Ci chiamano «I Fantastici Quattro» per prenderci in giro, perché leggiamo un sacco di fumetti. In realtà non è che siamo proprio fantastici. Voglio dire, dipende dai punti di vista: la mamma mi dice sempre che sono bella. Comunque, siamo Susanna, che sarei io, Riccardo, Bruno e Giovanni. Per scherzare – anche se quegli scherzi fanno ridere soltanto loro – chiamano Riccardo «Mister Fantastic». Non è che abbia proprio qualcosa di fantastico – cioè, dipende dai punti di vista, per me per esempio sì, ma non ditelo a nessuno – ma lo chiamano così perché è alto alto e sembra che le sue braccia e le sue gambe si possano allungare. Poi è anche bravissimo a scuola, è il più bravo della classe. La maestra dice che è molto intelligente.
Poi c’è Giovanni, che è mio fratello. A lui dicono «Torcia Umana» perché è rosso rosso di capelli e ha un sacco di lentiggini, e poi perché si arrabbia da morire quando lo chiamano così e diventa tutto rosso pure in faccia.
Poi c’è Bruno, «la Cosa». A lui questo soprannome non piace per niente. Va bene, è molto grasso, il più grasso che ho mai visto, e di certo tutte quelle merendine e altre cose che mangia non lo aiutano a essere meno grasso, ma non è bello chiamare un bambino «la Cosa».
E per ultima ci sono io, Susanna. Mi chiamano «Donna Invisibile» perché sono timida e mi vergogno a parlare davanti a tutti. Me ne starei sempre in ultimo banco, con il cappuccio della felpa sulla testa. Se posso non parlo mai, ma la maestra dice che dovrei sforzarmi e che in compenso scrivo dei bei temi.
Beh, insomma, per farla breve noi «Fantastici Quattro» stiamo sempre insieme perché almeno nessuno ci prende in giro. Abbiamo una casetta sull’albero che ci siamo costruiti da soli nel giardino di Riccardo. L’altro giorno Lia, una bambina della nostra classe, piangeva e non voleva dire a nessuno perché. Visto che eravamo rimaste sole io e lei in intervallo, mi sono fatta coraggio e sono andata a chiederle che cosa avesse. Non me lo voleva dire, ma poi dopo un po’ che insistevo me l’ha detto.
Mentre tutti giocavano fuori lei era andata in sala medica perché era caduta in cortile. A un certo punto il dottor Vandomo è andato in magazzino a prendere l’acqua ossigenata che era finita e lei è rimasta lì. Poi, mentre aspettava il dottore, è arrivato un signore con una maschera di ferro tipo quella dei Tre Moschettieri che ha cominciato a visitare Lia sotto i vestiti. Voleva che se li togliesse tutti per visitarla meglio. Però Lia aveva paura del signore con la maschera che la toccava e ha iniziato a piangere e a urlare. Il signore con la maschera ha cercato di farla smettere, ma non ci riusciva, e allora se n’è andato dicendole di non raccontare niente a nessuno. Poi dopo un po’ è arrivato il dottor Vandomo che l’ha medicata e Lia è ritornata in classe.
Quando ho raccontato questa storia ai miei amici, Riccardo subito mi ha detto che secondo lui il dottor Vandomo e il signore con la maschera di ferro sono la stessa persona. In effetti anche a me sembrava un po’ strano che quando c’era uno non ci fosse l’altro e viceversa. Poi Giovanni voleva sapere che cosa fosse la maschera di ferro, dato che non siamo ai tempi dei Tre Moschettieri e non ci sono più i re, ma – come dice nostro padre – i cardinali purtroppo sì. Allora a Bruno è venuto in mente di aver visto vicino alla scuola alcuni operai che facevano dei lavori e uno di loro aveva una maschera che poteva sembrare di ferro. In realtà Bruno l’aveva già vista dove lavora suo papà, ma non si ricordava bene a cosa servisse, così ci ha detto che a cena gliel’avrebbe chiesto.
Il giorno dopo noi Fantastici Quattro e Lia nell’intervallo abbiamo attraversato tutto il cortile della scuola per arrivare vicino a dove fanno i lavori. Dall’altra parte del recinto abbiamo visto gli operai. Bruno ci ha indicato un signore con in faccia una maschera che poteva sembrare una maschera di ferro. In realtà suo papà gli aveva detto che quella maschera serve per ripararsi gli occhi dalla saldatrice, un attrezzo che si usa per appiccicare un pezzo di ferro a un altro. Lia si è messa di nuovo a piangere e ha detto che la maschera di ferro che aveva quel signore là era proprio come quella.
Quando Lia se n’è andata, Riccardo e Bruno hanno iniziato a prendere in giro Giovanni chiamandolo Pel di Carota, Rosso Malpelo e tutti questi nomignoli che di solito gli danno i nostri compagni di classe. All’inizio non capivo perché facessero così, ma poi Giovanni è diventato tutto rosso e si è buttato ringhiando contro Bruno. Allora Bruno si è spostato e nel frattempo gli ha dato una spinta, così Giovanni è caduto e si è sbucciato le mani e le ginocchia. A quel punto era tutto sanguinante e doveva andare in infermeria.
Giovanni si è arrabbiato con loro: ha detto che se volevano che andasse a vedere di persona se il dottor Vandomo fosse davvero cattivo bastava chiederglielo. Riccardo allora ha detto che non si può entrare in sala medica senza essere feriti: almeno adesso Giovanni potrà essere medicato e nel frattempo dare un’occhiata.
Solo che non è successo niente.
Il dottor Vandomo ha curato Giovanni senza fare niente di strano. Allora siamo entrati nella parte difficile del piano. Difficile per me, perché Lia è una bambina e anch’io sono una bambina e Riccardo, Bruno e Giovanni mi hanno detto che per provare a incastrare il dottor Vandomo dovevo andare io, ma che loro non avrebbero permesso che mi succedesse niente.
Quindi il giorno dopo, sempre nell’intervallo, io ho detto di avere mal di denti e sono andata in sala medica.
Mentre il dottor Vandomo cercava di vedere se avessi delle carie, Giovanni, Bruno e Riccardo sono andati nel magazzino, dove il direttore, le maestre e anche il dottor Vandomo tengono tutte le cose nuove per la scuola per quando finiscono quelle vecchie. Per esempio quando un gessetto si consuma allora vanno là a prendere i gessi nuovi.
Dicevo… mentre io ero là, loro tre hanno preso la chiave di nascosto alla maestra e una volta dentro – la chiave era durissima da far girare nella serratura – hanno cercato la maschera da saldatore, quella che sembra di ferro. Riccardo l’ha trovata e poi ha deciso di spostarla in un altro posto, ma non tanto lontano.
Intanto il dottore dopo un po’ non trovava nessuna carie e allora mi ha detto di aspettarlo lì sul lettino mentre lui andava un attimo in magazzino a prendere qualcosa per farsi luce perché non riusciva a guardarmi bene in bocca. Quando Riccardo, Giovanni e Bruno hanno visto il dottor Vandomo entrare erano nascosti dietro una pila di sedie. Il magazzino è buio anche quando si accende la sola lampadina che c’è. Il dottore cercava qualcosa ed è andato subito a vedere nel posto da dove Riccardo aveva tolto la maschera di ferro.
A quel punto Giovanni voleva uscire fuori dal nascondiglio e buttarglisi contro e prenderlo a pugni, ma gli altri due l’hanno fermato. Il dottore poi, guardandosi intorno, è riuscito a trovare la maschera. L’ha presa ed è uscito. Bruno, Riccardo e Giovanni si sono precipitati verso la porta e si sono accorti che Vandomo l’aveva chiusa a chiave. Fortuna che la chiave l’avevano anche loro: quella con cui erano entrati.
Cioè, fortuna mica tanto, perché dall’interno non si sa perché la chiave non girava bene, la serratura era ancora più dura che dall’esterno. Allora Bruno ha cercato di girare la chiave con tutte le sue forze, ma Riccardo ha visto che si stava piegando e lo ha fatto smettere. Ha cercato più in fretta che poteva di trovare qualcosa che potesse aiutarli a uscire e allora ha visto una cosa appoggiata in cima a uno scaffale: un barattolino di olio.
Intanto io stavo morendo di paura: in sala medica era entrato un uomo con la maschera da saldatore sulla faccia! Non si vedeva bene chi fosse, ma io ormai sapevo molte cose su quella faccenda, ero stata attenta e avevo visto che i vestiti di quel signore erano gli stessi del dottor Vandomo. E poi avevano anche lo stesso odore.
L’uomo con la maschera di ferro ha detto che era il sostituto del dottore e che doveva visitarmi bene dappertutto e che dovevo togliermi tutti i miei vestitini.
Io avevo tanta paura, ma invece che restare lì e raggomitolarmi in un angolo come avevo pensato all’inizio sono saltata giù dal lettino, dall’altra parte rispetto a quella dov’era il dottor Vandomo. Così lui era da una parte, io dall’altra e non riusciva a prendermi perché se lui si spostava di qua io andavo di là e viceversa.
Nel frattempo Riccardo, Bruno e Giovanni si erano accorti che non riuscivano ad arrivare al barattolo d’olio sullo scaffale. Giovanni aveva provato ad arrampicarsi sui ripiani, ma si era accorto che lo scaffale non era fissato al muro e che il suo peso avrebbe potuto far cadere tutto.
Quindi Bruno ha iniziato a spostare una scrivania e ci ha messo sopra una sedia e poi ha aiutato Riccardo a salirci sopra. Lui, in punta di piedi, alzando quelle sue braccia e mani e dita che sembrano allungabili alla fine è riuscito a raggiungere l’olio. Poi è sceso di corsa e ne ha versato un po’ sulla chiave e un po’ nella serratura, che alla fine è scattata.
Giovanni, Bruno e Riccardo hanno corso come tre matti nei corridoi della scuola per arrivare alla sala medica. La porta era chiusa a chiave dall’interno, allora Bruno ha preso la rincorsa e buttandocisi addosso l’ha aperta con una spallata fortissima. Dentro c’eravamo sempre io e il dottor Vandomo con la maschera addosso.
Riccardo ha tirato fuori la macchina fotografica che si era portato dietro fin dall’inizio e ha fatto un sacco di fotografie, una dopo l’altra, mentre il dottor Vandomo cercava di fermarlo. Però nel frattempo Giovanni era già andato a chiamare le maestre e i bidelli.
Non abbiamo più saputo niente del dottor Vandomo.
Si metteva quella maschera perché non voleva essere riconosciuto al cento per cento dalle bambine mentre faceva loro del male.
Quel giorno poi è arrivata la polizia e l’ha portato via.
Ci hanno lasciato tornare a casa prima.
Riccardo, Bruno, Giovanni e io ce ne siamo andati nella nostra casetta sull’albero a leggere un po’ di fumetti. Riccardo mi ha chiesto se il dottor Vandomo avesse fatto del male anche a me. Io gli ho detto di no – che era la verità – e gli ho dato un bacino sulla guancia.
A scuola hanno continuato a chiamarci «I Fantastici Quattro», ma da quel giorno ho capito che non era più una presa in giro.
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