Era l’inizio del 2001: l’undici settembre veniva ricordato come la ricorrenza del golpe militare di Pinochet (1973) e non per gli attentati negli USA, Silvio Berlusconi era in Italia a capo dell’opposizione, al Festival di Sanremo i Bluvertigo di Morgan si classificavano ultimi con “L’assenzio (The Power of Nothing)”.
Nel 2001, l’anno del festeggiamento del quarantennale dei Fantastici Quattro, il mondo viaggiava velocemente incontro alle sue contraddizioni (che sarebbero poi andate a scontrarsi altrettanto velocemente), inforcando la via della modernizzazione a tutti i costi a scapito di tutto il resto. Eppure qualcuno, nella Casa delle Idee, aveva pensato ad un regalo speciale per la più famosa “famiglia” di supereroi: un regalo d’antan, che rifuggiva le facili vie del recupero/ristampa di storie vecchie in paperback oppure della loro reinterpretazione moderna, fatta con sguardo più cinico e su più piani di lettura.
Inseguendo il taste of the past, la Marvel pensò bene di affidarsi ad un quarantenne autore di successo decisamente datato in fatto di gusti: Erik Larsen. Un autore che aveva iniziato a farsi le ossa, da giovane, sulle fanzine (parola penso di significato oscuro per le nuove generazioni) e che rispondeva personalmente alla rubrica della posta sulla sua rivista a fumetti (anche qui sento volteggiare una domanda: “La rubrica della posta? Esiste la rubrica della posta sugli albi a fumetti?”), che venerava apertamente gli autori del passato, dichiarando di voler realizzare fumetti di evasione quali erano stati quelli letti da lui stesso da bambino.
Larsen, seppur in quel momento socio fondatore di una casa editrice rivale (la Image dei transfughi dalla Marvel che tanto scalpore fece nel lontanissimo aprile del 1992…), accettò con entusiasmo. Lo affiancò un manipolo di autori che con lui condivideva affetto, rispetto e voglia di omaggiare i FF di quaranta anni prima, per una miniserie che, se capitata all’improvviso tra le mani di un lettore delle ultime generazioni (ma anche di uno più “navigato”), avrebbe potuto tranquillamente passare come una ristampa di un fumetto degli anni sessanta. E’ tutto qua il “gioco”, l’omaggio, la forza di questo lavoro. Mettere la propria pluridecennale professionalità totalmente al servizio di idee narrative di quaranta anni prima, realizzate con slancio e incoscienza da Kirby e Lee.
A partire dal fatto di avere una pagina della posta in una miniserie, un’idea in puro stile anni sessanta (ma se non vi fossero state le email difficilmente sarebbero riusciti a pubblicare lettere in tempo prima della chiusura della serie).
La miniserie si dimostrò (in termini di gradimento) un successo sicuro – nonostante qualche rara accusa di “lesa maestà” – tra i fan “assoluti” del quartetto, ma abbastanza indigesta per i lettori nati dopo gli anni ottanta, cresciuti a pane e Jim Lee. Dodici numeri di fumetto “d’epoca” realizzato da autori contemporanei (fra i tanti Eric Stephenson, Bruce Timm, Jeph Loeb, Ron Frenz, Keith Giffen, Jorge Lucas, George Purcell…) seguendo e omaggiando lo stile e i plot della serie regolare dei Fantastici Quattro: un gruppo unito nella passione verso una serie a fumetti e verso gli autori Stan Lee e Jack Kirby, che erano stati in grado di inanellare cento e due numeri consecutivi di storie ad altissimo contenuto “fantastico”, ri-definendo un genere. Dopo ciò, la coppia si sciolse, lasciando questa serie consecutiva di numeri realizzati dallo stesso team come un piccolo miracolo, nel genere e nella frequenza di uscite.
Eppure per tutti i lettori e gli appassionati era impensabile che questo sodalizio potesse finire, visto che la simbiosi fra autori e fumetto era diventata inscindibile.Prendendo le mosse tra il numero 100 e il numero 102 questa miniserie realizza quindi il desiderio dei discepoli di vedere sviluppate dai maestri Lee e Kirby alcune trame lasciate bruscamente in sospeso. Un sogno, un sogno di ragazzini delusi da quel volo interrotto ai quali viene data la possibilità di pilotarlo loro.
Eric Stephenson ed Erik Larsen, entrambi destinati poi a diventare “editor” della Image Comics, approntarono una trama che, uno ad uno, riprendeva personaggi e situazioni tipiche che si erano già più volte ripetute sul mensile del fumetto più straordinario del mondo. Dalla presenza di Dr. Doom a quella di Namor, dalle tipiche scene di vita quotidiana dei personaggi del quartetto a spasso per supermercati a far spesa, a Galactus e Silver Surfer, passando attraverso il rapimento di Franklin Richards (figlio di Reed e Sue) e alla storia d’amore della Torcia con Crystal degli Inumani (presenti anche loro all’appello, comunque), con passeggiate nel mondo fantastico di Asgard e la presenza dei colleghi supereroi di sempre, i Vendicatori. Un turbinio di situazioni e personaggi che rappresentavano quasi una sorta di passerella finale visto che il quantitativo di eventi e personaggi era talmente elevato da perdere il filo del discorso, appassionati dalle apparizioni, ricalcate con matite e chine quanto più kirbiane possibili, di decine e decine di vecchi compagni di lettura.
Dietro cover dichiaratemente ispirate alle pose inventate del maestro newyorkese e agli scenari tragici che i nostri eroi avrebbero dovuto affrontare, gli autori che hanno messo mano a questo lavoro collettivo sono spesso riusciti – non sempre in ogni caso – a rendere alla perfezione le massicce anatomie e i tipici volti realizzati dal King, talvolta magistralmente aiutati da inchiostratori dalla pluridecennale esperienza, formatasi sulle matite di Kirby stesso (è il caso di Joe Sinnott).
Da un punto di vista grafico l’effetto è ben riuscito, ma vale la pena accennare che sin dagli esordi un discreto quantitativo di stilemi grafici di Kirby sono stati – e sono tuttora – parte integrante della poetica artistica (che il termine non sembri esagerato) di Erik Larsen. Non vi spaventino queste parole: per un lettore non abituato a tizi in mutande (rigorosamente sopra i pantaloni) che volano e che ritornano in vita nonostante siano ciclicamente uccisi probabilmente parlare di poetica artistica dello “smash” e del “bang” può essere eccessivo.
Ma è giusto dire che, seppur come ambito di purissimo entertainment, con qualche scivolata nel “sociale” (esempio banale: accenni alla piaga della droga già sui numeri 96/98 di Amazing Spider-Man) e qualche cavalcata nell’analisi seria e intelligente del fenomeno supereroi e vigilanti (lo stracitato Dark Knight Returns andrà bene come esempio sommo), il fumetto supereroistico, oltre ad avere avuto il merito di rendere popolare il medium “fumetto”, ha dei suoi criteri grafici di riferimento e una lunga serie di leggi non scritte da rispettare.
E tali criteri e leggi non scritte sono declinate alla perfezione nei primi numeri della serie The Fantastic Four; ed è quasi una magia, quella presente nelle prime 102 storie, che ritroviamo presente anche in questa miniserie. E’ innegabile.
E poco importa se qualche bimbo spocchioso storca il naso aspettandosi effetti speciali di colorazione e anatomie ipercinetiche: se non era per Jack, Stan, Sue, Reed, Ben e Johnny difficilmente ora avrebbe potuto avere fra le mani il suo “Ultimate Wolverine”.
In calce a questa recensione pubblichiamo le cortesi risposte alle domande inviate a Erik Larsen in merito alla miniserie di cui abbiamo parlato…
INTERVISTA A ERIK LARSEN
Potresti spiegarci brevemente in che modo i Fantastici Quattro di Kirby/Lee ti hanno colpito quando li hai letti per la prima volta?
Adoro i Fantastici Quattro di Lee/Kirby. Ho sempre desiderato poterli leggere quando sono usciti per la prima volta ma ero troppo piccolo. Li ho letti sempre in modo frammentario attraverso varie ristampe e alla fine sono riuscito a recuperare i numeri arretrati in modo da ampliare la mia collezione. Penso sia stata una serie sensazionale, originale e divertente.
Graphic journalism, autobiografia, fumetti per lettori maturi anziché tutte queste “nuove” mode sul divertimento e i supereroi sono le tue letture preferite. Perché?
Visivamente, le trovo molto più stimolanti ma leggo molte cose e solo perché non sono io a crearle, non vuol dire che non mi piacciano. Anzi. Hai presente quei film fatti al computer come Polar Express dove tutti cercano di essere reali e invece fanno accapponare la pelle, oppure quei film in “clay animation” dove i personaggi cercano di assomigliare il più possibile alla realtà? Mi riferisco a quelli e credo che queste forme d’arte perdano il proprio potenziale. Poi guardo un film come Gli Incredibili oppure Wallace e Gromit e penso, be’, così va meglio. I fumetti possono essere davvero fantastici. Stan e Jack ci hanno dimostrato quanto fantastici possano essere ma troppi cercano di assomigliare alla realtà e a me danno l’impressione di essere alquanto inanimati. Posso vedere la realtà fuori dalla mia finestra e penso che per tante storie ci sarebbero altre forme narrative che hanno la stessa funzione del fumetto. Ma nessuno ha mai fatto un film o un cartone animato su Jack Kirby che si avvicini alla bellezza dei fumetti di Jack Kirby. Con questo non voglio dire che non abbiano fatto un bel lavoro, ci saranno sempre delle eccezioni mozzafiato tanto da rendere il discorso ridicolo, tutto qui. A dire il vero trovo che abbiamo raggiunto il limite con tutti questi libri sui supereroi. Non serve vedere come è cucita la tuta di Capitan America e ogni singolo anello della cotta di maglia. A un certo punto il troppo stroppia e fa distrarre. Ma adesso me ne sto andando per la tangente. Stan e Jack sono stati molto bravi.
Hai avuto la possibilità di “rifare” (in questa miniserie) i disegni dei Fantastici Quattro in stile Kirby. Ho sempre notato in alcune delle tue “splash page” e action drawings qualche “richiamo” all’arte di Kirby. È stato facile per te realizzare questi fumetti?
Ne ho buttato giù gran parte quando me la sono sentita – non potevo continuare a disegnare come Jack rimanendo su quel modello. Ricordo di aver fatto meglio da ragazzino. Le persone che hanno seguito i miei layout in certi casi sono arrivati a copiare spudoratamente Kirby, ma non era l’intenzione originale. Stavano cercando di creare un nuovo fumetto di Lee e Kirby e credo, in molti sensi, che non ci siamo affatto riusciti.
E per quanto riguarda i “dialoghi” di Lee?
Penso che ci siamo avvicinati un po’ di più a questo aspetto – non è certo la voce di Stan e comunque neanche il risultato di Stan assomiglia a quello dello Stan di una volta. È stato un omaggio ma anche una grande fatica e spero che ci siamo riusciti, in realtà penso di no. È stato un vero sforzo e anche un gran divertimento per molti aspetti ma niente è all’altezza di un vero fumetto dei Fantastici Quattro di Stan e Jack. Erano loro quelli bravi, noi siamo solo pallide imitazioni.
Intervista tradotta da Anna Cascone: it.linkedin.com/pub/anna-cascone/17/b3b/465
Qui il testo originale: www.lospaziobianco.it/36993-intervista-erik-larsen
Abbiamo parlato di:
Fantastici Quattro: il fumetto più straordinario del mondo!
Panini Comics – Novembre 2011
288 pagine, brossurato, colori – 22,00€
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