette ma anche gli schemi delle tavole, la loro disposizione e via dicendo. Scrivere Diabolik è un esercizio che costringe e mettere una storia molto complessa e articolata in degli schemi molto semplici e rigidi. Da questo esercizio nasce un fumetto limpido nella narrazione ma complesso nello sviluppo… che a me pare il meglio che si possa ottenere, no?
F: Lo confermo anche io, è molto difficile. Obbliga a una grande, e positiva, sintesi. In una storia Bonelli o Disney, una scena di, diciamo tre tavole, avrà una quindicina di vignette… In una storia di Diabolik, fra le sei e le nove.
Il soggetto e la sceneggiatura di un albo di Diabolik sono opere di grande lavoro e spesso lunga gestazione. Si tratta di mettere a punto un delicato congegno ad orologeria; con un “tempo” limitato per descrivere l’azione, un layout abbastanza standard per scandire le tavole, una serie di personaggi da utilizzare ad ogni costo già abbondantemente caratterizzati e limiti “morali” entro i quali farli agire. Il fiorire del genere (noir, poliziesco) rende sempre più difficile trovare spunti originali per i vari colpi che il nostro realizza. I soggetti e le sceneggiature vengono rivisti in redazione al fine di smussare gli inevitabili piccoli difetti che (anche nel contesto di “suspension of disbelief” in cui ci troviamo) li renderebbero incoerenti. Quanto tutto questo ti stimola e quanto ti preoccupa?
F: Stimola il mio orgoglio, lo ammetto. Ma allo steso tempo… Bé, è bello sapere di non essere senza rete. Di avere qualcuno là sotto che ti salverà se inciamperai.
R: A me non preoccupa in nessun modo. È quello che implica lavorare su questo personaggio.
C: È chiaro che mi stimola, pero’… Mi chiedo come mai sia passato il concetto che, narrativamente o sei libero di fare quel che ti pare, oppure sei preoccupato o limitato artisticamente. Non sono d’accordo con questo presupposto. Non capisco perché ci sia questa contrapposizione, tra scritture “libere” e scritture “vincolate”. Sono due cose completamente diverse.
R: In effetti anche qui fa tutto parte del lavoro su un personaggio come Diabolik. Oltretutto, è vero che il genere “thriller/noir” è di gran moda ora, ma è pur vero che capita spesso di vedere opere moderne che usano meccanismi che Diabolik ha usato in precedenza.
F: Molto tempo e impegno sono dedicati al soggetto. Spesso, quasi di regola, scritto da autori diversi da chi sceneggerà. Su un soggetto si discute a lungo. è anche una parte del lavoro molto divertente, da cui è nata una grande amicizia, quella fra me e Mario Gomboli. Il lavoro di editing è molto grosso, puntiglioso, e tocca tutte le fasi della lavorazione. Si può decidere di rifare tavole anche all’ultimo momento, a storia finita.
In un albo di Diabolik l’attento e appassionato lettore sa e vuole un finale nel quale, se anche il colpo del nostro è andato male, Diabolik ed Eva restino comunque sempre “liberi” e non in carcere e in cui venga chiarito ogni punto in sospeso della storia. Nessun finale sospeso, nessun rimando al prossimo numero: tutto deve essere chiaro ed i nodi devono essere tutti sciolti. In un tot numero di pagine quindi, c’é la necessità di creare un intreccio, ma soprattutto di scioglierlo – non troppo presto (!) – con chiarezza e senza grandi “spiegoni” (ovvero pagine e pagine di chiacchiere nelle quali viene spiegato quanto avvenuto…) finali. Questo rende la stesura del soggetto molto più semplice della sceneggiatura?
F: No, guarda, direi che la stesura del soggetto è la parte più complessa. Cercare nuove idee, nuovi spunti narrativi, nuovi trucchi… dopo settecento numeri non è semplice. E se è vero che il lettore non si preoccuperà per la sorte di Diabolik, va detto che in ogni storia entrano in scena personaggi inventati per l’occasione il cui destino è incerto fino alla fine. E può anche essere tragico.
C: Nel soggetto è già indicato tutto. A parte dei piccoli dettagli che possono cambiare, anche in funzione della sensibilità personale dello sceneggiatore, in un soggetto per DK è indicato tutto il plot. Stacchi, idee, trucchi, ci sono scritti tutti i perché e i percome. È una guida precisa, che lo sceneggiatore prende e a suo modo segue. Il finale c’é già. La chiusura con spiegazione annessa anche. È il modo in cui il plot viene raccontato che è materiale per lo sceneggiatore e sta alla sua bravura spiegare un plot complicato senza soffocarlo con le parole. Ma visto che è di fumetto che stiamo parlando, anche il disegno ha una sua funzione narrativa estremamente precisa. Per cui si lavora su due fronti!
R: Il segreto è sempre la trasmissione di informazioni. Una buona sceneggiatura, servita da buoni disegni, riuscirà a passare tutte le informazioni al lettore senza poi doversi dilungare in lunghi “spiegoni” finali. A mio modo di vedere, la bontà di una storia di Diabolik si vede dalla lunghezza dello spiegone finale: più è lungo e meno la storia è buona. Quindi, in fase di sceneggiatura bisogna prestare la massima attenzione nel trovare dei piccoli spazi, non didascalici e possibilmente “invisibili”, in cui spiegare la lettore cosa sta succedendo.
Quanto è più facile, quindi, inventare una storia per Diabolik rispetto a sceneggiarla?
F: Come ho detto prima, non è più facile. E soprattutto non trovo la domanda del tutto “sensata”, a mio parere. è come chiedere se è più facile cuocere una torta o andare in bicicletta…
C: Facciamo così: se per soggetto si intende “Diabolik ed Eva rubano dei diamanti, Ginko li insegue ma scappano. Fine.” Questo non è un soggetto per DK. Per avere ben chiaro il lavoro che c’é dietro la stesura di un soggetto per DK, consiglio l’acquisto del libro: “Diabolik uno strano soggetto“, di Mario Gomboli, edito da Sperling & Kupfler.
R: Mah.. non lo so. Nel senso che, al di là di dare qualche spunto, non mi sono mai voluto cimentare nel soggetto di un episodio.
Personalmente, credo che sia più difficile inventare una storia di Diabolik che sceneggiarla.
Diabolik è comunque un eroe negativo; non il primo né l’ultimo della narrativa, ma negativo. Il suo essere “ladro, assassino, fuorilegge” lo rende affascinante, ma anche contrario ai normali codici morali. Conserva, pero’, una “sua” morale che, negli ultimi decenni, lo ha sganciato dal mero “ladro, feroce, assassino” presentandocelo come spesso protagonista di gesti da novello giustiziere, magari pronto a punire in maniera violenta bande di spacciatori o di associazioni mafiose.
F: Sì, questo del Diabolik “giustiziere” è un luogo comune. è molto più vero che Diabolik diventa una nemesi del Male, una causa efficiente della giustizia. Ma solo e sempre nel proprio interesse: per guadagno o per vendetta.
R: Sì, in realtà la deriva da “novello giustiziere” di DK è stata breve e presto corretta.
C’é, chiaramente, una contraddizione che difficilmente riuscirà a far passare il nostro come un buono tout-court. Nel vostro modo di vedere la cosa, come inquadrereste, oggi, la “morale” di Diabolik?
R: No, il punto è un altro: Diabolik è una macchina. Se lui deve andare dal punto “A” al punto “B” e tu ci stai in mezzo, lui ti passerà attraverso. Uccidere o non uccidere per lui non è mai una questione di morale o di cattiveria. È solo una questione pratica. Per ragioni diverse, Eva e Ginko sono le uniche eccezioni che Diabolik si concede. Per Eva, lui sarebbe disposto a fare qualsiasi cosa e per Ginko prova troppo rispetto per ucciderlo, come la logica imporrebbe.
F: Aggiungerei che i concetti di bontà o malvagità non si applicano a Diabolik; lui è privo di empatia (se non per Eva).
C: L’etica e la morale criminale, se parliamo di criminali “di un certo tipo”, hanno istanze molto precise e strutturate. Non è un caso infatti che, chi si macchia di delitti contro donne o bambini, in carcere viva in isolamento. Qual è la “morale” di DK secondo me? È quella legata all’onore criminale. Che è un concetto ostico da digerire o da capire per chi non ha dimestichezza con questo tipo di pensiero umano. Penso alla “Ligéra”, la vecchia malavita milanese, che aveva codici morali ben precisi, dove magari dopo una rapina a una banca, parte del malloppo veniva dato alle famiglie delle case popolari. Donne e bambini erano intoccabili, la droga era considerata una porcheria con cui non sporcarsi le mani, eccetera… Al tempo stesso pero’, un tradimento poteva essere punito con la morte. In questi contesti criminali, ci sono delle cose che “puoi fare” e altre cose che assolutamente non “puoi fare”. Penso per esempio alla cattura del Mostro di Dusseldorf, raccontata spettacolarmente da Fritz Lang. È chiaro che oggi, questo modo di concepire il crimine è completamente sparito, perché, come dice qualcuno: “non è un paese per vecchi”.
Il contesto “logistico” in cui agisce Diabolik è volutamente slegato dalla realtà in cui viviamo; non si muove in città reali né in stati realmente esistenti (spesso lo troviamo agire all’estero in fantomatici regni asiatici) ed è lampante il tentativo di tenerlo sempre al di fuori di contesti riconoscibili…
F: Io direi che questo non è vero. Possono esserci nomi di fantasia, per luoghi geografici, ma Diabolik agisce nel nostro mondo e nel nostro tempo. Questa è sempre stata una sua fondamentale caratteristica.
R: Clerville e tutte le altre località fittizie di DK sono uno specchio abbastanza fedele e riconoscibile del mondo reale e hanno un valore più universale di una località specifica.
A voi piacerebbe far muovere Diabolik nel mondo reale, utilizzando posti e contesti magari a voi conosciuti? Un contesto che vi intrigherebbe particolarmente?R: No, per quanto detto sopra non mi piacerebbe particolarmente vedere DK in un contesto strettamente reale.
C: A pensarci bene Diabolik, in albi speciali, legati alle fiere del fumetto, ha agito in diversi contesti reali, di ambientazione italiana.
Vado a memoria, ma mi ricordo un colpo a Milano e un colpo a Napoli. Parlo da appassionato quando dico che vedere Diabolik che agisce nella realtà di una città vera è una figata! Ma lo è con tutti i personaggi dei fumetti che fanno una capatina a “casa nostra”.
Penso al BVZM a Firenze, a Dampyr nella bassa padana, eccetera… Per quel che mi riguarda scrivere un Diabolik a Milano sarebbe davvero intrigante!
Note:
[1] Ret-Con: Retroactive continuity – stilema narrativo che consiste nell’atto di cambiare dettagli precedentemente già stabiliti di un ambito narrativo, spesso fornendo anche spiegazioni per giustificare tale cambiamento
Riferimenti:
Diego Cajelli, il blog: diegozilla.blogspot.com
Tito Faraci, il blog: titofaraci.nova100.ilsole24ore.com
Roberto Recchioni, il blog: prontoallaresa.blogspot.com
Astorina, il sito: www.diabolik.it
Diabolik Club, il sito: www.diabolikclub.it
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