Una nuova serie a fumetti è sempre un piccolo evento; per la Sergio Bonelli Editore, sempre attenta in ogni sua pubblicazione, significa che molte discussioni, analisi e “conti” sono stati fatti, prima che l’albo raggiungesse le edicole.
Una nuova serie di storie inedite, a colori (nel tempio del fumetto bianco e nero), dedicata a Tex poi, è un evento vero e proprio. Non la prima serie di albi a colori per la casa editrice, certo, ma una delle pochissime con questa caratteristica ((Tra queste, seppur ferma al numero tre da tempo, ci piace segnalare la serie Leo Pulp, ancora più particolare in quanto disegnata in stile grottesco e umoristica e “anticipare” la prossima miniserie di fantascienza di Roberto Recchioni ed Emiliano Mammucari.)).
Eppure, nonostante queste caratteristiche positive da sommare a quelle elencate nella recensione ((da noi pubblicata qui)), ai più e a chi vi parla questo volume è parso essere sì un buon fumetto western, ma soprattutto una occasione persa. Non facendo parte della cerchia schizzinosa che declassa i fumetti made in Bonelli (Tex uber alles) come la rovina del fumetto in Italia e/o una montagna di carta sporca che non merita neanche di essere guardata (per essere disprezzata “a prescindere” come diceva Totó), riteniamo di poterne parlare senza rischiare accuse di apriorismo.
Anzi l’unico rischio di commento negativo è quello di avere fin troppo affetto verso Tex. Nel convulso mese di agosto teatro di panico da fallimento per la nazione intera, si è trovato il tempo (se sia un bene o un male questo ognuno se ne può fare una sua idea) di parlare del Tex Color in più blog/siti/forum con risultati spesso similari.
Alla casa editrice se non a Sergio Bonelli in persona si contesta una colorazione piatta, praticamente inutile, che non aggiunge praticamente nulla alla tavola in bianco e nero. Oltre ad una grafica di copertina decisamente poco azzeccata (anche se rispetto a ciò che si è letto online questo è un eufemismo, vedi alcuni commenti sul blog di Harry dice… ma anche alla nostra recensione).
BAMBOLE, NON C’È UNA LIRA
Riassumendo, quindi, grandi critiche a una nuova iniziativa editoriale; non precisamente rischiosissima (il fumetto più venduto in Italia, due autori amati, una periodicità… annuale) ma comunque una nuova uscita. In tempi di crisi. Crisi a dir poco; infatti…
Zoomata indietro con la telecamera; siamo a marzo dello scorso anno. Sergio Bonelli dice ((fonte: La Repubblica ))
“Beh, il fumetto non è morto, però è ferito. È vero che ero abbastanza menagramo, fa parte del mio carattere, però quindici anni fa la nostra casa editrice vendeva tre volte tanto quello che vende adesso. Nonostante spesso si continua ad accostare il fumetto ai bambini, il pubblico dei bambini da tempo non ci segue più. Ma abbiamo molto più rispetto da parte del mondo della cultura, e questo evento di Napoli ne è una prova davvero emozionante”.
Giorni nostri; nel numero 79 del settembre 2011 di Scuola di Fumetto, l’autore “Bonelli” Antonio Serra risponde ad alcune domande di Laura Scarpa su Nathan Never in occasione del ventennale del personaggio e dello speciale a colori che lo ha festeggiato. Nelle risposte inserisce alcune frasi che indicano la preoccupazione crescente per la drastica diminuzione di lettori… dalle sue parole si capisce che, per farsi una idea del lettore tipo di Nathan Never, bisogna affidarsi alle sensazioni degli
“autori e curatori (…) che leggono le ormai rarissime lettere, i ben poco frequentati forum su internet e parlano con lo scarso pubblico alle fiere”.
Ancor più esplicito quando alla domanda: “Fumetto in b/n o a colori, che cosa sta vincendo? Che differenze narrative?” risponde:
“Il colore vince sempre. Il successo della versione a colori di Tex lo dimostra senza ombra di dubbio. Ma, allo stesso tempo, tutti perdono. La crisi è davvero grave, il futuro incerto. Speriamo bene.”
E fin qui parliamo del fumetto popolare italiano.
Il 22 agosto, sul sito del Los Angeles Times, compare una intervista a Dan Di Dio, Co-Publisher della DC Comics di cui riportiamo qualche piccolo stralcio dell’articolo:
“In the 1990s, there were 7,000 to 9,000 retailers that sold comic books, including newsstands and drugstores. Today there are a little more than 2,000, most of which are specialty shops.” dice Di Dio. E il pezzo continua con: “DC Comics co-publisher Dan DiDio was at a comic-book store in New Jersey when he noticed something alarming. Over the course of an hour, only two customers came in. And, this was a Saturday — the busiest day of the week for most retailers” ((“Negi anni novanta c’eranto tra i settemila e i novemila rivenditori di fumetti, incluso edicole ed empori . Oggi siamo a poco più di duemila e la maggior parte sono fumetterie.” dice Di Dio. E il pezzo continua con: “DC Comics co-publisher Dan DiDio si trovava in una fumetteria nel New Jersey quando ha notato qualcosa si allarmante. Nel giro di un’ora solo due clienti sono entrati. Ed era sabato, il giorno più trafficato della settimana per i rivenditori”))
Il successo, non sappiamo quanto reale e quanto dettato dalla novità dell’evento con la E maiuscola, che sappiamo essere stato in realtà molto inviso ai fan più accaniti delle serie supereroistiche made in DC Comics, fa riflettere l’autore Roberto Recchioni che, senza giri di parole, esprime il suo sconcerto su come si perdano occasioni in Italia laddove personaggi di successo popolare (Tex, Dylan Dog ma anche Diabolik ad esempio) realizzino numeri che, se parliamo solo di fumetti venduti, in Usa sono in proporzione impossibili da raggiungere. Potete leggere la discussione qui (e anche in questo caso i commenti non sono certo lusinghieri per l’editore Bonelli).
Ma più che le “chiacchiere” dei lettori, chiarito il contesto “drammatico” nel quale si muovono tutti gli editori di fumetti, torniamo alla questione colore….
COLLEZIONE E LEZIONE DEL COLORE
La colorazione del Tex Color n.1 ((mettiamo il numero con la tenue speranza che quanto diciamo sia valido solo per questo)) segue una linea editoriale dettata dai 239 numeri settimanali della ristampa Collezione Storica a colori. Quest’ultima è stata un successo editoriale senza precedenti se si considera il numero di ristampe che già avevano avuto queste storie ((a ben vendere, la stessa serie regolare di Tex oggi in edicola inizia come ristampa delle strisce)) e la quantità di storie stampate.
Non una linea innovativa né in grado di utilizzare le enormi possibilità grafiche che la colorazione oggi consente. Eppure qui si partiva da zero; non vi erano precedenti e l’applicazione del colore poteva essere gestita diversamente senza dover fare i conti con un passato da rispettare.
Per intenderci meglio, nell’aprile del 2007 Raffaele De Falco, in sede di commento in questo articolo per Lospaziobianco al primo volume di questa serie faceva notare che:
“La realizzazione di questa opera a colori, già difficile per i motivi tecnici detti sopra, pecca anche per una infelice quanto precisa scelta fatta dai responsabili che vede risaltare (in gergo “sparare”) il giallo della camicia di Tex in contrasto con il “grigio” del resto delle vignette. Un tocco “malinconico” dato da colori virati allo scuro: la bella Tesah e il resto degli indiani, per fare un solo esempio, non sono troppo gradevoli con una carnagione “cerulea””
Ma, addirittura nel Febbraio 1996, sulle pagine della rivista Flex n.12, in occasione della partenza della nuova ristampa intitolata (ehm…) Tex Nuova ristampa, Angelo Santarelli così scriveva:
[…] gli americani che sono maestri nello sfruttare tutte le possibilità (anche se qualche volta esagerano), hanno dimostrato più di una volta che rivedere è meglio di ristampare; un esempio, non a caso, è rappresentato dalle due testate più vendute Gli X-Men e Spiderman in cui si riparte sì dal n.1, ma ridisegnando le storie (X-Men Classic) o rileggendole sotto punti di vista diversi (Amazing Fantasy starring Spiderman). La proposta: e allora ecco il suggerimento, un Tex mensile (o bimestrale) Tex Classic (all’anima dell’originalità ma il titolo è l’ultima cosa!) di 48 o 64 pagine a colori con copertine inedite […]
Alla fine la serie a colori di Tex, con storie inedite, che parlano anche del passato di Tex, con copertine inedite, è arrivata. Con qualche pagina in più rispetto a quanto auspicato da Santarelli ma con una frequenza decisamente superiore.
Non sappiamo dove può portare il successo di pubblico di questo albo, magari alla semestralità come il cugino Dylan Dog Color Fest, e visto che apparentemente il ranger gode di migliore salute editoriale e di un rinnovatissimo e di elevatissima qualità parco autori e disegnatori.
Eppure si parla di occasione persa; la questione riguarda la direzione data alla colorazione dell’albo. Punto. Niente altro. Si intende quindi che il colorista, del quale dal tamburino non evinciamo il nome, abbia avuto infatti precise istruzioni su come procedere. E le abbia seguite alla lettera, evitando di fare alcune cose abbastanza normali per un colorista. Tutti gli abiti sono in tinta piatta, senza velature o sfumature; stesso discorso per i volti. Solo nei panorami, talvolta, c’è una velatura per dare profondità, che so, ad una roccia. Niente altro.
Ci si chiede perché siano state date queste indicazioni invece di sfumare, sporcare (siamo nell’Old West, baby!) e approfittare delle lineari chine di Brindisi per applicare una colorazione realistica quale quella di un attuale fumetto di supereroi made in Usa ((basterebbe semplicemente qualcosa come questo o questo, per non scomodare Richard Isanove anche qui)). Niente di eccezionale serviva, insomma, ma lascia perplessi il fermarsi ad un passo da un risultato quando si hanno tutte le carte per raggiungerlo.
L’esperienza ultradecennale spinge l’editore a realizzare fumetti in modo che si vendano; non essendo la Sergio Bonelli Editore una associazione no-profit ha (oltre al dovere di fare profitto e di veicolare un prodotto editoriale in linea… con la propria linea editoriale) anche la responsabilità “morale” di continuare a dare lavoro a tanti autori come fa ora. Ma se questo discorso potrebbe essere utilizzato per difendersi dalle critiche di staticità nella gestione di alcuni personaggi e testate qui ci troviamo di fronte a qualcosa di diverso.
Il successo della ristampa della serie regolare per Repubblica ha sancito che al pubblico è piaciuto (…) leggere le storie di Tex dalla prima all’ultima ((o, come qualche maligno ha suggerito, è piaciuto ricomprarle in una veste tale da poterle esporre in libreria)) colorate con colori piatti, senza sfumature né velature, senza luci né ombre. Amen.
Eppure, anche volendo parlare del solo discorso economico, il rischio di impresa che noi non ci accolliamo e che l’editore invece sì, ci sembra davvero difficile che il successo della ristampa precedente sia il motivo per il quale la storia del Tex Color sia colorata allo stesso modo. Qui si parla di un albo, singolo, disegnato da un autore che ben si presta, viste le sue caratteristiche, ad una colorazione moderna e perfino iperrealista; parliamo di un ambientazione, il vecchio west, che farebbe la gioia dei coloristi vista l’enorme varietà di tinte, toni, luci da rendere.
Senza dimenticare che la doppia ambientazione cronologica passato/presente avrebbe potuto consentire altri giochi di colore, con variazioni di stili, utilizzo del “seppia”…. insomma, mille possibilità, eppure nessuna è stata utilizzata.
E parliamo di un albo primo di una serie, che non deve dar conto a nessun centinaio di storie “analoghe”. Stesso discorso vale anche per la ristampa (seconda, visto che ci sono già i Tex “Stella d’Oro”, semestrali, a ristamparli). Francamente, ci sarà permesso, una scelta inspiegabile.
Non sto qui a dire che con un Tex Color colorato diversamente si sarebbe venduto di più, figuriamoci. Ma sarebbe interessante capire se c’è davvero qualcuno che pensa che si sarebbe venduto di meno…
TEX IL GRANDE!
I Texoni, la storia la conoscono anche i sassi, nascono come serie regolare annuale di enorme successo di pubblico dalla necessità di dirottare altrove storie che graficamente non sarebbero state “consone” per le norme non scritte del mensile ((qui il nostro articolo)). Visto che vengono ora ristampati a colori come allegati di Repubblica, ci tocca allungare il discorso anche a loro.
Già partendo con il numero uno disegnato da Guido Buzzelli, il colore, paradossalmente, fa veri e propri danni al fumetto. Chi non conosce l’autore citato farebbe bene ad andare a curiosare online e cercare qualche suo disegno, per scoprire che artista immenso era. Le sue tavole sono piccoli capolavori di tecnica, inchiostratura e inventiva. Con i colori, poi, un pittore sopraffino (per esempio in questo post di due anni fa sul blog di Luca Boschi).
Come per la copertina del Color Tex, dipinta e chiaramente non colorata a tinte piatte, anche in questo caso il paragone fra l’interno a colori piatti e l’opera d’arte (senza esagerazione) realizzata da Buzzelli per la cover dello speciale “Tex il grande!” è veramente ingeneroso. Marco D’Angelo meglio di me sa spiegare e spiega qui l’effetto che fa vedere il Texone di Buzzelli così colorato:
Un fuoco che non ha bisogno del colore rosso per essere rappresentato. Anzi, la ricolorazione delle tavole sottrae molto del loro fascino alle profondità create da Buzzelli con il suo tratteggio. […]Mi limito a constatare che nel Tex di Buzzelli, il colore non mancava di certo, solo che l’autore, con il suo bianco e nero, ci dava il
privilegio di immaginarlo come volevamo.
Ma se Sergio Bonelli nella presentazione indica come necessario (male?) cedere alla quadricomia, come potete leggere qui, viene il dubbio che non si indichi, con questo termine, la stessa cosa. Il rispetto e (eh sì) l’affetto per Sergio Bonelli c’è ed è tantissimo; ma se quadricomia vuol dire quattro colori quattro (verde giallo rosso blu rosa marrone… sei direi) allora anche qui abbiamo perso una occasione colossale. Capiamo il suo gusto fumettistico, ma una volta ceduto al colore… che colore e colorazione, soprattutto, sia. E non un timido riempire gli spazi bianchi con stese di colore uniforme. Dice l’editore:
Beh, sì, devo ammettere che – un po’ alla volta, sia chiaro – sto venendo meno a quella che, per tanti anni, è stata la colonna portante del mio personale gusto fumettistico. Il colore, infatti, è ormai parte irrinunciabile delle aspettative di tantissimi lettori, che lo interpretano come un “segno” dei tempi moderni. Di conseguenza – accade sempre più spesso – non mi resta che arrendermi: se io riesco tuttora a rinunciare serenamente all’uso del telefonino”, del computer, di Internet e di tante altre meraviglie tecnologiche, questo non significa che tutti siano costretti a fare altrettanto… Insomma, ritengo comunque che sarebbe sbagliato ostacolare il progressivo (e forse “naturale”?) avanzare dei comics “in quadricromia”.
Vista la rapidità con cui escono settimanalmente i Texoni a breve ci troveremo con quello dipinto da Magnus, che è ora ristampato dalla Rizzoli Lizard ed in vendita in libreria. In bianco e nero, chiaramente. Rileggere l’opera di Magnus su carta patinata con neri così efficaci è stato e sarà una gioia per gli occhi; il merito di Sergio Bonelli per aver dapprima convinto e poi supportato l’autore nella maniacale realizzazione pluriennale dell’opera (peraltro ultima) della sua vita è e sarà enorme. Ma come sarà il Texone di Magnus colorato in questo modo… non osiamo chiedercelo.
E ancora c’è da chiedersi come sarà il lirico Texone di Pasquale Frisenda, per il quale un anno fa, qui, auspicavo una ristampa da libreria con colori ad acquerello…
Vista l’assoluta completezza dell’albo e la sua ottima realizzazione anche da un punto di vista grafico qualcuno potrà magari (se non l’hanno già pensato da soli) suggerire ai nuovi abili gestori del “licensing” dei personaggi Bonelli all’estero una edizione da libreria in cartonato, magari nei paesi del Sudamerica e perché no, magari acquerellato da Frisenda stesso.
Non amo fare domande negli articoli, chi legge di solito vuole pareri, non domande; non chiederò il “perché” della scelta; non suggerirò all’editore di cambiare rotta. Userò questo spazio solo per sottolineare che ci sono spazi (leggasi ancora qualche lettore) per fare ancora passi avanti, in direzione, in questo caso, del colore e di una colorazione al passo con i tempi.
E, in definitiva, che è peccato mortale non farli, questi passi.
TU VUO FA L’AMERICANO… MA ANCHE IL FRANCESE
Visto che, ad esempio, nel Dylan Dog 300 in edicola si vedono sfumature e non semplici velature per dare un colore di contrasto; visto che in lavorazione per la stessa Sergio Bonelli Editore c’è una miniserie fantascientifica che, dal punto di vista del colore, nulla avrà da invidiare ai volumi cartonati francesi che trattano le stesse ambientazioni.
Vi suggeriamo di dare un occhio alle anticipazioni sul blog degli autori Emiliano Mammuccari –qui– e su quello di Roberto Recchioni –qui– ((prontoallaresa.blogspot.com/2010/05…uella-cosa.html; prontoallaresa.blogspot.com/2010/09…a-del-capo.html; prontoallaresa.blogspot.com/2011/02/in-meantime.html; prontoallaresa.blogspot.com/2011/06…modellista.html)) ma soprattutto nell’immagine che riproduciamo in questo articolo.
Chiudiamo, infine, con un disclaimer grande come una casa e qualche immagine.
Abbiamo scelto alcune tavole del Tex Color e le abbiamo inviate ad un colorista professionista al quale abbiamo dato alcuni riferimenti grafici (fumetti supereroistici ma anche storyboard cinematografici). Il risultato non è in competizione con la tavola pubblicata né è nostra intenzione mettere in discussione le capacità professionali del colorista dell’albo, tra l’altro non citato nel tamburino.
Non è un referendum, non è una richiesta di consenso.
E’ una semplice indicazione, dettata dal rispetto per l’editore e dall’affetto per i personaggi che pubblica: avremmo preferito avere un Tex Color così e sentire discorsi magari su una colorazione troppo calda o troppo fredda, ad esempio, piuttosto che leggere in giro paragoni con le immagini colorate delle comiche di Stanlio ed Ollio.
A voi le due immagini “comparate”; due tavole ed una vignetta. E’ una alternativa che, ci chiediamo, quanto male avrebbe potuto fare ad un personaggio così amato (domanda retorica).
Infine, concludendo davvero, mi sentirei di sposare la tesi di Sergio Brancato che, in barba al “dire” comune, sostiene che l’editore Sergio Bonelli così come l’uomo Sergio Bonelli (così come i suoi genitori all’alba della loro lunghissima avventura editoriale) sia “audace” (come il nome della prima incarnazione editoriale) e non banalmente solo conservatore.
Lungi da me l’idea di avventurarmi nella spiegazione di questa tesi ((vi rimandiamo alla prossima pubblicazione su Lospaziobianco degli estratti dal volume “Audace Bonelli” e “Fumetti. Guida ai comics nel sistema dei media” in modo da poter leggere le parole dello stesso Brancato)) per motivi di spazio, eppure è proprio la mancanza di audacia (che poi tanto audacia neanche sarebbe…) che è mancata nell’offrire al lettore del Tex Color un prodotto colorato come un “contemporaneo” fumetto a colori.
Il lettore medio di Tex ha comprato 239 albi settimanali colorati così, questo è un fatto. Ma non v’è controprova che colorati diversamente sarebbero rimasti invenduti né che i lettori si sarebbero lamentati. Così come hanno apprezzato il colore (sorpresa?), l’idea di chi scrive è che avrebbero ancora di più apprezzato un colore utilizzato al meglio delle possibilità del mezzo; vista anche la competizione che il fumetto, come mezzo di intrattenimento, ha (con cinema, tv, videogiochi…).
Potranno essere anche (ma penso proprio che non lo siano) solo settantenni in pieno amarcord che rievocano la loro gioventù e i fasti di una volta ricomprando sempre lo stesso fumetto e magari storcendo il naso di fronte al colore… ma dubito che il primo febbraio 1977 abbiano tolto il colore alla televisione mentre la Rai abbandonava il bianco e nero…
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