O Captain! My Captain! Con Marco Santucci alla scoperta del nuovo Cap America

Autodidatta, toscano, 36 anni, hai messo matita su Tex, Spider-Man e Capitan America. Iniziamo dalla fine. Ci parli delle soddisfazioni professionali che già hai avuto,  seppur ancora giovane?
A questi aggiungerei anche Mister No e X-Factor, magari serie minori ma che mi hanno comunque dato grandi soddisfazioni. Detto questo, non posso che essere soddisfatto del mio curriculum. Ognuno di questi personaggi è stato legato a momenti della mia vita ben precisi e si è rivelato determinante per la mia formazione artistica e tecnica, tutt’ora in piena evoluzione. Se dovessi etichettare cosa hanno rappresentato ognuno dei tre personaggi citati nella domanda direi che: Tex è stata la prova più dura ma anche più formativa dal punto di vista professionale. Spider-man il sogno di una vita che si avvera, una delle mie più grandi soddisfazioni,  fino a questo  momento. Capitan America una piacevole riscoperta di un personaggio di cui non sono mai stato un grandissimo fan… fino a che non ci ho lavorato sopra con i testi del mitico Roger Stern!

Il tuo stile, i tuoi inizi e le tue passioni fumettistiche spostano però il target dei tuoi lavori indubbiamente verso il genere supereroistico. Ti lasciamo un po’ di spazio per raccontarci del tuo debutto “Usa” su Spider-Man prima di parlare di Capitan America…
Come già ho detto, Spidey è sempre stato il mio supereroe preferito e quando, incredibilmente, ci ho lavorato sopra è stato davvero grandioso. Purtroppo, la prima storia che ho realizzato per la Marvel, anche se legata alla serie del tessiragnatele, non aveva lui come protagonista ma bensì Jackpot. Spidey in quel momento era impegnato altrove a causa di Secret Invasion e a me è stato proposto di disegnare una miniserie di tre numeri dove si mostrava cosa accadeva ai comprimari di Spider-Man durante l’invasione Skrull a New York. Inutile dire che  mi sono divertito comunque moltissimo. Non avevo mai disegnato così tante pagine di azione continuativa nella mia vita! Un vero sfogo! Anche se devo dire che alla fine quasi anelavo un attimo di pausa da tutto quel dinamismo!
Dopo un bel pò di tempo ho avuto invece la fortuna di disegnare un altro tie-in di un altro maxi evento che sta iniziando proprio in questi mesi anche in Italia: Siege.
Tom Brennan mi chiese di sospendere momentaneamente Capitan America per dedicarmi ad un altro progetto. Io inizialmente risposi che avrei preferito finire Cap, anche perchè dovevo completare contemporaneamente una storia di Dampyr per la Sergio Bonelli Editore in quel periodo. Quando mi disse che era Spidey… beh non potevo rifiutare! E questa volta era Spidey davvero, contro la sua storica nemesi per giunta: Venom! Insieme al mio assistente alle chine Patrick Piazzalunga, abbiamo lavorato con grandissimo piacere a quelle 22 pagine. Alla fine è uno degli albi di cui vado più orgoglioso. A proposito: verrà pubblicato in Italia a Gennaio!

Hai mai letto qualcosa del ciclo iniziale Simon / Kirby? A prescindere dalla lettura, in ogni caso… più timore reverenziale o orgoglio di fronte a una chiamata Usa per disegnare Capitan America? Come sei stato contattato, invece, per questo lavoro?
Si, forse quando ero piccolo. Ho ancora qualche flash di quelle letture. Nonostante non sia un grande fan dello stile di Jack Kirby è innegabile che è stato un autore incredibilmente rivoluzionario. Per quanto riguarda la chiamata direi che la sensazione che provo è sicuramente quella dell’orgoglio. Il timore reverenziale cerco di lasciarlo fuori dalla porta, di solito. Le volte che l’ho provato ho fatto un sacco di fatica a entrare nella tipologia di lavoro adatta a quel dato personaggio e di conseguenza non sono stato poi contento del risultato al 100%.
Quello che faccio, invece, è cercare di affrontare ogni lavoro con il massimo dell’entusiasmo. In questo modo ho la sicurezza di aver dato il mio meglio, di aver fatto il possibile su quel dato progetto e quindi sono in pace con me stesso.

Esiste una evidente volontà editoriale Marvel di riportare Cap al centro dell’Universo Marvel (cosa che è stata fatta soprattutto aumentando la qualità degli autori… leggasi Brubaker ai testi); dopo questa full immersion nel personaggio, che pensiero ti sei fatto di Cap (anche se dietro la maschera hai trovato Bucky)?
Sicuramente alla Marvel stanno cercando  di rinnovare il personaggio, scavando più nell’uomo piuttosto che ne simbolo che Cap rappresenta per l’America. Il soldato d’inverno che diventa il nuovo Cap ne è un esempio ancora più evidente: Bucky è veramente pieno di dubbi sul proprio ruolo, il timore di non essere all’altezza del suo maestro e predecessore è evidente in ogni pagina della miniserie che ho disegnato. Questo contribuisce a rendere il personaggio più umano, meno mito e, personalmente, più simpatico. I personaggi che sanno sempre cosa fare, che sono troppo sicuri di se non mi hanno mai entusiasmato infondo.


La miniserie di Capitan America ti vede disegnatore e inchiostratore; su Tex realizzavi matite molto dettagliate (con un trattamento al computer potevano diventare chine…) per le chine di Bianchini. Cosa inusuale in Italia. In Usa ora realizzi anche le chine. Cosa inusuale in Usa. Ci parleresti del tuo rapporto con matita e pennello?

Devo dire che la matita è sicuramente la fase che mi ha sempre più interessato in questo lavoro. È il momento in cui  prende forma il vero e proprio disegno, completo di ombre e sfumature. Questo naturalmente per me… ho bisogno di vedere il disegno molto rifinito per essere soddisfatto. Naturalmente lavorare così diventa una necessità se ti capita di essere inchiostrato da un altro e vuoi che il risultato finale vada il meno possibile lontano da quello che vorresti!  Questo è quello che ho fatto per un bel po’ di anni, forse troppi.  Poi, con il tempo, ho iniziato a sviluppare sempre più un idea di come avrebbero dovuto risultare le mie matite ripassate a china e ho preferito prendere in mano anche quella fase così da essere soddisfatto al 100% del risultato finale.
A questo punto devo dire però che ho avuto la fortuna di entrare in contatto con un mio ex-studente, Patrick Piazzalunga, che proprio nel periodo in cui ero tornato a lavorare da solo era in cerca di lavoro. Ho iniziato a farlo provare sulle mie matite, indirizzandolo verso lo stile che stavo facendo sempre più mio e alla fine ci siamo ritrovati a condividere la fase delle chine. Nel senso che, come assistente, Patrick fa una parte del lavoro a china e io il rimanente. Il tutto si fonde in un lavoro finale che diventa omogeneo (o almeno spero sia questo il risultato). Detto questo, devo dire che la fase del ripasso a china è divenuta con il tempo sempre più interessante, al punto che, molte volte, ci sono alcune parti del lavoro che abbozzo solamente a matita e disegno nella versione definitiva direttamente a china. Facendo anche questa fase del lavoro è divenuto davvero piacevole vedere come il grigio della grafite, divenendo nero pieno, acquisti una forza incredibile!

Hai avuto modo di studiare la grafica (quasi fotografica) degli ultimi cicli di Capitan America? Credo che il tuo stile sia decisamente assolutamente in linea…
Sì, naturalmente ho osservato il lavoro degli altri artists che hanno lavorato su Cap. Fra tutti devo dire che Jackson Guice e Steve Epting sono quelli che ho preferito. Detto questo, colui a cui devo il mio reale interessamento a Capitan America è assolutamente il grande Bryan Hitch. Con Ultimates ha infuso nuova linfa grafica nel modo di rappresentarlo. Fantastico!

La griglia supereroistica (seppur indicata con quantità e progressione delle vignette) è chiaramente libera rispetto a quella bonelliana. Quanto ti piace questa possibilità di variare posizione e dimensioni delle immagini? Quanto libera la tua mano e il tuo occhio?
Non credo ci siano parole per spiegarlo… ma credo che mi piaccia da tanto… a un casino!! La possibilità di variare la griglia mi dà sempre la possibilità di fare le inquadrature esattamente come le ho in mente, senza limiti. Detto questo, ringrazio però la griglia bonelliana che mi ha insegnato comunque moltissimo, soprattutto a tenere in primo piano il racconto, senza inutili virtuosismi grafici che a volte fanno strafare noi disegnatori.

Da diverse cose (dalle tue matite, dal fatto che sei essenzialmente un autodidatta, e da altre cose) penso di capire che sei un vero appassionato di disegno (correggimi se sbaglio); ovvero ami disegnare, realizzare schizzi, dettagli, insomma un autore appassionato. La somma di questa passione a quella per i supereroi sta incanalando la tua carriera verso le matite per una Major americana o resti sempre aperto ad altri contesti fumettistici?
Mi piace raccontare, soprattutto. Il disegno rifinito è una conseguenza dovuta al fatto che ho bisogno di vedere raccontata la storia nel modo più realistico e cinematografico possibile (anche se inevitabilmente deformato dal mio stile). Detto questo, sono apertissimo a qualsiasi contesto. Mi piace sentirmi libero. Per me è una priorità senza la quale non potrei fare questo lavoro. Mi è capitato addirittura di rinunciare anche a contesti economicamente convenienti ma dove non mi sentivo a mio agio, senza nessun ripensamento. E a testimonianza del mio desiderio di libertà e varietà, dopo Italia ed America, si è presentata l’opportunità di lavorare per la Francia!

Dalle ultime prove (compresa quella su Cap) ma in generale dal tuo percorso si evincono le tue preferenze stilistiche (che, guarda caso, sono molto in linea con quelle della serie regolare di Cap) e gli autori che hai seguito. Potresti darci i tuoi punti di riferimento attuali e, per ognuno, la peculiarità che ammiri maggiormente?
Beh,  gli autori che ammiro sono molti ma proverò a fare un sunto veloce.
Fabio Civitelli: il miglior maestro che potessi avere. Mi ha insegnato tantissimo sia dal punto di vista tecnico che stilistico… e soprattutto mi ha trasmesso la sua grande passione per questo meraviglioso lavoro.
Claudio Villa: in assoluto uno dei più bravi disegnatori italiani. Realistico, tecnicamente ineccepibile, classico e moderno al tempo stesso.
Claudio Castellini: purtroppo ci sono poche cose sue, in giro… ma ho imparato moltissimo dal suo modo di riprendere i grandi autori classici del fumetto americano.
John Buscema e Neal Adams: ho avuto la fortuna di incontrarli entrambi ( a John ho pure avuto la possibilità di mostrare il mio lavoro, con grande emozione!). Credo siano stati le colonne portanti del fumetto americano supereroistico e non, dove tecnica e impatto visivo si fondono per dar vita a tavole incredibili! Anatomie tecnicamente corrette e dinamicissime. Chiaroscuri incredibili.
Alan Davis: grande maestro che ha preso l’esperienza dei due sopra citati (soprattutto Adams) e le ha trasformate in qualche cosa di nuovo. Le sue pose  ed inquadrature sono una continua fonte di ispirazione per me. Le sue donnine sono insuperabili!
Bryan Hitch: colui che ha creato i movie-comics. Leggi Ultimates e ti sembra di vedere un film. La mia ammirazione per il suo lavoro va oltre l’aspetto grafico… riguarda soprattutto quello narrativo, così, appunto, cinematografico. Essendo io un appassionato di cinema è inevitabile che ami il suo stile!

 

Riferimenti:
www.marcosantucciart.com

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