La copertina del volume dice già tutto. Al sole di Buenos Aires, dietro l’ombra delle foglie degli alberi che ingentiliscono i marciapiedi, il cappello di Carlos Gardel, elegante nel completo scuro e camicia bianca, spunta dalla porta d’ingresso di un palazzo della metropoli argentina. Quasi nascosto del tutto, ma capace di attirare l’attenzione e focalizzare lo sguardo, così come la sua voce ha ipnotizzato e ammaliato milioni di persone.
Non esiste argentino e uruguagio che non conosca il nome di Gardel; non è un’esagerazione, ma la pura verità. Oggi, a centoventi e passa anni dalla sua nascita, è considerato il simbolo e orgoglio della nazione argentina, indipendentemente da dove – resta infatti avvolto nel mistero – sia realmente nato.
Un mito, in estrema sintesi, se non fosse che questo termine viene fin troppo frequentemente utilizzato a sproposito. Chi non ne ha mai sentito parlare è vivamente sollecitato a raccogliere informazioni per capire di chi si stia parlando ((it.wikipedia.org/wiki/Carlos_Gardel)) ma soprattutto a farsi cullare dalla sua potente voce in una delle molte riproduzioni audio d’epoca gracchianti che si trovano facilmente on line e che potete ascoltare cliccando play nell’apposito riproduttore in questo stesso articolo.
Accennavamo che si tratta del cantor per eccellenza di Tango, insuperabile in termini di qualità e successo e amore di pubblico. Fu il primo a sdoganare il tango cantandolo in un teatro importante e a versificarlo in Lunfardo (un misto tra spagnolo, napoletano, genovese…); trasvolatore e colonizzatore, porta in giro nel mondo, anche fisicamente, la nuova melodia struggente basata su ritmi e cadenze antiche e una mezcla di Milonga criolla, Havanera, Tango spagnolo… Il Tango, come oggi lo conosciamo, o la filosofia del sentimento che taluni definiscono genere musicale e danza diventa fenomeno extra sudamericano con, e soprattutto grazie a, Gardel solo a cavallo degli anni fra il 1920 e il 1930.
E per i profani che pensano al Tango solo come “danza” è il caso di ricordare che, in Argentina, come se fosse un segno di devozione, la musica di Gardel, le canzoni cantate da Gardel, abitualmente non si ballano. Si ascoltano e basta, magari a occhi chiusi.
Nonostante queste premesse i polsi dello sceneggiatore Carlos Sampayo e del disegnatore José Muñoz non hanno tremato di fronte a un personaggio di tale importanza e hanno portato a termine un grande volume (per dimensioni e qualità) dal titolo semplice semplice: Gardel. L’edizione è in formato 29 x 21,5 e le pagine lisce non fanno altro che far risplendere le chine del disegnatore; la parte redazionale dettagliata e interessante, va letta prima del fumetto per assaporare l’aria fumosa e viziosa dei circoli in cui si ballava il Tango all’inizio del secolo scorso a Buenos Aires.
La biografia, anche quella realizzata a fumetti, è sempre un genere di difficile approccio: in bilico fra gli eccessi dell’agiografia acritica e della rancorosa stroncatura. Nel nostro caso gli autori si trovano a dover raccontare la breve vita di un uomo la cui qualità principale è realmente intraducibile nel medium fumetto. L’impossibilità di rendere in immagini e parole la magia del tango e l’arte musicale del Nostro spostano l’obiettivo del libro che si preoccupa quindi, incapace di tradurre la musica in fumetto, di raccontare la storia di un uomo, delle sue passioni e del momento storico in cui le vive.
La scelta narrativa dei coetanei autori s’indirizza verso alcuni episodi di vita di Gardel e cerca di dipingere ai nostri occhi l’affetto del suo mito sui contemporanei così come percepito oggi. Viene utilizzato l’espediente narrativo di sottoporre il cantante a una specie di processo mediatico, sulla scia degli innumerevoli talk show televisivi che si lanciano sempre più di frequente alla scoperta di misteri più o meno tali. Il tutto condito dalle vicende dell’ancora vivente Romualdo Merval, cantante coetaneo di Gardel e suo pseudo rivale (che ricorda la figura di Salieri descritta nel film Amadeus di Milos Forman).
La morbosità di questi inutili programmi viene messa alla berlina laddove ci si avvita in inutili discussioni sulla presunta o vera omosessualità del cantante (la qual cosa davvero interessa a nessuno), coperta da una “compagna” ufficiale (ma anche Rock Hudson era sposato per motivi di immagine…), o sull’attendibilità dell’incidente in cui trovò la morte o sull’accidentalità dello stesso. Il dibattito per il gusto del dibattito.
Muñoz e Sampayo ci fanno salire e scendere dalla giostra del tempo in continui sbalzi temporali fra flashback nella Buenos Aires degli inizi del secolo scorso e quella di oggi, allo stesso tempo assurdamente uguali e lontane fra loro.
Oltre le cialtronerie sopra accennate, per fortuna, il libro descrive anche la vita di Gardel; cosa non facile, come detto, visto che si tratta di mettere le mani su un personaggio che nei ricordi e nel cuore di una nazione è solo positività, musica, canto e poesia.
Dello stratagemma narrativo sul quale regge il volume abbiamo già parlato: di contorno lo sceneggiatore si sofferma su piccole vicende di vita vissuta, piccoli episodi che illuminano il lettore su come fosse Gardel ma anche e soprattutto su come venisse percepito dalla gente.
La conosciuta passione di Sampayo per la musica (è anche critico musicale) lo porta ancora una volta a narrare le vicende di un personaggio che ha fatto la storia della musica; in precedenza si era dedicato a Fats Waller, con disegni di Igort ((http://www.coconinopress.com/autori/igort/fats.htm)) e a Billie Holiday, sempre con disegni di Muñoz. La musica è anche chiave di lettura della sceneggiatura di questo volume, visto che una visione dall’alto delle cento e passa pagine ci permette di vedere il volume come una sapiente orchestrazione su più piani temporali scanditi spesso dai versi delle più celebri canzoni di Tango interpretate e sovente scritte da Carlito Gardel (e spesso con testi di autori di origine italiana). Il tutto reso attraverso la perfetta arte imperfetta di Muñoz, in un connubio conosciuto e apprezzato per una lunga serie di storie del loro personaggio noir Alex Sinner. Si staglia dalle pagine un bianco che acceca e che sa di calce e un nero che sporca e che sa di catrame. Grazie a questi due opposti strumenti vengono tirati fuori dal nulla le immagini e le profondità. Non servono linee, non serve contorno, il tratteggio è abolito del tutto; è l’alternanza di figure nere e bianche a dare la profondità di campo. L’impressione creata da una macchia nera tira fuori dal foglio persone, sfondi, oggetti. Talvolta un minimo di scenografia è data da texture di foglie e decorazioni, ma niente di più.
Le linee non sono mai nette e precise, sono ripassate e interrotte, riprese e lasciate perdere. L’imperfezione è cifra stilistica; la mancanza di perfezione rende la tavola perfetta, la violenza del nero opposto al bianco attira l’occhio, lo scuote e gli sbatte in faccia il messaggio che lo sceneggiatore ha chiesto al disegnatore di comunicare; con linee non disegnate, con curiosi personaggi cartooneschi apparentemente fuori luogo nella storia. È questa la grammatica di Muñoz: tratti scarni, imprecisi, assenti, ricalcati, spunti grotteschi, masse opposte con forza le une alle altre: un impressionismo argentino senza toni di grigio o quasi che acceca con il bianco come il sole di Buenos Aires.
Una grande statua, sempre omaggiata da fiori freschi, guarda Buenos Aires nel Cemeterio Monumetal; ha quasi sempre una sigaretta accesa fra le dita. Il popolo di Carlito Gardel “cada dia canta mejor” non dimentica di accendergliene una.
Abbiamo parlato di:
Carlos Gardel
José Muñoz e Carlos Sampayo
Traduzione di Fiorella Di Carlantonio, Cristiana Tullio Altan
Nuages, 2010
128 pagine, brossurato, bianco e nero – 24,00€
ISBN 9788886178631
Riferimenti:
Wikipedia, pagina in Spagnolo di José Muñoz
Wikipedia, pagina in Spagnolo di Carlos Sampayo
Editore Nuages
Pagina del libro sul sito dell’editore
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