Il terzo albo introduce diversi espedienti narrativi che hanno fatto storcere la bocca a più persone. Il nocciolo della questione è: è più giusto raccontare una vicenda a sfondo storico soltanto narrando i fatti, oppure cercarndo di costruirvi attorno e dentro un qualcosa di “originale”? Ovvero, fino a dove può spingersi un racconto (fumetto, film o libro che sia) quando decide di calarsi in una vicenda storica? Dobbiamo premettere che i fatti realmente accaduti sono ammantati di leggenda, le fonti sono spesso contraddittorie, sia fra di loro sia, addirittura, per la configurazione geografica del territorio. Lo stesso libro di Manfredi, così come quello di Pressfield, dei quali abbiamo parlato precedentemente, prendono spunto dalla vicenda per raccontare una storia di fantasia.
Anche Miller introduce, nel terzo albo, un elemento di fantasia che diventa l’ago della bilancia della vicenda; lo vediamo già in copertina, orrendo e sfigurato: Efialte, il “mutante” della miniserie 300, se si vuole a tutti i costi paragonare la Sparta di Miller al fumetto contemporaneo. Gobbo e deforme, dall’alto delle rocce assiste ad una serie di vicende, raccontate come al solito da Miller con continui rimandi alla storia ed alla leggenda. Un gruppo di Persiani tenta di avvicinarsi all’accampamento spartano: abbiamo già conosciuto l’ospitalità degli Spartani ed anche in questo caso il risultato è lo stesso, e il piccolo drappello è barbaramente trucidato. Le minacce del portavoce di Serse non toccano Leonida, ed essi vengono impalati, ed il venire a conoscenza che i nemici in armi sono centinaia di migliaia, sotto gli ordini del Generale Mardonio, non fa che stimolare l’orgoglio spartano a combattere.
Plutarco racconta che durante la battaglia Leonida, alla frase “non riusciamo neanche a vedere il sole tanto sono fitte le frecce dei barbari!” rispose “Meglio così: potremo combattere all’ombra“. Erodoto, invece, sostiene che la stessa battuta sia stata detta da Diocene, per nulla spaventato dalla forza dell’esercito persiano. Miller, a sua volta, anticipa questa battuta e la mette in bocca a Stilios, un giovane soldato, in risposta alle ultime parole dell’ambasciatore persiano. Il re Leonida pero’, nonostante gli alleati abbiano eretto un muro per creare un passaggio obbligato nel passo, teme che il proprio manipolo di uomini possa essere aggirato. Calandosi nello spirito della Sparta dell’epoca, Miller ci fa vedere a tutta pagina come nel muro ricostruito dagli alleati spuntino teste e piedi del drappello di Persiani venuti a negoziare la resa dei Greci: questa è Sparta aveva detto Leonida al primo ambasciatore persiano ricevuto e ucciso! Si racconta che a questo punto Serse, venuto a conoscenza del numero dei nemici, scoppio’ in una risata.
Nella nostra storia, invece, Efialte chiede di poter essere ascoltato dal suo re, anche se gli altri soldati lo esortano a togliersi dalla vista di Leonida, insultandolo: “mostro” è la parola che esce dalla bocca del capitano dell’esercito spartano che sta discutendo con il suo re su come affrontare un esercito così sproporzionatamente potente. Leonida ascolta quanto Efialte ha da dire: esiste un passo che potrebbe permettere ai Persiani di prendere gli alleati alle spalle. La richiesta di Efilate di poter combattere al fianco dei 300 pero’ viene respinta da Leonida, e quest’ultimo, nonostante abbia già mostrato segni di intolleranza alle leggi di Sparta, è costretto a spiegare che la falange armata e compatta dei suoi uomini fa si che ognuno protegga con il proprio scudo il compagni alla sua sinistra: la deformità di Efialte penalizzerebbe i suoi compagni. Il breve dialogo fra l’asciutto Leonida e il verboso Efialte è reso in due pagine quasi totalmente in bianco e nero. Le figure dei due personaggi si stagliano nere come la pece contro un cielo leggermente nuvoloso.
Il confronto storico ci conferma che verso l’VII secolo a.C. furono per la prima volta formate le falangi di opliti, formazioni compatte e ordinate, che avanzavano al coperto della muraglia degli scudi e della selva di lance. Ognuno cercava di proteggere il lato destro del corpo dietro lo scudo del vicino, e per questo motivo spesso la falange aveva la tendenza ad appoggiare a destra.
Efialte, rimasto solo, si lancia da una rupe; il suo sogno di essere accettato, come soldato e come uomo di Sparta, è naufragato, il reietto è stato ancora una volta respinto. L’esperto re pero’ tiene conto delle sue parole e fa sì che un piccolo gruppo di alleati stia alla guardia del passo segnalato da Efialte. Nel frattempo le legioni di Serse si avvicinano e, sotto un cielo improvvisamente giallo, l’esercito di Sparta può sentire la terra tremare sotto i piedi di migliaia di soldati persiani. Serse, secondo Erodoto, era riuscito ad organizzare un esercito a Sardi per un totale di due milioni di uomini, e una flotta di milleduecento navi, raccogliendo truppe da tutti i popoli in quel momento sotto la dominazione persiana: l’esercito più grande mai visto fino a quel momento. Ai più, in seguito, queste cifre sono sembrate spropositate. Resta pero’ la voglia di chi raccontava di indicare l’enormità dell’esercito persiano, soprattutto in confronto a quello degli alleati. L’ultima immagine dell’albo ci mostra la falange dei 300, compatta e pronta a sostenere l’urto dell’attacco: Leonida, con un’esclamazione che i detrattori di Miller hanno presto bollato come “alla John Wayne”, grida venite a prenderci!. In diversi racconti storici, pero’, leggiamo che quando i Persiani chiesero di consegnare le armi, quasi sul finire della battaglia, Leonida grido’ “venite a prenderle“. Il divertimento di Miller nello scegliere come e quando utilizzare rimandi storici è palese, e lui stesso lo scrive nella pagina della posta del quarto albo originale.
“non c’é niente di meglio che mettere insieme una sceneggiatura con le migliori frasi scritte per te – dalla storia”.
Ma, appena completati i tre quinti della storia, ci rendiamo conto che il ritmo si sta facendo incalzante e che presto sarà battaglia.
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