FF Celebration: Le diverse facce della famiglia surrogato della geek nation

Sicuramente il mio momento preferito dei “Fantastici Quattro” è nell’Annual n°4 del 1966, quando Reed ricorda a Ben la volta in cui, durante la  II Guerra Mondiale, vide la Torcia Umana originale, l’androide, e ricorda: “ Era stupefacente! Sembrava  che non ci fosse niente che non potesse fare con quel corpo fiammeggiante! Ma circolavano delle voci che non fosse veramente… umano!
Al che Ben risponde “Oggigiorno, Chi lo è??

McDuffie/Pelletier

E’ una tematica “usa e getta” con implicazioni profonde – si riferisce superficialmente alla trasformazione bizzarra del gruppo dopo l’esposizione alle radiazioni cosmiche, ma  parla anche della loro valenza come famiglia simbolica moderna.

Gli stati estremi dell’essere e i fragili affetti degli F4 hanno costituito una monumentale immagine “specchio” dell’emergere di disfunzioni in un dibattito aperto nell’era della controcultura; i F4 non hanno solo colpito in profondità  incarnando il fondamento della connessione umana ma riflettendo le tensioni sviluppate in quella relazione all’interno di un contesto fantasy dove era possibile discutere e in un modello immaginario dove si poteva farlo funzionare serenamente.

I Fantastici Quattro hanno popolato una  iper-realtà che ha proiettato la famiglia comune in un avvenire incerto – e ha proiettato i clan disadattati e “le famiglie” improvvisate di  fanboys e delle comunità corrispondenti come futura (famiglia) media. I Fantastici Quattro esistono non per “combattere il male” ma per affrontare l’ignoto – sono dei ricercatori  e sono una potente e persistente rappresentazione del vincolo umano contemporaneo.

Per qualche tempo è esistita l’idea, più in uno spazio congetturale che nella pratica – la linea (narrativa) principale del fumetto Fantastico Quattro ha languito per decenni  e si è impantanata in una serie di concept, seminati dai creatori della serie Lee & Kirby e dai loro eredi immediati Roy Thomas e John Buscema, oppure snaturando al tal punto la formula da farle perdere forma o scopo.

Millar/Hitch

Fan e critici wannabe non saranno d’accordo su quando sia ripreso lo slancio in avanti, tuttavia per me è stato quando l’inventiva immediatezza dal sapore classico del fumetto è è stata ripristinata da Dwayne McDuffie & Paul Pelletier nel 2007.

Fu un anno propedeutico a preparare il campo per il duo stellare Mark Millar & Bryan Hitch e divenne chiaro nel tempo che quella verosimiglianza cinematografica di Millar & Hitch era il primo fondamentale ripensamento del concept dai tempi di Lee & Kirby stessi, con l’umanistica avventurosa space opera di McDuffie & Pelletier “Cosa mai è accaduto alla più grande rivista a fumetti del mondo?” a costituire   una sorta di riassunto che incarnava e incorporava  l’essenza di ciò che il fumetto era nato per essere.

Da Millar & Hitch in poi, le frontiere inedite e il potenziale classico si sono sviluppate con  la pionieristica revisione del franchise “Fantastici Quattro” operata da Jonathan Hickman che ha sempre esasperato la configurazione plausibile della storyline facendola evolvere esponenzialmente nel più aperto sviluppo “FF” – “Fondazione Futuro” – non una famiglia  (post) nucleare ma una agenzia professionale, impegnata convocare i popoli del mondo (e gli altri esseri senzienti)   per scongiurare una estinzione auto-indotta.

Ma prima che l’evoluzione fosse importata del tutto, lo slancio  dei Fantastici Quattro è stato riservato per “universi” laterali per cui il serial principale “mainstream” poteva restare fermo ma l’esperimento  continuasse a progredire sottotraccia.

Fondazione Futuro

Per quanto esplorative possano essere queste collane secondarie, mettono in evidenza l’elemento duraturo degli FQ (molto di più, forse, perché si oppongono alle divergenze derivanti dalle principali e tradizionali formule narrative). Fantastic Four: 1 2 3 4 (2001-02) di Grant Morrison (di cui parliamo qui: www.lospaziobianco.it/38028-due-visionari-fantastici-quattro-grant-morrison-jae-lee), una miniserie inquietante che ha costituito una ventata d’aria fresca per l’etichetta dark Marvel Knights, indica nell’elasticità dei Fantastici Quattro il suo argomento principale, in un vero e proprio thriller psicologico dove la loro nemesi Dottor Destino usa il piano mentale per distruggere la realtà degli FQ allo scopo di annientare le loro vittorie e assumere l’autorità sul loro antagonismo per ricostruire il mondo. Attraverso l’arte viscida e ombrosa del maestro del macabro Jae Lee, la serie esamina l’essenza di ogni personaggio nelle circostanze più disorientanti — in una delle prime storie più belle che conferisce una qualche personalità vera alla spesso repressa Sue Storm, ripone fiducia in Alicia Masters e postula che il suo distante marito Reed rientri nello spettro dell’autismo geniale — aggiungendo ombre ai personaggi come li conosciamo e penetrazione psicologica che ce li fanno sembrare più familiari del solito.

A dire il vero l’essenza dei personaggi spesso si rispecchia nella struttura delle migliori oscillazioni sul tema della saga. La capacità di adattamento degli FQ – nella metamorfosi dei loro corpi e la natura investigativa tipica del loro stile di vita – è stata infusa nella serie offshoot dei Fantastici Cinque dal gusto fresco e neoclassico scritta da Tom DeFalco (1999 e 2007), che ha spostato personaggi e ambientazione in un territorio completamente sconosciuto restando tuttavia inguaribilmente ottimista.
Questa gusto ottimistico ha sfruttato la struttura del fumetto originale degli FQ dell’era Kennedy, mentre comunque si inoltrava nell’inusuale, realizzando una versione futuristica della squadra formata dal leader Johnny Storm, la sua moglie Skrull Lyja (!), un Franklin cresciuto, un Ben Grimm ancora vivo ma ricostruito sotto forma di cyborg e un’unità robotica mobile che si dice contenga il cervello di Reed Richard (in realtà, una specie di avatar multiversale per Reed mentre questi, cosa non rivelata al pubblico, risiede nella Zona Negativa cercando di far riprendere una comatosa Sue la quale ha perso i sensi mentre cercava di rattoppare psicocineticamente uno squarcio nella suddivisione tra la dimensione della paura e la nostra – la forma assunta dall’avatar di Reed era radicale e farsesca in contrapposizione a questa tragedia, il che era una risurrezione insolita per quell’odiato “H.E.R.B.I.E.” disegnato alla fine degli anni settanta per i cartoni alla TV, nonostante questo tema sia stato da allora inserito maliziosamente in molte letture ufficiali e supplementi con note integrative). Se il fumetto originale degli FQ era incentrato sul nucleo familiare, quello sugli F5 era incentrato sul modello generazionale, dove i personaggi della serie hanno età diverse ampliando l’arazzo come la tela di nuovi mondi e idee in cui si sarebbero imbattuti.

L’intento degli FF (o ciò che ne restava) era oscuro in Earth X (1999) di Alex Ross, Jim Krueger e John Paul Leon (ne abbiamo parlato qui: www.lospaziobianco.it/19582-Trilogia-Terra-X-Jim-Krueger-Alex-Ross) mentre invece è ottimistico nei Fantastici Cinque; qui, Johnny è morto da un pezzo (come abbiamo visto ultimamente nel “nostro” mondo Marvel), e Sue lo ha seguito (ma non prima di aver ucciso l’assassino di Johnny, il Dottor Destino), insieme a Reed che si aggirava furtivo intorno al vecchio castello di Destino nelle sue precedenti vesti, mentre cercava di occuparsi di una pestilenza mutante diffusa in tutto il mondo. Era in questa serie che abbiamo visto per la prima volta il tema dell’“elasticità del cervello” utilizzato subito dopo da Morrison in 1234 per potenziare in maniera repentina l’intelligenza in modo da aiutare Reed a risolvere un problema, ed è nella solitudine meditativa di Reed che capiamo le sue motivazioni e la sua visione del mondo: “Facciamo l’amore in modo triste e amareggiato, e facciamo la guerra in modo glorioso – è la nostra debolezza,” dice a Uatu a un certo punto, e conclude, quando viene rivelata la nostra aggressività come insita alla nostra specie – una supermutazione latente – dicendo che questa deriva dalla funzione dei nostri anticorpi senzienti per proteggere il nostro pianeta da una gestazione aliena invasiva,

“C’è qualcosa di sbagliato in noi, Uatu – non mi sono mai aspettato di scoprire cosa fosse.”

Reed ha sempre cercato di proteggere, e per quanto possibile di perfezionare la razza umana; lui stesso si riumanizza quando riesce a far riprendere Sue con mezzi magici sacrificando la struttura biologica del suo braccio, in una delle sequenze più spaventose, allucinanti e belle mai viste prima nei fumetti americani.

La famiglia è sacrificio, ma lega ancora di più nella perdita e la riscoperta. Tuttavia alcuni divari sono fondamentalmente irreparabili sin dall’inizio, e nella brillante miniserie Molecole instabili (2003) di James Sturm, la speranza e il fascino sull’origine spaziale degli FF hanno ceduto il passo al conformismo da guerra fredda che era già presente nella vita vera americana. Questo grigiore è stato evocato in maniera paradossale dall’arte antispettacolare di Guy Davis, nella mesta tragedia di uno spaccato di vita sul significato dei personaggi storici su cui si sono basati i Fantastici Quattro. Il fumetto deve molto a drammaturghi contemporanei come William Inge piuttosto che a Stan Lee e assomiglia più a una commedia deprimente di Dan Clowes che a una brillante avventura alternata alla realtà – con effetto devastante, mettendo in evidenza la sostanza interiore di una cerchia familiare frammentaria e di amici abbandonati dall’immaginazione. Sul versante opposto di quella realtà dura ma illuminante (i cui protagonisti non vediamo mai indossare le tute o acquisire poteri speciali) c’era la soap opera dei seducenti vicini fantascientifici – cos’è un nucleo familiare senza un contesto sociale? – del patinato dramma in costume Big Town (2000) di Steve Englehart e Mike McKone, una miniserie all’apparenza più piccola di quanto Englehart si aspettasse, ma più abbagliante per l’utopia hi-tech che Reed e Tony Stark riescono a realizzare, e la preoccupante imperfezione dalla quale comunque rifuggono.

Un lettore enciclopedico potrebbe notare il fatto che io abbia omesso l’elevato profilo, se mi è consentito questo aggettivo goffo, di Ultimate Fantastic Four (2004-09). Mi sarebbe piaciuto vedere la versione originale di questa incarnazione, subito eliminata dal fumetto  Ultimate Marvel Team-Up del 2001 di Brian Bendis ed elaborata dal produttore indipendente Jim Mahfood, di una famiglia coi superpoteri in costante terapia di gruppo e in panic-mode da fantascienza pulp. Per dare il titolo “Ultimate” a questa squadra, i personaggi sono stati trasformati dal redattore in un gruppo di veri genietti, in un gruppo di esperti che si comportano come dei brillanti adolescenti e giovani adulti (una raffigurazione del Baxter Building che, si noti bene, ha presagito il concetto di “Future Foundation” dell’attuale serie di Hickman). I protagonisti giovani e la presenza dei loro genitori e i carichi pendenti che fanno da sfondo distorcono la dinamica inerente alla serie e tutte le versioni derivate finora; c’era agitazione tra i membri del cast ma la struttura alla 90210 non ha conferito alcuna forma drammatica – l’allora caporedattore della Marvel Joe Quesada ha elogiato l’idea dei creatori del fumetto (è interessante che siano stati Bendis e il futuro salvatore degli FQ, Millar) che hanno elaborato l’essenza del fumetto, della “famiglia”, ma Ultimate FF era incentrato solo sui parenti – le famiglie possono essere biologiche o per scelta o adottive e avere un solo padre o due madri, ma tutte hanno figure più grandi o più piccole di età, come mero difetto dell’ordine sociale; Ultimate FF assomigliava a Mamma, ho perso l’aereo senza Joe Pesci e con quattro McCauley Culkins.

L’incarico del commediografo trapiantato Roberto Aguirre-Sacasa per la serie 4 della Marvel Knights [2004-06] non ha grande importanza, dal momento che è una serie mediocre di storie come scarto dall’albo ufficiale dei Fantastici Quattro; i fan si sono lamentati quando Aguirre-Sacasa ha soppiantato il team famoso composto da Mark Waid e Mike Wieringo.

Eliopoulos/Sumerak

La miniserie di 12 numeri, tributo alla serie per il suo quarantesimo anniversario, The World’s Greatest Comics Magazine [2001], (ne parleremo domani qui: www.lospaziobianco.it/36476-fantastici-fumetto-straordinario-mondo) consisteva in una incantevole ricreazione dell’albo al suo apice attraverso un elenco d’onore dei creatori di massima importanza [che culminava nella migliore sceneggiatura dello stesso Stan Lee], ma il suo intento era quello di reiterare il fascino e i risultati dei classici, e non di realizzare quelle promesse in futuro. A confronto, i numeri dello scrittore Fred Van Lente per l’altro fumetto “studio” sugli FQ, per la collana Marvel Adventures [2007], puntavano a lettori nuovi e più giovani, creando delle prospettive fresche e più ampie per le parti essenziali della serie, isolandola completamente dalla sua “continuità” combinatoria, come quei film sugli FQ che avrebbero dovuto girare. Van Lente ha scritto anche diverse miniserie per tutte le età, Power Pack [2007 e 2008], in cui il giovane Franklin Richards viene puntato dai riflettori come appartenente alla squadra dei bambini, accentuando un fascino insolito per il gergo del supereroe e stranamente accessibile alla struttura familiare degli FQ [emulato dalla stessa serie Power Pack], così come dimostra l’incantevole serie Franklin Richards di Chris Eliopoulos e Marc Sumerak [2005-oggi], un allegato tipo Harvey Comics del materiale originale che solo artisti di prim’ordine potevano tenere.

Esattamente nel mezzo della rinascita degli FQ ma inequivocabilmente lontano dal modo in cui il concetto può essere ampliato se ancorato all’enfasi originale, si colloca la miniserie  True Story (2008) di Paul Cornell, in cui l’essenza degli FQ come navigatori della conoscenza veniva incarnata sotto forma di avventura attraverso la quale si scopriva che la struttura narrativa era sotto attacco e la squadra doveva entrare nel flusso dell’immaginazione per salvare i capisaldi letterari che danno forma ai valori collettivi dell’umanità e al senso del possibile. Convertita in pura idea, e dalla forma malleabile, la squadra nell’ottica di Cornell era pronta per l’era di Hickman, la quale si concentrava intorno a molteplici identità possibili in tempi e circostanze diversi con un filo conduttore di integrità e una scelta ragionata.

È stata l’ottica di Hickman a cambiare nella serie la definizione di famiglia con un dato cast di personaggi in una famiglia come istituzione – annunciata dalla morte di Johnny Storm (ne parliamo qui www.lospaziobianco.it/37724-celebration-flame) e la persistenza dei suoi cari – e sarà attraverso le notizie che emergono da questo scritto (metà settembre 2011) e con un offshoot  in cui Johnny risuscita anzitempo che il marchio riconfigurerà di nuovo i Fantastici Quattro (in tempo per il suo cinquantesimo anniversario e il numero 600); è possibile che la frontiera inesplorata in cui si è addentrato Hickman e la sua Foundation possa trasformarsi in un altro percorso promettente distinto da quello che l’editore dichiara essere il suo canone principale. Ma quello degli FQ è un concetto le cui radici scalfiscono la superficie della formula commerciale (i quartier generali nei grattacieli e i viaggi verso terre esotiche appartengono più all’era pulp che al luogo comune dei supereroi), e le cui ramificazioni proliferano nello spazio infinito a una velocità impareggiabile (sintetizzando tutti i nuovi generi dell’avventura dinamica teorica). Nel fermento e nel firmamento dei precedenti metaeroi reietti della Marvel degli anni cinquanta, i Fantastici Quattro dureranno. Nessuno abbandona sul serio la propria famiglia.

 

Testo originale qui: lospaziobianco.com/260-ff-many-faces-geek-nation-surrogate-family

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