Neal Adams – L’Arte

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Qualsiasi splash page di Neal Adams è una manifestazione di potenza, di sintesi narrativa e di vigoroso marketing come mai ne sono esistite. Eppure non è da lì che si può partire per spiegare cosa significhi, ogni volta, scrivere le nove lettere che compongono il suo nome.
No.
Basta prendere Green Lantern vol. 2 #86. Non serve dire quanto questo fumetto abbia cambiato le regole del gioco del fumetto americano a livello di contenuti: droga, tematiche sull’integrazione affrontate in maniera finalmente coraggiosa…

Ma a pagina 17 c’è tutto ciò che Neal Adams è: nove vignette su tre righe e tre colonne, due blocchi simmetrici e asimmetria in ultima riga, per ospitare un’unica didascalia.

 

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È la scena della prima notte di Roy Harper, Speedy, senza farsi di eroina. È il 1971. Quest’uomo disegna una crisi d’astinenza in un fumetto per ragazzini. Nove vignette per descrivere cosa significhi vivere quei momenti e vivere insieme a persone in quei momenti. Nove vignette in cui non viene persa nemmeno una stilla del dolore della realtà.

Perché è questo Neal Adams.
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È la realtà.

Neal Adams è stato in grado di portare il mondo della fiction ad un livello ancora più vicino del normale. Partendo dai suoi lavori più maturi, come Deadman, arrivando fino all’ultimo Batman: Odyssey, non esiste una singola pagina in cui Adams abbia sbagliato qualcosa.

Perché, ammesso che fosse sbagliato, è diventato canone. Nessun altro è riuscito a cambiare la storia del metodo compositivo come lui. Nemmeno Kirby. Poiché l’immaginario di Kirby esiste solo nella testa del Re, ma l’immaginario di Neal è il nostro immaginario. Avendone le abilità, tutti disegneremmo quello che Neal ha disegnato e continua a disegnare.

Sin da quel Strange Adventures #205 del 1967, Neal Adams ha disegnato i supereroi non solo come lui aveva in testa, ma come li avevamo in testa noi. Ha disegnato uomini con una calzamaglia.

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Né più, né meno. E tuttora anche i maestri chinano la testa e ripetono la sua lezione. Fare un elenco sarebbe riduttivo: non c’è un solo disegnatore, in questo mondo, che non abbia passato in rassegna ogni vignetta del lavoro di Adams.

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Va di moda dire che il fumettista newyorkese rappresenta in Dc quello che James Steranko avrebbe rappresentato in Marvel. Non esattamente.
Steranko è stato uno degli innovatori del linguaggio espressivo, rubando dall’espressionismo e dalla pop art, e ha fatto quei passi in più che, dopo Kirby, pochi sono riusciti a fare. Ma Steranko, quando chiudeva gli occhi, aveva nella mente il supereroe adamsiano. E anche in Marvel non hanno potuto fare a meno di adattarsi a quel suo modo di disegnare: i Fantastici Quattro di John Byrne sono figli suoi. Adams, poi, nel corso del tempo, saprà integrare alcuni segni di Byrne, dimostrando la sua capacità di evolversi prendendo anche da chi a lui si è ispirato. Un po’ come quello che, nella musica, è accaduto ai King Crimson: pionieri in certe sonorità, riprese poi da Nine Inch Nails e Tool, poi scaltri a raccogliere le evoluzioni sonore dei loro ‘figlioccì per riadattarle al loro modo. Ed ecco che allora Adams diviene più morbido col passare del tempo, forse addirittura meno tenebroso.

Sugli inchiostri è particolare fare una considerazione: come Kirby deve la sua grandezza anche al lavoro fatto prima da Joe Sinnott in Marvel e poi da Mike Royer in Dc, Adams deve molta fortuna alla compattezza e al grande lavoro di Dick Giordano, spesso suo compagno d’avventura nelle run più riuscite. Con Giordano stabilisce un sottile confine tra stravolgimento del complesso artistico e appiattimento.
Ciò che manca alle matite di Adams, che idealmente funzionano anche da sole, è Giordano a portarlo. Profondità. Realtà.
Il disegno di Adams è talmente dinamico che il compianto Dick può concentrarsi sulla definizione pura e sulla capacità di interpretare lo stato d’animo dei personaggi con i suoi tocchi scuri, che Adams di volta in volta esprime su indicazioni degli scrittori con cui lavora.

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(un dipinto di Neal Adams appeso alle pareti del suo studio)

tumblr_mdtt9hyyuc1rr5021o1_500Adams ha fissato canoni che, a parte l’ubriacatura da Liefeld, quando per cinque anni il doping è entrato anche nei disegni a fumetti, continuano ad essere considerati la base e non solo della produzione supereoistica.

Solo ora si assiste ad una graduale contaminazione dei maestri mangaka dell’est, ma si tratta di una reazione diametralmente opposta alla lezione dell’artista newyorkese, che ha introdotto una dimensione ‘facilé di realismo nel disegno che per primo dovrebbe evadere dal realismo.

“Facile” non è usato a caso: non c’è pesantezza nelle sue linee, non ci si stanca a guardare quanto propone. Il segno di Adams, man mano anticipa quello che qualsiasi lettore si immaginerebbe vedere, ad una prima occhiata nella maniera esatta in cui un lettore s’aspetta. Per poi scoprire con quali piccoli trucchi è riuscito a ridisegnare ciò che il lettore, in quel momento, anche se ci ha pensato fino ad un istante prima, scopre nuovamente.
Non esiste banalità nelle visioni di Adams. Esiste semplicità. Non c’è scontatezza, ma costante novità di qualcosa che rimane comunque alla portata di chiunque legga. Ci potranno essere passi avanti rispetto all’impaginazione e alla composizione (J.H. Williams III) e alla dinamica, con una riscoperta delle prospettive kirbyane (Frank Quitely), ma alla fine si continuerà a guardare, con timore e riverenza, a Neal Adams. Sempre.

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(una tavola originale di Batman: Odyssey di Neal Adams appesa alle pareti del suo studio)

tumblr_mdtt9hyyuc1rr5021o2_1280Poiché anche Neal, a suo tempo, sporcò il disegno come Joe Kubert. E introdusse la città e l’architettura nelle sue storie come personaggio in causa, ancor prima di Frank Miller e Dean Motter, ovviamente seguendo la lezione di Will Eisner. Coraggioso, fa respirare la città, riportando il supereroe in terra. Per questo si troverà bene su Batman, dove potrà giocare nella stessa maniera in cui Miller farà con Daredevil in Marvel.
E, a ben pensarci, al di là del tratto marcatamente più tagliente, quanto paga dazio Klaus Janson a Dick Giordano? Chi negli anni ’90 ha saputo raccogliere la sfida di Adams venendo incontro al gusto “pompato” di taglio Image è stato Claudio Castellini, uno dei primi italiani assieme a Pino Rinaldi a lasciarsi andare alla fascinazione del maestro americano.

Adams innova in pochi anni il concetto di utilizzo della vignetta, rompendo le ingabbiature delle cornici senza farlo sembrare forzato, ricavando nuovo spazio vitale per il disegno. Sconfina nello spazio bianco, inizialmente, poi sceglie di andare oltre, trasformando prima gli ambienti e le architetture e poi i personaggi stessi in vignette nella vignetta. Della serie: “Perché devo sprecare litri e litri di inchiostro per il nero del mantello di Batman, quando posso disegnarci dentro?”.
E dunque le digressioni, la dinamicità dello storytelling sono per lo più confinate nel quadrangolo narrativo, ma vivono di vita propria rispetto ad esso, seguendo schemi solo apparentemente asimmetrici, quando in realtà tutta la produzione di Adams è segnata da una linearità coerentissima, anche se in costante divenire. Un equilibrio nella composizione che mantiene ancor di più legati i suoi figurini perfetti al modo di pensare semplice del lettore medio.

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