Negli ultimi anni il mercato fumettistico statunitense dei cosiddetti “comic books” (albi spillati a colori di serie “ongoing”) ha attraversato notevoli difficoltà ed un costante e forte calo delle vendite. Nonostante i film di enorme successo con protagonisti i super eroi (ormai numerosissimi), l’interesse di chi ha visto al cinema le gesta di Spider-Man, Batman e soci non si è mai trasformato in un miglioramento dei numeri di vendita degli albi a fumetti degli stessi personaggi. Poco han fatto o han potuto fare le case editrici, a cominciare dalla maggiori, la Marvel e la DC. Uno dei tentativi è quello di periodicamente creare eventi che coinvolgono in maniera massiccia tutto il parco personaggi dell’editore (cross-over) o di effettuare i cosiddetti reboot ((Di reboot e operazioni simili ne abbiamo parlato qui: www.lospaziobianco.it/52919-cambia-perche-cambi-fumetti-reboot)) che azzerano o quasi le centinaia di numeri pregressi attirando “hopefully” nuovi lettori che possono iniziare a seguire una serie cominciata da 40 anni senza doversi preoccupare di recuperare il pregresso.
Altra soluzione per evitare il tracollo e le rapide chiusure (anche nel bel mezzo di una miniserie, succede ormai anche nelle “migliori famiglie”), oltre ad avere al lavoro sulle serie autori capaci, è quella di creare una omogeneità di testata che permetta a chi legge di avere, nel tempo, la possibilità di leggere trame di ampio respiro scritte e coordinate da uno (o pochi di più) autore e disegnate, appunto, in modo graficamente omogeneo ((Il caso del rilancio di Captain America, fondato su queste caratteristiche, è eclatante, ma anche i cicli di Daredevil di Bendis e Maleev… o altri mille esempi anche al di fuori delle Major… Spawn, Cerebrus…)).
La raccolta in volumi brossurati di cicli di storie (a quel punto quasi volumi autoconclusivi di lunghezza superiore alle 100 tavole) ne sancisce il successo e la definitiva affermazione anche in termini di vendita e presenza al di fuori delle fumetterie.
Questo lungo cappello è direttamente proporzionale alla quantità di riconoscimenti positivi di critica che ha avuto il fumetto che cercheremo di prendere in esame.
La serie Chew (o meglio, la maxiserie, visto che gli autori hanno da subito indicato che la stessa avrebbe avuto una fine), scritta da John Layman e disegnata da Rob Guillory viene edita dalla Image Comics e parte con l’idea di sviluppare un arco narrativo in attesa dei risultati di vendita. Risultati che non sono tardati ad arrivare; le ristampe son partite quasi subito ed il successo di pubblico e critica non ma mai messo in discussione la prosecuzione delle uscite mensili.Siamo ai giorni nostri, solo che l’influenza aviaria ha davvero causato milioni di morti nel mondo; il pollame, quindi, è diventato cibo vietato. Il protagonista della serie, Tony Chu, è un giovane agente della FDA ((Food and Drug Administration, l’ente statunitense che si occupa della salute dei cittadini attraverso il controllo dei prodotti alimentari e farmaceutici)) di Philadelphia che ha straordinari poteri: è cibopatico, ovvero riesce a “sentire” il passato di quel che mangia. Le sue avventure si snodano in un dedalo di agenzie governative e antigovernative, isole del Pacifico e mondi lontani, visite all’Area 51 e incontri con altri personaggi dai poteri legati al cibo ed all’assunzione dello stesso.
Dal debutto del giugno 2009 ad oggi sono usciti, in Usa, 31 numeri mensili. La serie, secondo quanto detto dagli autori, dovrebbe concludersi al numero 60 ma, riflessione personale, potrebbe continuare ancora. I volumi che raccolgono i numeri a gruppi di cinque sono sei e escono con cadenza quasi semestrale, coprendo già i numeri dall’1 al 30 (e vi sono anche due megaraccolte di 10 numeri ognuna).
I motivi del successo sono pochi e abbastanza facili da reperire e vanno rintracciati nelle due componenti principali che, incidentalmente, collaborano alla buona riuscita di un fumetto: i testi e il disegno.
Gli autori, all’epoca del debutto, provenivano da poche esperienze lavorative di rilievo; se lo scrittore John Layman aveva già lavorato per la Wildstorm come Editor e come scrittore per la Marvel, la Image ed altre case editrici, il disegnatore in pratica era alla sua prima seria esperienza professionale. E con una casa editrice molto in vista.
La scrittura della serie è molto professionale; i personaggi e l’ambientazione sono studiati al dettaglio. Da una premessa anche abbastanza banale l’idea di fondo è quella di creare suspance e attirare il lettore costruendo un intrigo internazionale che titilla la fantasia dei fan attingendo a piene mani alla filmografia/narrativa di genere (Men in Black dovrebbe suggerire qualcosa) così come alle nuove teorie complottistiche che così tanta fortuna hanno nel mondo di oggi 2.0.
A questo si aggiunge una strizzata d’occhio al mondo supereroistico, visto che comunque si gioca in casa Image, terra fertile per l’attecchimento di nuovi supereroi fin dalla nascita della casa editrice nel lontano 1992. Con la particolarità che la gran parte dei superpoteri presenti nella serie hanno strettamente a che fare con il cibo.
Gli albi sono facilmente raccoglibili in volumi perché gli autori hanno creato un qualcosa di molto simile ad una struttura per stagioni, come se il mensile fosse una serie televisiva.
Pertanto sia il lettore del mensile sia quello del volume che ne raccoglie 5 o più storie, vede le vicende raggiungere punti importanti di svolta come se si giungesse al finale di una stagione di telefilm.
E dai telefilm in un certo qual senso vengono anche alcune altre caratteristiche.
Una è la caratterizzazione (intesa come creazione di personaggi elevandone le caratteristiche all’ennesima potenza, quasi a livello di caricatura, di cartoon) dei protagonisti, che li rendono da subito perfettamente riconoscibili; non è difficile seguire il corso degli eventi e riprendere il filo del discorso anche leggendo una raccolta ogni sei mesi: è tutto così forzato e ben calibrato che chi legge si ricala immediatamente nelle vicende, riassaporando (in questo caso mai termine fu più adatto) il gusto della serie.
La seconda è la grande ironia che pervade tutta la vicenda. Oltre alla comicità di fondo che rende paradossali e accettabili anche gli episodi di violenza e le morti (vere o presunte) raccontate, c’è una volontà, nella costruzione di diverse sequenze di tavole, di portare il lettore verso una studiata gag, sovente in chiusura di albo mensile. Molte tavole, addirittura, hanno una struttura quasi da striscia comica, con un climax con battuta o gag muta nell’ultima vignetta. Gli stessi momenti d’amore (e i primi di innamoramento) del protagonista hanno un sottotesto ironico o una ilare rappresentazione “a occhi aperti” dei sogni del protagonista, che svaniscono poi nel ritorno alla realtà.
Questi piccoli esempi dovrebbero dare un’idea della scrittura della serie; va aggiunto che l’ideazione e la sceneggiatura sono opera sempre dello stesso autore, Layman, e il pieno controllo della gestione della serie da parte dell’autore si evidenzia nella assoluta omogeneità di tono, qualità di scrittura e andamento delle vicende.
Quel che sorprende e anche molto è, inoltre, la qualità grafica della serie. Rob Guillory parte inanellando una serie di albi decisamente di livello medio alto, considerando soprattutto che è praticamente al debutto. Sono tantissimi gli stratagemmi grafici utilizzati dall’autore nei primissimi albi; dalle texture alla costruzione sempre diversa della tavola con disposizione di vignette nei vari modi possibili (striscia lunga, vignette verticali, vignette senza contorno); dalla splash page (doppia) d’effetto alla ripetizione in sequenza della stessa vignetta per indicare un momento di stasi in un dialogo; dalla pagina senza margini alla tavola con dodici dico dodici vignette rettangolari tutte della stessa dimensione (Frank Miller o prima ancora Dave Gibbons in tal senso insegnano). Per glissare su un clamoroso pannello nei primissimi numeri frutto di un patchwork nel quale sono messi insieme centinaia di piccoli disegni a raffigurare le sensazione che il cibopatico protagonista riesce a sentire mangiando il cibo.
La sensazione, andando avanti con i numeri, è che il disegnatore, caratteristico per il suo tratto cartoonesco e per le espressioni esagerate dei suoi personaggi, abbia patito la frequenza mensile di uscita e che, pur realizzando un prodotto ben costruito e disegnato, non abbia più il tempo per dedicarsi alle tante soluzioni diverse adottate nei primissimi numeri.
In Italia gli albi di Chew sono pubblicati, dal 2010, dalla Bao Publishing; in volumi che ripropongono le “stagioni” così come editi in Usa, ci accompagnano da allora e son giunti all’uscita numero 5 (numero 25 della serie mensile); si tratta, come avrete intuito, di un prodotto che rappresenta in termini chiari e diretti ciò che il fumetto può regalare ad un lettore in cerca di entertainment puro.
Un obiettivo (che ci piace vedere, ad esempio, in albi come il SavageDragon, sempre della Image) che per molti può sembrare basso ma che viene raggiunto con grande abilità, competenza e non senza difficoltà ma che, soprattutto è quella con la quale i fumetti, negli Stati Uniti, avevano iniziato a diffondersi capillarmente nel secolo scorso, dando poi vita, in contemporanea con il cinema, un mercato nato praticamente dal nulla.
Questo è entertainment e basta e, francamente, spesso se ne sente una dannata necessità.
Link utili:
Sul canale Issuu dell’editore potete vedere l’anteprima del volume 1 e l’anteprima del volume 6
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