FF Celebration: Due Visionari per un Quartetto

I Challengers of the Unknown erano i protagonisti di una serie che per molti versi ha anticipato in nuce quel che poi è stato realizzato nella serie dei Fantastici Quattro da Stan Lee e Jack Kirby. Ne accennava, con dovizia di particolari, Raffaele De Falco in questo articolo. Esattamente questo concetto di “challenge”, di sfida, è alla base di questa spettacolare miniserie opera di due veri e propri visionari del fumetto supereroistico statunitense. L’inglese Grant Morrison e l’americano Jae Lee sono due personaggi davvero singolari e il loro incontro rende questa storia imperdibile, unica, speciale.

Il “challenge” di cui si parlava è quello di apportare qualcosa di nuovo ad un set cinematografico già sfondo di centinaia di film. La serialità  ̶̶  intesa come canone, ripetitività  ̶̶  dei comic book americani sovente li rende agli occhi dei più come un qualcosa di incredibilmente facile da realizzare. Invece paradossalmente metter mano ad una propria opera (che se volete potete anche chiamare graphic novel?) partendo da una pagina bianca è molto più facile, avendo il pieno controllo dell’opera e potendo indirizzarla ovunque si voglia. Restare nei canoni di personaggi che hanno una vita editoriale cinquantennale alle spalle è, a dire il vero, un lavoro da far tremare i polsi. Riuscire a dare un apporto originale poi, quasi fantascienza.

Come contribuirà Grant Morrison, autore mai banale, lo vedremo più avanti accennando alla trama e a qualche curiosità narrativa.
Per quel che riguarda l’aspetto grafico del volume, ci troviamo di fronte ad una assoluta novità stilistica e a un “mood” che anticipa le storie dei Fantastici Quattro. Jae Lee, immigrato dalla Corea in Usa nel ’77, debutta appena ventenne su una testata Marvel scritta da John Byrne: Namor The Sub Mariner. Ha sulle spalle la responsabilità di sostituire ai disegni l’acclamatissimo autore canadese ma anche un cognome doppiamente pesante: Lee, come Stan il fondatore e Jim il disegnatore che dagli inizi degli anni ’90 stava rivoluzionando e rinnovando i criteri grafici di riferimento della Casa delle Idee.
Con un tratto ben poco fumettistico, una tavola sporcata dall’inchiostro e atmosfere cupissime, il buon Jae non diventa un pupillo del lettore medio di comic book mainstream, anzi appare come una variabile impazzita di tanto in tanto nel realizzare opere che si stagliano, nette, sulla media (grazie a testi sopra le righe e alla possibilità di disegnare saghe complete, facilmente raccoglibili in paperback). Come Corrado Roi in Italia, egli realizza la piccola impresa di calare un tratto per niente commerciale nel fumetto popolare; nel nuovo secolo, poi, viene baciato dalla fortuna quando il Photoshop riempie gli spazi bianchi delle sue tavole (non esiste già più, a pochi anni dal debutto, alcun tratteggio nei suoi disegni, solo bianchi e neri) con eccezionali colorazioni digitali, rendendolo partner preferito di coloristi di eccezione. Le star del settore Richard Isanove e José Villarrubia sono suoi collaboratori principali: il primo nella saga dedicata alla serie di romanzi de La Torre Nera di Stephen King (ad oggi il suo ultimo, più lungo e migliore lavoro) e il secondo nella miniserie dei Fantastici Quattro così come nel suo progetto “creator owned” Hellshock.

Le tavole di Lee sono impressionanti; impaginazione in larghissime ginette orizzontali, altissime in verticale, frastagliate, splash page, diagonali, doppia splash page. Lee dà fondo a tutta la sua fantasia per disorientare il lettore. Sullo sfondo non vi sono altri personaggi, altra vita che non sia quella dei protagonisti. Anche in questo ricorda Roi, la capacità di tenere in primo piano (spesso “posato”) solo i protagonisti.
Villarrubia non lascia mai un colore uniforme; vi è sempre un disturbo di fondo, una fastidiosa sporcizia colorata che spiazza, turba. Se nei suo primissimi lavori questi effetti venivano realizzati con la china, fino a dieci anni fa Lee li delegava al colorista che ha a disposizione una tavolozza infinita per seguire le linee guida del suo credo grafico. Inutile dire che Lee continuerà a dividere seccamente in due i giudizi di chi lo legge: amore e odio, non crediamo vi siano vie intermedie; probabilmente solo un ulteriore passo verso la stilizzazione lineare del tratto (forse fatta già nella saga della Torre Nera), meno frastagliato ed incrociato, potrà far tollerare a i suoi detrattori quello che agli estimatori appare come un poderoso utilizzo del bianco e nero attraverso la netta contrapposizione di chine uniformi.

Grant Morrison, per tornare al plot e alla parte “scritta” della storia, usa un espediente narrativo non innovativo per il quartetto ma molto interessante e intrigante se ben sviluppato: separare i quattro membri e raccontarne le vicende contemporaneamente in parallelo. La serie dei Fantastici Quattro aveva avuto inizialmente successo anche perché raccontava le vicende di un supergruppo di personaggi: l’interazione fra i quattro era una novità visto che tutti erano protagonisti del fumetto con pari grado e pari dignità. Nessuno spalla di nessuno, tutti in copertina a ogni numero. Gli intrecci fra (futuri) marito e moglie, amico e fratello sono stati il sale della serie ed hanno caratterizzato un certo modo di raccontare le storie dei quattro. L’autore scozzese li divide e narra parallelamente le vicende di ognuno di loro. Si scopre quindi che le gerarchie all’interno del gruppo forse non sono proprio così semplici da definire. E anche che, a nudo nelle proprie solitudini, i quattro sono altrettanti casi quasi patologici, visto che ognuno viene bruscamente messo a contatto con le sue paure e le sue inquietudini.

Reed, nel passato, è spesso stato dipinto immerso nei suoi studi e nei suoi progetti ed è facile vederlo disinteressato a quanto accade attorno a lui, visto che è quello che accade nella sua mente ad interessarlo (è proprio nella sua mente la chiave della vicenda raccontata da Morrison).
Da questo modo di fare del “capo” dei Fantastici Quattro ne deriva, a catena, la quasi ovvia solitudine, da moglie che banalmente attende il marito a casa, di Sue Storm.

Ma la Invisible Girl non è certo la signorina in tailleur che prendeva il tè a casa di un’amica nel numero uno che omaggiamo nel nostro speciale. È lei, all’inizio della storia, a nominare la Sindrome di Asperger a proposito del marito Reed Richards, una diagnosi violenta, preoccupante, angosciante come le tavole di Jae Lee. Decenni di avventure, figli e “trasformazioni” l’hanno resa oggi una Invisible Woman con un pizzico di malizia ((vedi qui: marvel.wikia.com/Susan_Storm_%28Earth-616%29#cite_note-Fantastic_Four_23280-283-10 al paragrafo in cui si spiega: Psycho-Man took advantage of Sués fragile self-control at this point and amplified her negative emotions. She became Malice, with all of the Invisible Girl’s powers but none of her restraint, and attacked the Fantastic Four. Mr. Fantastic helped her throw off Psycho-Man’s influence, but she lost control again when the Fantastic Four confronted Psycho-Man; she turned his own Control Box on him, which shorted out his nervous system and nearly killed him.The episode would have lasting effects: the Invisible Girl changed her name to Invisible Woman; she discovered how to use Force Objects (see Powers below); and in the long term, she lost a measure of self-confidence, knowing that Malice still lurked inside her)); la mai negata o sopita liaison sentimentale con Namor ha fatto da sfondo praticamente sempre in cinquanta anni di storie, una maturità raggiunta e vistosamente sfoggiata.

Tutto ciò contribuisce a renderla personaggio chiave e, nelle mani di Morrison, si può ammirare in che maniera sprezzante si permetta di trattare il Dottor Destino alla fine della storia, quando ridicolizza i suoi giochi e piani mentali per distruggere i Fantastici Quattro. Donna matura, madre di famiglia, dice senza giri di parole a Destino di piantarla con questa “perdita di tempo” sottolineando che la sua intelligenza dovrebbe essere usata per scopi nobili (cura contro il cancro) piuttosto che in una sterile battaglia contro il vecchio amico/nemesi Reed Richards.
L’ex “donna che scompare” quando c’è il pericolo è la colonna portante della storia; il fratello Johnny Storm, strizzata d’occhio ad un pubblico giovanile (sia maschile che femminile), appassionato di donne e motori, non conquista alcuna attenzione nell’economia del racconto e scompare presto.
Altro discorso per Ben Grimm. Personaggio più problematico e sicuramente più amato del quartetto, la Cosa è stato sempre oggetto delle particolari attenzioni di tutti gli sceneggiatori che hanno messo mano alle storie dei Fantastici Quattro. Ironico, rissoso, presumibilmente uno dei primissimi supereroi Marvel (se non il primo tout court) dichiaratamente ebreo ((cfr. qui www.adherents.com/lit/comics/Thing.html e http://en.wikipedia.org/wiki/Thing_(comics))) problematico ma sempre al centro dell’attenzione, adorato dai fan e con un discreto successo con le donne. Benjamin Grimm ha subìto non poche volte la trasformazione da “Cosa” a uomo, quel processo inverso che Reed non è mai riuscito a realizzare in maniera compiuta. Sempre grazie ad un espediente diverso, sono ormai innumerevoli le volte che Ben ha potuto ritornare ad essere umano nelle fattezze; nel caso di Morrison tutto questo avviene grazie a o a causa del Dottor Destino, che gioca nella e con la mente di ogni membro del quartetto.

Questa miniserie fu realizzata da Lee e Morrison per la linea adulta, con etichetta PG (lettura consigliata con supervisione di un adulto) ((en.wikipedia.org/wiki/Motion_Picture_Association_of_America_film_rating_system)), che la Marvel utilizzava per raccogliere storie che miravano ad un pubblico meno ingenuo e giovane e di miglior “palato” rispetto al normale pubblico a cui sono normalmente destinate le storie dei Fantastici Quattro.

È interessante scoprire, a distanza di dieci anni quasi, come alcune piccole scelte narrative di Morrison siano state omaggiate (non si sa se volutamente o meno) dallo scrittore Jonathan Hickman a partire dal ciclo di storie denominato Three, sviluppando ad esempio un racconto nel quale Reed è separato da Sue e dove quest’ultima è nel frattempo alle prese con Namor.

Oppure, nel primo numero di FF, Fondazione Futuro, Hickman fa assumere alla Donna Invisibile nei confronti del Dottor Destino lo stesso piglio che Morrison le aveva cucito addosso; interviene per sedare quella che sembra una rissa tra bambini e non manca di minacciare una delle più grandi menti criminali del secolo che potrebbe decidere di fargli comparire una bolla nel cervello e farlo diventare un’ameba. Stesse parole o quasi le aveva utilizzate Morrison nelle pagine finali di 1234, stessa identica minaccia che rende l’idea di come i suoi superpoteri la rendano in battaglia probabilmente l’elemento più forte del gruppo. Ben Grimm poi, come si accennava, sia nella miniserie in oggetto sia nella saga Three (dal n. 583 della serie regolare) viene ritrasformato in normale essere umano proprio all’inizio delle storie e Johnny Storm viene drasticamente tolto di mezzo (in maniera temporanea da Morrison e definitiva da Hickman) sottolineando come in tempi adulti quali viviamo la componente “sidekick” del Quartetto è chiaramente superflua.

Non riesco, neanche volendo, a capire nelle intenzioni di Morrison quanti siano i protagonisti di questo albo; di primo acchitto avevo pensato ad un sestetto (gli F4, Destino e Namor) ma, a ben guardare, probabilmente nelle idee dell’autore il tutto gira attorno ad un classico quintetto. È il pianoforte (Namor) che integra i due violini (Destino e la sua nemesi Reed), la viola (Sue) e il violoncello (Ben). Johnny Storm, per come viene gestito in questa storia, francamente, non meriterebbe neanche di apparire in copertina.

E in questo gioco di numeri e strumenti sicuramente Destino è quello che ne esce in maniera peggiore: architetto del “gioco” mentale che è alla base di tutta la storia (reale, irreale, poco importa), nemico storico perché “doppelgänger” ((vedi articolo di Stefano Priarone da noi pubblicato qui)) di Reed Richards, viene sbeffeggiato da Sue e annichilito da Reed, pronto, pur di difendere la sua FF (famiglia fantastica) ad estendere la sua coscienza e sviluppare nuove strutture cerebrali.

“La mia famiglia è un’equazione. Alterandone un elemento cessa di essere risolvibile”

Così afferma Reed, sottolineando come, nonostante la storia porti i Fantastici Quattro a vivere separatamente le loro avventure, la vittoria finale venga raggiunta solo perché si è un “unicum” indissolvibile (non risolvibile, per Reed). E allora viene il dubbio che forse sia proprio questo il vero messaggio di Morrison, contrariamente a quanto sopra scritto e intravisto in tutto il volume. Ma, si sa, Morrison non è certo un autore facile e l’avergli lasciato briglie sciolte in una miniserie “fuori” serie non ha certo semplificato l’analisi.

 

Abbiamo parlato di:
Fantastici Quattro: 1 2 3 4
Grant Morrison e Jae Lee
Traduzione di Andrea Plazzi
Panini Comics (Collezione 100% Marvel), 2010
96 pagine, brossurato, colori – 12,00€
ISBN: 9788863465808

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