“Auf Wiedersehen, Pulcinella!”: intervista a Luigi Formola e Antonio Caputo

La dura vita di una famiglia italiana emigrata in Germania negli anni ’70 è il tema di “Auf Wiedersehen, Pulcinella!”, graphic novel di Luigi Formola e Antonio Caputo edito da Shockdom.

INTERVISTA A LUIGI FORMOLA

coverHai studiato comunicazione e a lungo ti sei occupato di parlare dei mezzi di comunicazione; da dove nasce il tuo interesse in questo campo?
Da adolescente ero un divoratore di musica e cinema ma la mia voglia di sapere non si fermava al prodotto finale. Volevo scoprire come era progettato un tour o come era stata strutturata la campagna promozionale di un disco o di un film. A cavallo tra l’era pre e post internet era difficile reperire informazioni del genere: l’università fu la risposta. Questo, e la passione per le lingue, fu la base del mio approccio con la comunicazione. Dopo la laurea ho continuato ad interessarmi ai nuovi media e ho tenuto corsi con enti di formazione per spiegare l’importanza della comunicazione on e offline. Attualmente continuo ad occuparmi anche di copywriting.

Hai poi mosso dei passi verso la produzione di “cose tue”; da dove è partita la necessità di raccontare?
Cerco sempre di scrivere storie che vorrei leggere e che affrontano tematiche reali. Nel cassetto ci sono sempre state storie da voler raccontare. Per anni ho scritto canzoni con la band in cui suonavo la batteria e riuscivo a trovare un modo per raccontare anche attraverso i versi. Al termine dell’esperienza musicale sentivo di dover esplorare la dimensione narrativa, sia a fumetti che romanzi. Prima dei miei primi lavori ho scritto di critica fumettistica su un portale di settore e ciò mi ha permesso di conoscere da vicino molte realtà editoriali. Poi, dopo aver vinto una borsa di studio alla  di Roma, ho approfondito le conoscenze tecniche e la prima sceneggiatura è venuta di conseguenza.

Quali sono gli ambiti (tra narrativa e fumetto) che senti più tuoi in termini di narrazione e come li approcci, e che differenze trovi?
Sono sia un lettore che uno sceneggiatore di fumetti anomalo, non sono un fan dei supereroi e conosco pochissimo questa dimensione del mondo fumetto; invece ho una propensione per storie che esplorano la dimensione emotiva umana. Leggo tanti slice of life e coming of age, ed è la direzione che ho intrapreso maggiormente nella scrittura di storie a fumetti e non solo. Difatti, tra gli autori che seguo maggiormente ci sono , Gipi per i fumetti, , Nick Hornby e J.K. Rowling per i romanzi.

Come hai avuto lo spunto per il volume, come sei arrivato a metterlo in “produzione” con Shockdom e come lo hai portato avanti con il disegnatore?
Il volume è in parte biografico, ispirato alle vicende vissute dalla mia famiglia in Germania negli anni ’70 prima della mia nascita. Dopo un viaggio a Francoforte con mia madre in cui mi ha mostrato tutti i luoghi che rappresentavano il passato della mia famiglia, avevo davanti a me visivamente una potenziale storia a fumetti. Proposi a Shockdom un soggetto semplice, dallo sviluppo lineare e tutto incentrato sui personaggi, e  approvò subito il progetto. Antonio Caputo è arrivato in seguito dopo una lunga ricerca per il giusto disegnatore, ma appena vista la sua interpretazione dei personaggi ho voluto fortemente che fosse lui a realizzare il volume. E per fortuna è nata una bellissima collaborazione.

Qual è sostanzialmente (in un racconto lineare e senza grandi sviluppi narrativi) la qualità che trovi nel volume? In pratica, perché dovrebbe essere letto?
Potrà sembrare banale, ma la risposta è l’emozione. È un aspetto che ricerco nelle storie che leggo e che ho reso la base della mia narrazione. Quando chiudo un volume e sento rimescolarsi sensazioni contrastanti, so che la storia appena letta è stata in grado di emozionarmi. Così come la possibilità di immedesimarsi nella quotidianità di vite diverse che però spesso hanno caratteri universali. Ed è quello che spero ritrovi chi legge Auf Wiedersehen, Pulcinella!

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INTERVISTA AD ANTONIO CAPUTO

Quali sono stati i primi contatti con il fumetto, le prime letture etc? E quando la passione per il disegno ti ha portato a provare a disegnare tu stesso fumetti?
La passione per il disegno l’ho sviluppata sin da piccolissimo ma non solo attraverso fumetti, infatti sono cresciuto con film d’animazione e videogiochi, che mi stimolavano a disegnare personaggi e a creare brevi storielle. Piegavo dei fogli A4 per simulare un volume, sul fronte disegnavo la copertina e all’interno le vignette: inconsapevolmente, stava per nascere il mio interesse verso i fumetti, come se sapessi che “da grande” avrei voluto fare qualcosa riguardante questo mondo.

Quali studi hai fatto e cosa ti ha dato questo percorso
Ho frequentato il Liceo artistico e successivamente la Scuola Internazionale di Comics, dove ho compreso che il disegno e il fumetto andavano studiati seriamente e professionalmente. Ho capito che se avessi voluto trasformare questa mia passione in un lavoro non sarebbe stato affatto facile, chiedendomi spesso se fosse davvero questa la strada che avrei voluto percorrere. La risposta è che, semplicemente, per quanto sia complicato, mi ci diverto e non mi ci vedo a fare altro. È un lavoro creativo, una continua crescita e, da quando sono entrato a far parte di questo mondo, guardo tutto ciò che mi circonda con occhi diversi.

Interni-Pulcinella-ITA43Quali sono i generi che preferisci e gli autori che ritieni fondamentali nella tua cultura fumettistica (e non?)
Penso di aver cominciato tardi a leggere “seriamente” fumetti. Ho iniziato con i manga,  il primo in assoluto, aspettando i volumi in edicola (non perdonerò mai il me bambino creativo che prese dei pastelli per colorare, ingenuamente, le pagine in bianco e nero).  Ma è durante la frequentazione della scuola di fumetto che ho cominciato ad acquistare molti fumetti, non solo con l’intenzione di leggerli ma soprattutto di studiarli. Autori come  o Bastien Vivès, per citarne qualcuno, sono stati fondamentali per la mia crescita artistica. Al momento ho un particolare debole per  che raccontano, semplicemente, esperienze di vita quotidiana, di crescita. Le trovo piacevoli e coinvolgenti, sempre con qualcosa da insegnarmi. Ma, detto tra noi, sento la mancanza di combattimenti e onde energetiche.

Come è nata l’opportunità di debuttare con questo volume della Shockdom?
Dopo aver terminato gli studi cominciai a lavorare a dei progetti e, in contemporanea, a propormi come disegnatore a varie case editrici. Era abbastanza facile perdere la motivazione dopo vari colloqui senza successo; aspettavo una mail come quando si attende qualcuno ad un appuntamento, ma alla fine non arrivava mai nessuno. Una sera si presentò Luigi con un messaggio su Facebook. Ricordo perfettamente che era l’ultimo giorno di  2018: c’era questo progetto Shockdom senza disegnatore e lui era interessato al mio stile. Non potevo farmi sfuggire quest’opportunità e lavorammo subito ad alcune tavole di prova per questa storia.

Qual è stata la tua prima reazione quando hai letto soggetto/sceneggiatura
Se devo essere sincero, inizialmente non ero attratto dal titolo, poi lessi il soggetto e Auf Wiedersehen, Pulcinella era perfetto. Ricordo benissimo che mi emozionai leggendo il finale, pensando anche al bellissimo gesto che Luigi voleva fare per i suoi genitori. Anche questo mi ha stimolato molto: volevo assolutamente contribuire a questa sorta di regalo per i suoi genitori, tra l’altro ignari di tutto ciò, immaginando già la loro reazione a lavoro ultimato: dopo circa due anni, è stato molto commovente.

Come hai lavorato con Luigi, come hai approcciato la vicenda (che nei fatti è “storica”, perché seppur di qualche decennio ha una ambientazione non contemporanea) e che tasti hai voluto “battere” soprattutto (ambientazione, tono, dettaglio)?
Credo che la cosa più importante sia stato trovare un amico, oltre che un bravo sceneggiatore. Non ci si fermava al compitino, sul rispettare la sceneggiatura o sul dare conferma alle vignette. Non è stato per niente un lavoro meccanico ma un continuo scambio di idee, di confronto. Luigi mi ripeteva spesso “Antonio, questa scena era proprio come la immaginavo” ed io non potevo che esserne contento, perché si era arrivati davvero ad un punto di intesa e di sintonia perfetta. Inoltre, Luigi mi allegava immagini, luoghi e vere e proprie foto dei suoi genitori scattate negli anni ’70. Purtroppo per me non erano mai abbastanza, non soddisfacevano pienamente la mia maniacalità nel rendere tutto perfettamente coerente, perciò trascorrevo intere giornate alla ricerca di immagini, video, storie e magari anche di una macchina del tempo che mi riportasse direttamente alla Offenbach di quegli anni. Per gestire meglio il lavoro nella sua totalità, questa ricerca di materiale per me è stata fondamentale e lo stesso vale per i brani anni ’70 che ascoltavo durante il lavoro: questo e altro per entrare nel mood!

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