Le vie dei colori: intervista a Fabio D’Auria

Napoletano, attivo come professionista dal 2004, Si è diplomato al Liceo Artistico di Napoli ed ha frequentato la Scuola Italiana di Comix. Ormai apprezzato colorista da quasi dieci anni, annovera i maggiori editori (Marvel, Panini, SBE) fra i suoi committenti; nel suo portfolio digitale (qui: fabiodauria.blogspot.it) potete ammirare parte dei suoi lavori. Pagina Wikipedia

Non ho controllato ma credo che sia la prima intervista su Lo Spazio Bianco ad un colorista: ti lascio la possibilità di bacchettarci per questo motivo…
Nessun problema, siamo in 4 (circa) i coloristi in Italia, come media siete ancora messi bene.

Nathan Never - Roberto De Angelis

Nell’immaginario del lettore “basic” di fumetti i disegni sono un unicum inscindibile di matita, china e colore. In realtà spesso non sono realizzati dalla stessa persona. Tu sei fondamentalmente anche un disegnatore. Quando e come ti sei (maggiormente) appassionato alla colorazione?
Mi ci sono appassionato per caso; sono cresciuto col sogno di disegnar fumetti, quando, arrivato al liceo, ho scoperto Dylan Dog, mi si è aperto un mondo: poi frequentando una grande città (Napoli) la mia sete di leggere mi ha fatto divorare qualsiasi tipo di fumetto, ma eravamo ancora nel periodo pre-Image, quando il colore non aveva un gran valenza nell’aiutare a raccontare la storia. La svolta è stata casuale, quando aiutai Matteo Casali e Giuseppe Camuncoli a completare la colorazione del primo volume di “Bonerest” per la Magic Press.
Conoscevo Photoshop perché ci facevo cartoni animati (ho un diploma europeo di animatore) e capito che potevo colorarci fumetti, ci son caduto dentro.

Dylan Dog - Fabio Celoni

Quando un fumetto deve essere pubblicato a colori e non in bianco e nero i disegnatori possono sovente lasciare ampi spazi bianchi che il colorista può più o meno riempire con quelli che chiamerei “effetti speciali” (anche solo cielo e nuvole per intenderci); detto ciò, due domande: a) ricevi di solito indicazioni dai disegnatori per realizzare qualcosa di particolare (o dagli sceneggiatori)?
Di solito no: cioè, se c’è un fulmine, c’è scritto in sceneggiatura, ma molti sceneggiatori se non è fondamentale alla storia non precisano nemmeno se è giorno, tramonto o notte, ci sono disegnatori che essendosi figurati la scena in fase di disegno magari ti dicono “vorrei un cielo azzurro estivo”, ma è raro accada.

2) Avendo infinite “palette” e possibilità (e livelli di velature da inserire) quando è che un colorista decide di mettere un punto e passare avanti? Sono le deadline a dare questo limite?
 Credo dipenda dall’esperienza; la deadline limita chiaramente il tempo che si può “perdere” su una pagina, ma l’esperienza fa sì che in quel tempo si riesca a dare uniformità all’intero fumetto: l’esperienza serve a non far rifinire con bordature in oro tutti i libri di una libreria sullo sfondo di una vignetta stampata 5 x 5 cm dove verrà inoltre messo un grosso balloon.

Spider Man - Paulo Siqueira

Come si “organizza” una colorazione di un albo one-shot: ti andrebbe di raccontarci passo per passo cosa accade dalla ricezione delle chine alla consegna della tavola finita?
In un mondo ideale, mi leggo la sceneggiatura con le tavole di fronte, appunto se ci sono le indicazioni dello sceneggiatore e/o disegnatore (se c’è un atmosfera particolare, se è notte, giorno, alba, tramonto, se ci sono informazioni riguardo gli effetti speciali) e mi cerco i riferimenti che mi aiuteranno per i colori, se Rhino sventra un furgone UPS per le strade di NY, devo sapere come sono i furgoni UPS di NY, se Pierre Bezuchov scappa nelle campagne russe innevate durante l’avanzata napoleonica, ho bisogno di sapere come vestivano i nobili russi nel 1800 e che colori avevano le truppe napoleoniche (e le divise erano le stesse per fanti e cavalieri? E i superiori?).

C’è differenza invece se si tratta di un “seriale”?
La differenza sta nei tempi che si hanno per fare le cose appena dette, con un mensile si ha meno (ma molto meno a volte) di un mese e non sempre si ha il tempo di documentarsi su tutto. Dall’altro lato, se sto colorando un seriale ho già i colori di quasi tutto e l’unica documentazione è sui personaggi nuovi che appaiono.

Ci farebbe piacere che ci aiutassi a districarci nei vari panorami fumettistici. Ci indicheresti le caratteristiche (e quindi poi le differenze con altri mercati) della colorazione per un albo “mainstream” made in USA? Di un cartonato destinato al mercato francofono? Per un fumetto italiano invece?
Le differenze sono minime, anche se agli occhi possono essere agli antipodi. Principalmente ci sono differenze sulla resa del colore, per i supereroi serve una colorazione più cinematografica, effetti speciali, ai francesi piace invece una colorazione più curata, pochi effetti e più lavorazione, in Italia (“colpevole” il formato) bisogna stare attenti che tutto sia leggibile. Queste  però non sono regole, il mercato si è globalizzato anche in questo campo e le differenze stanno ormai principalmente non tra nazioni ma tra tipo di storia che si sta raccontando.

Bonerest - Giuseppe Camuncoli

Il lavoro di colorazione (come dicevamo presumibilmente spesso sottovalutato) comporta organizzazione, tempi, professionalità e bravura non inferiori a quelle del disegnatore; mediamente è però remunerato ben al di sotto della metà rispetto al disegnatore. Rivendicheresti maggiore attenzione o pensi che i rapporti siano “corretti”?
Alla Marvel sono considerato un autore e il mio nome spesso è in copertina, sono pagato meno del disegnatore e lo trovo giusto, un fumetto fatto bene è l’insieme di testi disegno e colore, ma un disegno fatto bene può reggere anche senza colore (cosa che all’inverso non esiste), la cosa positiva alla Marvel è che non tutti (sia chi disegna che chi colora) hanno le stesse tariffe ma si è pagati in base al valore del tuo lavoro.
In Italia mi basterebbe che venisse riconosciuta l’autorialità del mio mestiere, il colorista nemmeno esiste tra le professioni, gli editori non riconoscono il diritto d’autore ma siamo inquadrati come “fornitura di servizio” al pari del corriere che gli consegna i pacchi, il nome spesso non è nemmeno sul fumetto (siamo nel colophon) figuriamoci in copertina.

Puoi indicarci differenze sostanziali fra gli strumenti (digitali) a disposizione quando hai iniziato a lavorare ed ora?
Tra la versione 7 e la CS5 di Photoshop, per l’uso che ne faccio non è cambiato molto, ci sono chiaramente strumenti nuovi che aiutano la resa materica del colore, ma le funzioni base che mi servono per colorare son praticamente le stesse. Anche per quanto riguarda la tavoletta grafica non è cambiato molto per me, ho cominciato con una tavoletta economica (la Volito, la Wacom nemmeno la vendevano come tavoletta grafica, ma come periferica per la firma digitale) e con una tavoletta economica (Bamboo Fun) ho resistito fino alla fine del 2011. Ora son passato ad un modello superiore ma solo nella speranza di poter inchiostrare meglio i miei disegni.

Quebrada - Armando Rossi

Collabori con la Scuola Internazionale di Comics di Reggio Emilia (corso di colorazione digitale); tu stesso hai seguito un corso (a Napoli, presso la Scuola Italiana di Comix) prima di iniziare a lavorare. Nel campo più tecnico (e tecnologico) della colorazione pensi che passare attraverso questo tipo di esperienze oggi sia fondamentale?
Alla scuola di Napoli, avevo 17 anni ed ero lì per disegnare, il colore è arrivato anni dopo.
Concordo con chi dice che l’arte non si insegna, ma quello del fumettista è un mestiere, e come in tutti i mestieri c’è bisogno di imparare il “come”. Per insegnare a colorare una pagina (nel senso stretto del “apro file, coloro file”) ci vogliono meno di 10 lezioni, nei mesi restanti io insegno a fare il colorista, ad essere professionale, cerco di insegnare come rapportarsi con editore e autore, oltre a tutte le cose tecniche riguardanti la gestione dei file. Se un disegnatore disegna con la Bic su carta da fotocopia, una buona scansione ti può far utilizzare e stampare al meglio la pagina, ma se una pagina colorata è salvata in modo/formato/profilo colore sbagliato è tutto lavoro perso.

 

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